1.1 Per ogni fine c'è un inizio

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Il taxi si fermò.

Aprii la portiera laterale. Poggiai le Air Force bianche sul cemento bagnato. Alzai lo sguardo.

Mi sfuggì un sorriso nel rivedere l'immensità della struttura monumentale dell'università. Cinque pilastri. Cinque entrate dalle quali si intravedeva il lungo viale alberato, delimitato dagli edifici delle facoltà, conducente alla statua in bronzo, al centro del campus. Sopra i cinque pilastri, altri cinque prendevano posizione, ricoperti da striscioni colorati raffiguranti il logo e il nome "La Sapienza".

Le cinque entrate corrispondono agli anni universitari?

«Ade, fermiamoci un secondo a prendere da mangiare». Catrin fece cenno con la testa verso la pizzeria, collocata alla destra dell'ingresso del campus.

«Buona idea!» esclamai.

A pochi centimetri dall'entrata della pizzeria, la porta si aprì di scatto, costringendo Catrin ad indietreggiare bruscamente. La borsetta, in bilico sopra la sua valigia colorata, cadde a terra.

«Cazzo! Guarda dove stai andando» affrettò Catrin abbassandosi per raccogliere la borsa.

«Scusami. Non volevo. Ti sei fatta male?» chiese una voce intensa maschile.

Cavolo, David aveva proprio ragione, pensai nel mentre osservavo il ragazzo davanti.

Due grosse braccia fuoriuscivano dalle maniche della t-shirt bianca, aderente sul petto e cadente sull'addome. Il movimento dei capelli castani spettinati e dorati dalla luce gialla, dell'insegna della pizzeria, catturò il mio sguardo, indirizzandolo sul movimento del ragazzo, intento ad aiutare Catrin nel raccogliere il portafoglio, gli occhiali e il rossetto rosso.

«Ti sei fatta male?!» strillò impavida lei.

«Catrin!» provai a richiamare la sua attenzione.

«Sei tu che mi hai fatto male. Non ho aperto io la porta sbattendomela contro. Maleducato!» incalzò Catrin.

«Catrin!»  provai di nuovo.

«Cosa c'è Ade, non vedi che...» soffocò le parole nel palato non appena alzò lo sguardo.

Mi misi una mano sulla fronte, sfregandola verso la guancia. 

Ci risiamo. Il suo debole per gli occhi verdi non smetterà mai di stupirmi 

«Hai ragione. Mi dispiace, non volevo farti del male» disse il ragazzo con fare preoccupato nel mentre Catrin era assuefatta dai suoi occhi verde petrolio.

«Tieni, spero che non si siano rotti» continuò lui porgendole la custodia degli occhiali.

Catrin si alzò, prese la custodia e con fare disinvolto disse sorridendo «Se è una tecnica di rimorchio con me non funziona».

Scoppiamo in una risata tutti e tre.

«Mi chiamo Leonardo, ma puoi chiamarmi Leo» si presentò lui.

«Catrin, ma puoi evitare di sbattermi la porta in faccia, la prossima volta che mi incontri».

Alzai lo sguardo verso le vetrate della pizzeria e intravidi il bancone semivuoto.

«Sbrighiamoci Cat» la supplicai con gli occhi.

Catrin aprì la porta del locale e io mi buttai a capofitto dentro per sfuggire da quella situazione. Appena varcai l'ingresso, il profumo speziato della pizza mi inebriò le narici. Ordinai quello che era rimasto sul bancone, sentendo i due vociferare in lontananza, salutandosi.

«Cosa hai preso di buono?» domandò Catrin entrando in pizzeria.

«Ecco a voi. Due fette di diavola, quattro di margherita, tre ripiene di mortadella e due con patate e salsicce appena scaldate» affermò la voce dietro al bancone.

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