2.3 Dance for me

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A pochi metri di distanza dal locale, notai, lungo i marciapiedi ricoperti dai sampietrini, gruppi di ragazze e ragazzi perdersi nel buio, comparire sotto le luci fuggitive dei fari accecanti delle macchine, illuminati dallo scintillio degli abiti stravaganti.

Il locale proiettava la stessa immagine, immagazzinata nella memoria anni prima. Una struttura gigante, dalle murature lisce, metalliche, scure, innalzata sei metri dal suolo fino a toccare il cielo con la scritta Delirious, illuminata dai neon rossi. Davanti all'entrata rettangolare, due bodyguard, di presenza bella e massiccia, in divisa, controllavano i documenti delle persone, speranzose di entrare il prima possibile.

«Venite» sentii la voce di Leonardo tra il trambusto dei suoni confusionari.

Ci apprestammo a seguirlo, nel frattempo che gli altri scendevano dai taxi.

Leonardo superò la fila, delineata dai paletti di delimitazione con corda rossa divisoria. Catrin lo seguii rapidamente tenendolo per mano, nel mentre i suoi tacchi ritmavano i passi sull'asfalto. 

Uno dei bodyguard salutò Leonardo, facendoci spazio all'entrata.

Una lunga scalinata, le cui pareti erano dipinte da orsetti fosforescenti, ci condusse nel sotterraneo del locale.  Al piano terrà era posizionata la reception per i ticket, il secondo era dedicato al ristorante, mentre nel sottosuolo si estendevano le sale della discoteca.

Una volta pagata l'entrata, con una piccola differenza tra maschi e femmine, ci indirizzammo verso il bancone bar dalla forma circolare, al cui centro, una struttura cilindrica, contornata da led verticali, sfumava l'immensa gamma di alcolici. 

Leonardo ci fece strada verso il privè.

«Hanno ristrutturato il locale?» domandò David, guardandosi intorno.

«Dall'esterno sembrava lo stesso» affermai, osservando lo spazio del privè.

«Hanno cambiato gestione, dopo il tragico incidente dell'anno scorso» intervenne Filippo.

«Cos'è successo?» chiesi curiosa.

«Una stupidaggine» lo zitti Walter, appoggiandomi le mani sui fianchi, spingendomi in avanti.

Rimasi catturata dal design dell'area riservata, occupata da divani di pelle bianca, ognuno accompagnato da un tavolo di vetro quadrato lucente, con sopra calici cristallini e bottiglie di champagne racchiuse in glaset. Sui muri della stanza, blocchi di pannelli proiettivi, raffiguranti animazioni minimal, colorate, prendevano posizione.

David iniziò a muover i fianchi al suono dell'inizio di una nuova melodia.

«Qualcuno vuole?» domandò Filippo, versandosi un bicchiere del liquido spumeggiante.

Walter prese un bicchiere tra le dita, avvicinandolo verso di lui.

«Partiamo con il brindisi!»  David iniziò a cantare, trattenendo tra le dita il bicchiere di champagne pieno.

«Io parto con altro» affermò Jonathan, tirando fuori dal marsupio una bustina bianca.

«Vado a cercare...» proruppe Miranda, rivolgendosi a Walter.

Walter fece cenno con la testa verso l'uscita.

«Non c'è niente di analcolico?» domandò Catrin scrutando il tavolo.

«Ti accompagno al bar» Leonardo si alzò prendendola per mano.

Catrin, passandomi di fianco, mi osservò, ancora in piedi «Tutto bene?».

Alzai il mento in segno di risposta positiva.

Cosa sarà mai un'altra serata, pensai superandola.

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