Capitolo Quindicesimo

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RITORNO A FIRENZE

«Grazie di tutto Federico» disse Vittorio abbracciando il suo amico mentre Ginevra sistemava la sua bisaccia
«E di che figurati, mio padre potrà ricambiare il favore appena può» disse Federico
«Non ce n’è bisogno» sorrise Sandro.
Vittorio si staccò dall’amico e salì a cavallo
«Buon rientro a Firenze» disse salutando il gruppo.
Le bretelle schioccarono e i cavalli partirono.

Laura Stanghi e Alessio Solimberghi li guidarono, accanto a quest'ultimo Sandro gli parlava in modo gentile, Elena teneva d’occhio sia il marito e si voltò per sorridere al figlio, era orgogliosa di lui, Vittorio ricambiò il sorriso alla madre e strinse la mano di Ginevra facendola arrossire e sorridere. Emilio era accanto al fratello il quale procedeva di fianco alla loro leader Laura.
Coloro che chiudevano dietro a loro il gruppo erano Lavinia e Tommaso: il primo nonostante si trovasse accanto al padrone non parlava e non diceva nulla, Lavinia invece teneva in braccio il piccolo Francesco, per fortuna il bambino stava riposando tranquillo, sicuramente doveva essersi addormentato durante la partenza.

In lontananza videro la maestosa Ravenna tra i campi spenti di febbraio, principalmente si intravedevano i tetti degli edifici più alti: l’unica cosa che si intravedeva della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo era il campanile a forma di cilindro.
Per non parlare di quel poco del tetto ottagonale della Basilica di San Vitale e del campanile felpa chiesa lì vicino.

Per essere febbraio il freddo si faceva sentire: se avesse nevicato tutto il paesaggio sarebbe stato bianco come il latte delle mucche, probabilmente si sarebbero sentite le grida dei bambini che si rincorrevano.
Invece di essere bianco come il latte tutto era spento e grigio, gli alberi erano spogli e nudi, le foglie avrebbero ridato colore al paesaggio quando sarebbe arrivata la bella stagione.

Per fortuna la strada era libera, la ghiaia scricchiolava sotto gli zoccoli dei cavalli, la presenza di neve almeno avrebbe dato un piacevole rumore.
Il cielo era indefinito: da un lato era spento come una candela, dando spazio a un inverno freddo, ma dall’altro sembrava che volesse svegliarsi e riaccendersi.

I cavalli procedevano ordinati, e il gruppo non parlava, alla fine dopo un lungo silenzio Sandro si schiarì la voce per parlare

«Come li conosci caro fratellino i fratelli Stanghi?» chiese mentre il suo mantello blu scuro cobalto lo copriva dal freddo «Non ricordi del loro padre Alberto? Ci scriveva sempre» rispose Alessio
«Per Dio hai una memoria così piccola?» aggiunse scherzosamente «Probabilmente si» rispose Sandro sorridendo, il fratello gli diede una pacca sulla spalla mentre proseguivano tra una chiacchera e l’altra

«Sono contento che mio padre e mio zio siano tornati in buoni rapporti» sussurrò Vittorio a Ginevra
«Immaginati la faccia che faranno tuo zio e i tuoi fratelli» disse lei, Vittorio le sorrise
«Secondo me gli romperanno qualche osso o roba del genere» disse lui mentre lo guardava parlare con Carlo, Ginevra scoppiò a ridere

«Cosa c’è da ridere?» chiese Emilio «Stavano parlando di come reagiranno i miei familiari nel vedere mio zio» rispose Vittorio, sul volto di Emilio apparve un piccolo sorriso
«Mio padre vi ha detto qualcos’altro?» chiese dopo esser tornato serio
«No però terrà d’occhio Arturo» rispose Vittorio.
Emilio proseguì per parlare con sua sorella e Ginevra, e al giovane Solimberghi si avvicinò Carlo

«Dimmi Vittorio, come fai ad amare e voler così bene a Ginevra?» chiese il ragazzo guardando Ginevra e Laura parlare con Emilio
«È difficile da spiegare» rispose Vittorio dopo esser rimasto a lungo in silenzio
«Quando ti piace una persona senti il cuore che batte a mille, non capisci più nulla, e vorresti che quella persona sia tua e di nessun altro»

I Nemici Di Firenze ‐ Trilogia Il Sangue Di Firenze Where stories live. Discover now