𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 6

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𝚂𝚝𝚒𝚛𝚙𝚎

ᴇᴅɢᴀʀ

30 aprile 2012
Summerlin, Las Vegas
Nevada, USA
Ore: 11:12

«È quello che ho sentito ma non credo siano soltanto voci.» disse Donovan mentre frugava nella tasca interna della sua giacca in pelle marrone, consumata e scolorita in alcuni punti, che probabilmente aveva indosso da quando era un'adolescente. Era seduto sulla poltrona dall'altro capo del tavolo, opposto al mio, sotto la veranda esterna affacciata al giardino sul retro della mia residenza. Trovò un sigaro mezzo fumato, lo tirò fuori e me lo esibì un po' incerto. «Posso?»

Quello non riusciva a stare fermo un mezzo secondo e mi irritava averlo attorno.

Dovevo discutere con Ray di alcune faccende sui carichi quella mattina, e lui si era presentato dicendo di avere qualcosa per me. E non aveva torto. Da poco più di due mesi, gli avevo detto di tenere d'occhio gli affari di Joseph Fagarò, tanto per tenerlo occupato, e a quanto pare quel boyscout del cazzo aveva scovato qualcosa di grosso in arrivo.

«Metta via quella roba, detective, mio fratello non gradisce il fumo.» rispose Elliot mentre prendeva un acino d'uva dal vassoio che ci aveva portato la governante. Conoscendolo, non lo avrebbe mangiato. Se lo sarebbe rotolato tra le dita come una sorta di svago.

Lo sbirro storse il naso. «È solo un sigaro e poi siamo all'aperto.»

Puntai gli occhi in basso e fissai l'anello al mignolo, pensando a quello che mi aveva appena detto. «Perché credi che non siano soltanto voci?» gli domandai.

«Perché sono andato leggermente più a fondo in questa faccenda e un uccellino mi ha detto che è stato uno scagnozzo di uno della cerchia di Charlie a farselo sfuggire, infatti il poverino gli hanno sparato pochi giorni dopo che queste voci fossero state sparse.» mi spiegò lui.

Annuii e tornai a guardarlo. «Sono in tanti a parlare di questo affare?» volli sapere.

Lui si rilassò sullo schienale della poltrona. «Direi di no, se a te non era ancora arrivato.»

«C'è solo un motivo per cui lo fanno in gran segreto.» commentò Ray, rimasto in silenzio fino a quel momento.

«Vogliono, a tutti i costi, tenere la figlia di Ivan Fagarò fuori da questa faccenda.» proseguì Elliot, puntando gli occhi sul giardino.

Lo feci anche io, pensieroso.

Irina era lì, in fondo, oltre la piscina, assieme al cane della madre. Da più di una settimana aveva cominciato a dedicare molto tempo a quella bestia, addestrandola in modo scrupoloso a obbedirle a ogni comando.

Faceva molto caldo quel mattino e lei, incurante dei miei ospiti, era uscita in un completino da yoga con tanto di reggiseno sportivo e pantaloncini, e si era messa a dare dritte al dobermann. Si piegava in avanti per parlare con quel cane, di tanto in tanto, mostrando il suo culo sodo e all'apparenza lo faceva del tutto mal intenzionata ma nella mia mente mi esortava e mi torturava da matti.

Quella donna mi era entrata sotto pelle.

Non ero più io il suo veleno, lei era il mio.

All'improvviso il cane la face quasi inciampare passando in mezzo alle sue gambe, e il suono vivace della sua risata fece eco in tutto il giardino, arrivando fin sotto il tetto della veranda. Mi portai la mano sinistra sotto al mento e nascosi un ghigno bastardo sulla bocca.

Di svista guardai dall'altro capo della piscina, dove quel figlio di puttana di Chase sedeva all'ombra sopra uno sdraio e osservava anche lui con una certa intensità Irina. Non vidi i suoi occhi, portava sempre un paio d'occhiali scuri, ma la sua bocca sorrideva ed ebbi di nuovo una certa voglia di finire lì la sua vita.

Devotion 2 // Perfidia E Inganno //Where stories live. Discover now