1. Per ogni fine c'è un inizio

678 93 376
                                    

Dicono che i nuovi inizi cominciano prima ancora di rendercene conto, che per poter aprire il famoso portone dobbiamo chiudere la porta, che alla fine di ogni percorso corrisponde una nuova partenza e una nuova possibilità. Dicono che per apprezzare il nuovo dobbiamo lasciare spazio all'ignoto, sgomberare la mente e la memoria del telefono, accompagnando le nostre esperienze con più punti e meno virgole.

«Dicono tante cazzate!» sussultai alle parole scandite da Catrin.

Avevo pensato ad alta voce?!

Le rivolsi lo sguardo imprigionando il labbro inferiore tra gli incisivi, per paura che potesse confermare la mia ipotesi.

«David e Penelope non fanno altro che parlare di quanti ragazzi carini girovagano per il campus» aggiunse con fare indaffarato, scorrendo il dito sul telefono.

«Dovrebbero piuttosto mettersi in pari con il materiale universitario» continuò, muovendo la testa con fare disapprovante per poi farfugliare una serie incomprensibile di parole.

«Adelaide, cavolo mi stai almeno ascoltando?» tuonò il mio nome.

«Non preoccuparti Catrin, sono solo eccitati per l'inizio del nuovo anno» affermai, continuando a penetrare lo sguardo nell'immensa vetrata del treno, affacciante sul mare.

Catrin si alzò dal sedile di fronte. Si posò con delicatezza vicino a me. Poggiò la testa sulla mia spalla, stringendomi con la mano il braccio destro, senza aggiungere una parola.

Conosceva la mia storia.

Avevamo trascorso l'estate nella casa in montagna dei suoi genitori, tra passeggiate in bicicletta e cocktail colorati.

Catrin aveva salvato me da un passato troppo recente e io lei, dalla pressione che i suoi le mettevano addosso, in relazione al futuro. Eravamo due lati della stessa medaglia.

Avevo conosciuto Catrin durante il primo anno universitario, tra mattoni di fogli d'inchiostro, notti d'insonnia passate in biblioteca, sbronze a feste indecenti e lezioni troppo mattutine. Siamo entrate in sintonia sin da quando varcai, per la prima volta, la porta della nostra stanza al campus. Indossava un vestitino floreale, stretto in vita e morbido sui fianchi, ricoperti dai lunghi capelli castani. La mia entrata attirò la sua attenzione, da prima proiettata con fare indaffarato sul foglio illustrativo, che teneva tra le mani. Senza chiedere conferma se fossi la sua compagna di stanza, mi incentivò a darle una mano per montare una lampada ad arco, rinchiusa in una scatola di cartone, una di quelle provenienti dalle grandi aziende su internet. Avevamo utilizzato una matita come cacciavite, ricoprendo il pavimento con altre spezzate. È inutile dire che la lampada si trova ancora nella scatola di cartone.

Mi sentivo grata di averla al mio fianco.

Distolsi lo sguardo dai ricordi e dai miei occhi azzurri proiettati sulla vetrata, trapassata dai raggi del sole, infranti sulle mura degli edifici, mastodontici della città.

Abbassai la testa, presi il telefono, pigiai il tasto laterale.

Le 19.23. Cavolo, questi treni fanno sempre ritardo.

Mi sbrigai nell'aprire l'applicazione dei taxi, prenotandone uno con anticipo.

Eravamo pur sempre arrivate nella città del caos, Roma.

Il treno si fermò bruscamente sul binario, causandoci la perdita dell'equilibrio.

Qualcuno imprecò contro il malfunzionamento del servizio.

Poggiai il dito sul pulsante e dopo secondi di esitazione nella speranza che il sensore avesse ricevuto l'input dal mio polpastrello, la porta si aprì. Il vagone si riempì di suoni confusionari, di voci spezzate da altoparlanti e dell'odore sporco dell'aria.

ADDERALLTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon