Capitolo 34.

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È tuo padre, Wendy

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È tuo padre, Wendy.

È tuo padre, Wendy.

È tuo padre, Wendy.

Nella mia testa si ripete questa frase in loop, per un periodo che mi sembra infinito.

Non la comprendo. Mi sembrano una serie di parole messe una dietro l'altra senza senso logico.

Io non ho un padre, non ho nemmeno dei genitori, visto che hanno deciso di abbandonarmi ancora prima che mi potessero conoscere davvero; ma adesso lui si comporta come se tutti i suoi atteggiamenti nei miei confronti, fossero stati condizionati da un uomo che per me non è mai esistito.

«Wendy

Il suo tocco sulle spalle e il suono della sua voce sono quelli che recuperano le briglie dei miei pensieri e mi fanno tornare alla realtà. Ci metto un po' a metterlo a fuoco, la vista si è offuscata e io sembravo persa nel mio mondo.

«Non ho un padre, Aaron» sussurro, la voce arrochita dal momento.

Sospira, lo sguardo di chi vorrebbe tacere, ma ormai sa che ha parlato troppo e deve vuotare il sacco. «Il fatto che tu non te lo ricordi, non significa che non ci sia mai stato» mi fa presente.

Scuoto la testa, mentre raggiungo il letto e mi ci siedo a peso morto. Non mi capacito delle sue parole, aprono un mondo di domande a cui non credo di volere una risposta.

Sono sempre stata convinta di essere stata abbandonata, non ho mai avuto il desiderio di conoscere l'identità dei miei genitori, perché non ho mai trovato il senso, visto che loro erano stati i primi a non volermi nella loro vita. E adesso arriva lui, bello come solo un Dio greco potrebbe essere, a dirmi che ho un padre e che lui lo conosceva.

Utopia. Fantascienza.

«Questa scusa suona una cazzata più di tutte le altre, sai?» mi acciglio.

Sbuffa, si passa la mano tra i capelli. Mi rendo conto di averlo visto più in difficoltà in queste poche ore, che in tutto il periodo che lo conosco.

«Non è una scusa, ti sto dicendo la verità. Solo che... non è così semplice darti i dettagli.»

«Be', fallo, dammeli, perché sinceramente mi sembra che tu mi stia prendendo per il culo solo per tenermi distante e, fidati, è snervante considerando tutte le volte in cui l'hai già fatto» gli lancio un'occhiataccia.

Sospira, mi guarda negli occhi per un po' e io non capisco cosa ci sia di tanto difficile da dirmi. In fin dei conti, quanto può essere peggiore la realtà, dalla bugia che mi è stata raccontata?

«Ero sotto l'ala protettiva di tuo padre. Ero un ragazzino squattrinato e incline alla violenza, cercavo in tutti i modi di fuggire dalla mia quotidianità, mi cacciavo nei guai con il solo scopo di sentirmi in qualche modo vivo, ma tuo padre... ha sempre avuto la capacità di sapermi prendere e mi ha dato la possibilità di avere una vita quanto meno normale. Mi è stato accanto, mi ha dato quello di cui avevo bisogno, l'affetto che solo un genitore potrebbe dare, e mi ha permesso di diventare la persona che sono. Se lui non ci fosse stato, probabilmente sarei già morto da un pezzo.»

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