22 Oppressore

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55 ore alla Nomina

L'idea di dormire in un letto pagato dall'uomo che l'aveva tenuta in ostaggio per più di un anno la inquietava, ma prima che se ne potesse rendere conto, Alison cadde in un sonno profondo.

Ore dopo aprì gli occhi, non si sentiva così riposata da molto tempo. Restò qualche secondo con la testa sul cuscino a guardare il soffitto; quella era la prima volta che si svegliava in un posto che non fosse una prigione. Le piaceva osservare il motivo floreale della carta da parati e il lampadario a forma di lanterna. Avrebbe voluto restare lì ancora ancora un po' ma non sarebbe stata una scelta saggia. Sperava che il suo oppressore fosse morto, eppure non ne aveva la certezza, le aveva già dimostrato in più occasioni di avere un mucchio di risorse. Dopotutto, era un alchimista.

"Devo scappare il più lontano possibile."

Si sedette e strofinandosi gli occhi mise a fuoco la stanza.

Scattò in piedi sul materasso lanciando un grido di terrore, una fitta di adrenalina le aveva pervaso il corpo come un veleno. Quell'uomo era lì, proprio davanti a lei, seduto immobile su una sedia.

«Non ti farò del male» sostenne mostrando le mani libere, «a meno che tu non mi costringa.»

Alison gli lanciò addosso le coperte, saltò giù dal letto cercando di raggiungere la porta.

Era chiusa a chiave. Merda.

"Come aveva fatto a entrare?"

Intanto lui si tolse le lenzuola di dosso senza fretta, si alzò andando verso di lei ma Alison afferrò un lume di creta poggiato sulla piccola scrivania di fianco alla porta, l'afferrò e glielo gettò contro. L'alchimista si difese con le braccia lasciandolo cadere e rompersi in mille pezzi.

Alison tremava. Sentiva che le gambe avrebbero ceduto da un momento all'altro. «Aiuto!» gridò ancora. L'alchimista ansimò, poi si mise seduto sul letto, come se volesse solo parlare.

«Nessuno può sentirti» sottolineò sorridendo. «Il receptionist è morto.»

Alison rabbrividì. «Fammi uscire!» lo implorò, mentre una lacrima gli rigava il viso.

L'alchimista si voltò afferrando i capi di Alison dal comodino. «Saresti già morta se avessi voluto» le spiegò gettando gli abiti ai suoi piedi. «Vestiti!» le ordinò.

Alison si accorse che non la stava guardando in viso. Il suo sguardo era molto più basso. Era in mutandine. Non ci aveva nemmeno fatto caso, si sentiva indifesa e vulnerabile e non poteva coprirsi. Pensò che ascoltarlo era il modo migliore per distoglierlo dal suo corpo, l'avrebbe attaccato quando meno se l'aspettava.

«Dovevo assicurarmi che fossi morto» affermò accasciandosi per raccogliere i suoi vestiti malridotti.

«Credimi, è meglio che io non lo sia. C'è una taglia sulla tua testa e non sarai mai libera finché loro non avranno ciò che vogliono» spiegò incrociando le braccia.

«Potrei colpirti e scappare, l'ho già fatto una volta» protestò lei, infilandosi la gonna scura.

Un accenno di sorriso si insediò nel volto dell'alchimista: «Potresti. Ma se fai come dico, ti porterò in un posto dove potrai avere le risposte che cerchi e dopo che io avrò svolto il mio compito mi assicurerò che tu possa essere libera».

Alison non sapeva cosa fare, voleva scappare, colpirlo, ma non aveva niente per difendersi. «Non verrò mai con te, dovrai uccidermi prima» l'avvertì.

«Non sarà necessario.» L'afferrò per il braccio prendendo un tovagliolino imbevuto dalla tasca. Alison si ribellò. Gli morse una mano più forte che poteva.

L'alchimista gridò e poi le diede uno schiaffo. «Nessuna magia stavolta. Solo cloroformio.»

Alison si dimenò più forte che poteva. Le braccia dell'alchimista erano forti e riuscivano a tenerla ferma. Cercò di difendersi finché la forza iniziò a vacillare. Pochi secondi dopo l'ultimo respiro affannato, si addormentò.

Inghert restò a guardarla mentre la testa le pendeva all'ingiù e la chioma bionda si diramava sul pavimento di legno scuro come le radici di un albero nella terra, le stesse radici che si erano insediate nel suo cuore come una malattia. Vederla così pulita e ordinata gli fece comprendere quanto l'avesse maltrattata e quanto la desiderasse. Ora era più simile a una Dea, è così che la vedeva mentre si mordeva inconsapevole le labbra gonfie e screpolate non potendo conoscere il sapore delle sue.

Lei non avrebbe mai approvato.

La osservò dormire serena, era mezza nuda e sarebbe potuto restare lì per ore ad ammirarla. Ma lui voleva di più. Il momento era propizio per accarezzare ogni parte del suo corpo esile e goderne il piacere del tatto. Le sfiorò un seno con le dita appena sopra il capezzolo nascosto dal cotone, ma un impeto di lucidità gli fece ritrarre la mano. Se voleva riuscire nel suo intento doveva portarla fuori da lì. 

Empowerment, Blank Slate SagaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora