Capitolo 4

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Le mie mani quel pomeriggio erano sporche di sangue, di quella sostanza scarlatta che non apparteneva al mio corpo

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Le mie mani quel pomeriggio erano sporche di sangue, di quella sostanza scarlatta che non apparteneva al mio corpo.

Stavo ripulendo i pugnali che avevo utilizzato durante le missioni precedenti, quelle lame argentee sporche di macchie rosse ormai secche che mi ricordavano a cosa andavo incontro ogni giorno.

Essere un sicario non era semplice, metteva corpo e anima in continuo pericolo, avevo nemici in ogni angolo e indossare la maschera da brava studentessa durante il giorno non era affatto semplice.

La mia anima era macchiata di nero, nella mia mente vagavano frammenti di dolore e non facevo nulla per farli fermare, anzi, mi nutrivo di quel dolore capace di rendermi una persona forte e coraggiosa.

Amavo il pericolo, sentire l'adrenalina scorrere nelle vene e far contrarre i muscoli.
Amavo le goccioline di sudore che scendevano libere dalla fronte o ancora, amavo il respiro affannato dopo aver posato la margherita viola sul corpo privo di vita delle mie prede.

E mentre il mio lavoro invadeva le membrane della mia mente, pensai a Callum.

Lui, proprio come me, possedeva i miei stessi difetti e i miei stessi pregi.

Era la mia nemesi, in tutto e per tutto e sapere quella cosa mi spaventava enormemente, perché i nostri pensieri seppur diversi erano assurdamente simili.

Opposti, a causa delle gang di cui avevamo deciso di far parte, ma simili, perché avevamo vissuto le stesse cose, gli stessi dolori su pelle differente.

Posai lentamente le lame ormai pulite e luccicanti nella valigetta apposita, poi, corsi in bagno a grattare il sangue da sotto le unghie e ritornai in camera, andando alla ricerca del malloppo di fascicoli che il professor Murphy mi aveva affidato settimane prima

Glielo dovevo riconsegnare alle 16:30, riposandolo nell'armadietto degli insegnanti e Dio, quel pomeriggio avevo solo voglia di scomparire nelle lenzuola e dormire per un tempo indefinito.

Il cielo era grigio, lampi e tuoni si propagavano nell'aria e una fitta nebbia stava calando in ogni dove, ricordandomi che io vivevo nella nebbia e mi piaceva sentirla addosso e nell'anima.

Controllai l'orario, mancava poco più di mezz'ora e decisi di utilizzare quel tempo leggendo un libro.

Leggevo molto, amavo follemente leggere e mi sentivo legata ad ogni singola pagina.

Quando prendevo un qualsiasi libro tra le mani e iniziavo a sfogliarlo, iniziavo inconsapevolmente un viaggio nella mente della persona che aveva scritto quelle parole, mi sentivo su una piccola nuvola e scappavo per qualche ora via dalla rude realtà.

Leggere era una cura, una medicina insostituibile alla quale non volevo fare a meno.

Passai quella mezz'ora a leggere uno dei miei libri preferiti; la verità sul caso Harry Quebert.

Opposites with Similar heartsWhere stories live. Discover now