31. Peggio di Lucifero

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Diana's pov
Oggi Giulia sta male, dice che ha una semplice influenza e che non esce dalla sua camera per questo, ma io non ci credo. Ieri sera deve essere successo qualcosa con papà, che l'ha portata a non uscire dalla camera. Busso alla sua porta, sperando che mi apra, ma risponde e basta. « La cena è pronta, esci?» chiedo sperando in una risposta affermativa, ma ottengo il contrario. « Preferirei mangiare in camera» mi dice con un soffio di voce. Le lascio la pasta al sugo davanti la porta, aspetto che lei apra e la prenda, quando succede, vedo che ha delle enormi occhiaie nere e dei segni rossi sul volto. Lei si accorge di me e rientra subito nella camera, richiudendo a chiave la porta.

Ho un brutto presentimento, che si conferma quando poco dopo mio padre entra dalla porta. Si sente un forte odore di alcol, lui traballa, io cerco di andare in camera mia con l'idea di non uscire per tutta la sera, ma mi afferra per un braccio e mi trascina in salotto. « Non fai compagnia al tuo povero padre?» chiede, mentre mi fa sedere con la forza, provo a ribellarmi, ma ho paura che se gli faccio capire che ho paura di lui, lui si approfitta ancora di più. «Dai divertiamoci un po'», percorre il mio corpo con le sue mani viscide, si capisce bene che lui non è in se, ma non dovrebbe mai toccarmi. Con le sue mani risale il mio corpo, parte dai piedi, sale sulle gambe coperte da un pigiama lungo, passa alla pancia e si ferma sul seno stringendomelo. Una lacrima solca il mio viso, devo reagire, ma non ho più forze. Vorrei scappare, ma i miei piedi non si muovono, le mia gambe non vogliono flettersi per alzarmi e poi muoversi per scomparire. Il mio cervello manda comandi contrastanti al mio corpo. Io voglio scappare, ma voglio vedere fin dove si può spingere questo mostro.

« Se non ricordo male sei ancora una verginella», allude, mi viene da vomitare. Gli vomito addosso, lui si stacca da me, io provo ad alzarmi, questa volta le mia gambe percepiscono il comando, ma mi afferra dal polso, si alza in piedi per sovrastarmi e la sua mano finisce sulla mia faccia in uno schiaffo sonoro. Mi tengo la guancia dolorante con l'altra mano, mente lo guardo odiandolo sempre di più. « Mi facevi schifo prima, solo ora ho capito che non sei nient altro che spazzatura, uno come te non si merita tutto questo lusso, si merita di marcire, non all'inferno, perché li i demoni sono meglio di te, perfino Lucifero è meglio di te», lui mi scaraventa a terra provocando un boato rumoroso, il fianco mi fa male, ho sbattuto contro uno spigolo del mobile. Giulia ci raggiunge preoccupata, osserva la scena preoccupata, mio padre non la vede, la vedo solo io, mi lancia un'occhiata preoccupata, io le faccio capire che deve ritornare in camera e lei lo fa.

Mio padre si abbassa verso di me e mi sfila i pantaloni, rimango in slip, lui fa un apprezzamento alle mia gambe che ho ignorato. Provo a tirargli un calcio, ma lo schiva, per essere ubriaco marcio almeno ha dei buoni riflessi. Come faccio a scherzare in un momento come questo? Forse perché vorrei solo non pensarci.

Sentiamo un forte rumore provenire dalla mia camera, mio padre non leva le mani da me e neanche si alza per controllare. « Sarà quell'altra puttana» afferma, riferendosi a chi ha provocato quel suono, ma io ho i miei dubbi.

« Non sono una puttana, sono solo la persona che ti manderà all'ospedale, se ti va bene, se no vedrai l'inferno con i tuoi occhi. Non sei contento?» Dorian è difronte a noi, indossa una semplice maglia nera e dei jeans dello stesso colore.

È sempre bellissimo.  E rivederlo mi fa ancora male.

Ma nel suo viso qualcosa è cambiato, nei suoi occhi vedo solo rabbia.

L'angelo del mio Inferno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora