Sui genitori.

44 16 13
                                    

Cinque anni prima.

Giulia convive da poco. Torna spesso a casa, dai suoi e da suo fratello. Non riesce ancora ad allontanarsi troppo da loro. Non vuole.

Che strano. Quando siamo adolescenti non vediamo l'ora di lasciarlo questo famoso nido. E poi, quando il momento arriva davvero, non siamo mai pronti fino in fondo.

E poi ha notato che sua madre è strana da qualche giorno. Sembra triste, o incazzata, o un mix delle due cose.
Ha chiesto a suo fratello se avesse notato qualcosa lui, avendolo lei lasciato da poco, il nido, e non potendo quindi più avere la situazione sotto controllo di minuto in minuto.

Giulia è metodica. E precisa. Vuole sempre sapere che succede, non vuole farsi trovare impreparata, mai. Giulia cerca una spiegazione, sempre, ad ogni cosa. Razionalità. Con la razionalità si ragiona, per l'appunto, non c'è rischio di lasciarsi trasportare dall'emotività, dalle emozioni.

Giulia, che non ama le etichette, ama definire il rapporto con i suoi -normale. Loro hanno sempre lavorato, tanto. Lei è cresciuta tra scuola a tempo pieno- a volte la mattina la lasciavano con il bidello, la scuola non era ancora aperta- e baby sitter.
Non le hanno fatto mancare niente, comunque.
Neanche la severità, suo padre soprattutto. Giulia si ricorda ancora, con un pizzico di terrore -questa è la parola giusta anche se lei non vuole ammetterlo- le sgridate di suo padre.
Che spesso partivano per un nulla, per quello che per lei era niente ma a quanto pare per suo padre erano tutto. E tutte le volte che lui gridava, lei ammutoliva. E poi scoppiava a piangere.
Delusione. Fiducia. Se perdi la fiducia poi non la recuperi.
Giulia c'era cresciuta con queste parole, le erano entrate dentro, nella pelle, nelle vene, in ogni singola cellula. C'erano entrate piano piano, giorno dopo giorno, discorso dopo discorso, sfuriata dopo sfuriata, e poi, a un certo punto, non se ne erano andate più.
Se perdi la fiducia poi non la recuperi.

Con sua madre era diverso.
Più permissiva, senza esagerare, come sono le madri- adesso anche Giulia se ne rendeva conto.
Aveva un bel rapporto con sua madre, fatto di complicità,cose non dette- spesso non c'era bisogno di dirle, si capivano senza parlare, loro due- e ammirazione.
Sua madre si era sempre fatta in quattro per loro- lei, suo fratello e suo padre- finendo per mettere in secondo piano se stessa, i suoi desideri, i suoi bisogni, il suo essere donna, il suo essere umana.
Giulia l'aveva sempre ammirata per questo. Qualcuno in grado di mettere completamente da parte sé in favore di qualcun altro è da ammirare, no?

Non le avevano fatto mancare niente, quindi. E Giulia era cresciuta con il mito dei suoi genitori. In qualche modo li idolatrava, erano i suoi eroi, erano le uniche due persone che lei non avrebbe deluso. Mai. Perché se perdi la fiducia poi non la recuperi.

-Alla luce di tutto questo, sarebbe quindi ragionevole supporre che gran parte delle scelte fatte, e soprattutto non fatte, dall' imputata qui presente siano nient'altro che un tentativo, a volte riuscito meglio, a volte riuscito peggio, di non deludere i sopracitati genitori - e il sopracitato padre, per essere esatti?-La voce di Marghe le risuona nelle orecchie.

Mannaggia a te, Marghe, forse c'hai ragione.

Lei, cresciuta con il mito dei genitori lavoratori, con il mito che il lavoro nobilita l'uomo e gli permette di vivere una vita onesta e rispettosa, appena finite le superiori aveva cercato, e trovato, lavoro. Un lavoro semplice, ma onesto, che gli stava permettendo di vivere una vita rispettosa. Niente di male in questo- ma veniva il dubbio che a volerlo, questo lavoro semplice e onesto per vivere una vita rispettosa, fosse più suo padre di lei.

Lei, che era cresciuta sentendosi dire che studiare è importante, certo, ma sono altre le cose che ti permettono di vivere bene, aveva rinunciato all'università.
Ci si era iscritta solo quando già lavorava, e fatti due conti aveva capito di potersela permettere e pagare da sola, senza chiedere un centesimo ai suoi. L'aveva fatta a distanza, senza lasciare il lavoro, sia mai, e neanche a dirlo, l'università fatta come l'aveva fatta lei si era rivelata un'esperienza piuttosto deludente.
Lavorava, e nel tempo libero, studiava.
Quando era libera a volte andava anche a lezione, due ore per andare e due per tornare - quattro ore di viaggio per due ore di lezione, e poi a lavoro.
-Ma il discorso dell'università meriterebbe sicuramente una digressione più lunga, un discorso più ampio e articolato, sul quale, se ritenuto necessario, torneremo.
Basti dire che il capitolo universitario, tappa importante della vita, per qualcuno addirittura fondamentale, è stato citato, in questo specifico contesto, per mettere in evidenza un qualcosa che potrebbe apparire banale, scontato, quasi inutile da sottolineare, come possono essere, a volte, le domande.
Nel nostro caso specifico, la domanda che desideriamo porre all'attenzione dei presenti risulta essere la seguente;
Chi può affermare con assoluta sicurezza che la scelta di non aver lasciato il lavoro per l'università non sia stata dettata dal desiderio -inconscio, nascosto, rinchiuso, mai ammesso-
di non deludere suo padre?-

Basta Marghe, così mi fai passare da cretina.

Ma Marghe ha ragione. E forse anche Giulia l'ha sempre saputo. Solo che troppo spesso le risulta difficile- se non proprio impossibile - ammettere certe cose. A se stessa, in primis, e poi agli altri.

A volte serve staccarsi dalle cose. Vederle da fuori. O da lontano. Far passare del tempo, mettere una certa distanza tra te e quella certa cosa. Solo così si riesce a vederla bene. In modo oggettivo ed imparziale.
Forse era questo che stava facendo Giulia, con quel Carlo che fa lo scrittore.

Nota autrice e/o me stessa;
Chiedo scusa se a livello di virgolette nei dialoghi la storia dovesse risultare non perfetta, l'editing non è il mio forte, né lo è il modo di scrivere i dialoghi 😅

Storia di straordinaria normalità.Where stories live. Discover now