Su una casa abbandonata e un tramonto.

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«Strano posto per incontrare qualcuno» disse lui, alzando lo sguardo dopo aver sentito qualcuno arrivare.

«Strano posto e basta» rispose lei, sedendosi su quello che rimaneva di un muretto che probabilmente tempo prima era servito a delimitare i confini della casa.

«Vengo qui tutti i giorni, da un bel po’ di giorni ormai, e non ho mai incontrato nessuno» riprese lui, continuando a fissarla.

«Immagino che la risposta giusta da darti sia “c’è sempre una prima volta”, ma pur piacendomi la banalità, in questo caso perfino la banalità mi risulta troppo banale. E poi sono venuta qui per stare in silenzio.»

«È un modo gentile di dirmi che devo stare zitto?»
«Sarebbe carino, sì.» 

Si conobbero così.
Silenziosa lei, loquace lui.

Il posto, va detto, era una vecchia casa abbandonata.

Infissi rotti, vetri mancanti alle finestre, muri che stavano cadendo, segni di muffa ovunque. Ma, tra le pareti di quei muri che stavano cadendo a pezzi, o almeno in ciò che ne rimaneva, si intravedevano sprazzi di colore; rosso, giallo, verde.
Un tempo quei muri erano colorati. Probabilmente ci viveva qualcuno di molto allegro, o qualcuno di molto triste che voleva in qualche modo dipingere una vita troppo vuota.

Leggenda narra che ci avesse vissuto un uomo pazzo, in quella casa, e che tutti quei colori rispecchiassero il caos che aveva dentro.

Aveva un portico delizioso, la casa, malandato anche quello, ma che in un altro tempo aveva sicuramente accolto le chiacchere di qualcuno, che si era seduto sulla sedia a dondolo sorseggiando un bicchiere di vino, dopo una lunga giornata.
La sedia a dondolo non c’era più, ma lei riusciva comunque ad immaginarla.
Era brava, ad immaginare.

Riuscì a vedere nitidamente un uomo burbero sul portico della sua casa, seduto sulla sedia a dondolo, con un buon bicchiere di vino in mano, quando il tramonto avvolgeva il mare e la spiaggia con i suoi colori.

Oppure quando, svegliandosi la mattina, apriva la finestra della sua camera, e la prima cosa che vedeva era ancora lui, il mare immenso, che si estendeva fino all' infinito.

La casa, come facilmente intuibile, era in riva al mare. Sulla spiaggia, al riparo dalle onde grandi di quando il mare decideva di arrabbiarsi. Dal portico si poteva godere di un magnifico tramonto.

Lei amava i tramonti.
E le cose abbandonate.

Esercitavano su di lei un fascino particolare, senza che sapesse spiegare bene perché.
Un misto di tenerezza e malinconia.

Anche lui amava i tramonti.
Sulle cose abbandonate invece, avrebbe avuto qualcosa da ridire.

Lo innervosivano, gli mettevano una certa ansia addosso; tutto quel degrado, tutte quelle cose lasciate a sé stesse senza nessuno che si prendesse cura di loro.

Forse lo irritavano soltanto perché ci si rispecchiava troppo; era il primo a sentirsi spesso abbandonato, senza nessuno che si prendesse cura di lui.

Lei si chiamava Giulia.
Lui si chiamava Carlo.
Si conobbero così.
Nel portico di una casa che stava cadendo a pezzi.
Neanche a dirlo, al tramonto.

Nota autrice e/o me stessa;
Chiedo scusa se a livello di virgolette nei dialoghi la storia dovesse risultare non perfetta, l'editing non è il mio forte, né lo è il modo di scrivere i dialoghi 😅

Storia di straordinaria normalità.Where stories live. Discover now