Capitolo 19 ♡ Cora

439 22 0
                                    

«Dopo anni passati a guardare Nicolò giocare, ancora non ho capito le regole del basket.»
«Non dirlo a me. Riesco a riconoscere le squadre solamente perché hanno le divise di colore diverso.»
Io ed Elia eravamo seduti in mezzo alla folla di genitori e amici venuti a guardare i ragazzi giocare a basket. A differenza di molti attorno a noi, che urlavano e fischiavano in continuazione, noi non eravamo dei grandi esperti in materia di basket. Per fortuna, non era difficile capire quando uno dei nostri segnava.
In quel momento il tabellone elettronico segnava venti punti a quindici per la squadra ospite, non era una distanza troppo difficile da colmare, ma ormai mancavano pochi minuti alla fine della partita e la palla era ancora in possesso degli avversari che sembravano non volerla lasciare andare.
«Perché non giochiamo a calcio come ogni altro liceo d'Italia? Le regole del calcio le conosco» stava dicendo Elia, lo sguardo che seguiva Nicolò sul campo. Non stava facendo molto in quel momento, era vicino al canestro avversario anche se la palla non si trovava da nessuna parte nelle sue vicinanze.
«Perché dobbiamo sentirci speciali, in ogni cosa che facciamo. Non è questo il motto della scuola?»
«No, non credo che la scuola abbia un motto.»
Stavo scherzando, lo sapevo che la scuola non aveva un motto, ma Elia, con le sue sopracciglia corrucciate, sembrava assai serio.
Gli ultimi secondi sembrarono durare secoli, in qualche modo uno dei nostri ragazzi era riuscito a segnare un canestro, ma alla fine furono proclamati vincitori gli avversarsi. Vedere le cheerleader esibirsi dopo quell'amara sconfitta non rallegrò nessuno. Le cheerleader stesse sembravano abbastanza abbattute. Flora aveva una faccia contrita, come se fosse sul punto di menare le mani con qualcuno. Forse c'era stata un'altra lite con Rachele.
La vicepreside, con il suo ormai amico microfono, sbucò ringraziando tutti di aver partecipato a quell'evento di inizio stagione che ci avrebbe condotti al campionato regionale, si dilungò qualche minuto su come lo sport fosse uno dei pilastri portanti dell'istruzione scolastica e infine, quando nessuno la stava più ascoltando da tempo, perché troppo impegnati a festeggiare o a deprimersi per la sconfitta, ci congedò augurandoci un buon proseguimento di serata.
«Non doveva far sapere i risultati della sfida per la borsa di studio?» mi chiese Elia, sorpreso che non l'avesse fatto.
Mi strinsi nelle spalle. «Forse deve ancora prendere la decisione finale.»
Scoprimmo i nostri punteggi solamente il lunedì seguente, quando tornammo a scuola e trovammo appeso alla finestrella della segreteria un foglio con una classifica di tutti i partecipanti. Non era stato scritto esplicitamente chi avesse preso dei punti la sera della partita, ma facendo una piccola sottrazione dal totale dei nostri punteggi potevamo capirlo in pochi secondi.
Io e Dana eravamo scese di qualche posizione, quinte a pari merito con la squadra di Karima con trentacinque punti totali. Io e Dana avevamo fatto solamente cinque punti, quando la media delle altre squadre si aggirava intorno ai dieci. Rachele aveva fatto un totale di venti punti, solamente grazie a quel balletto.
Ma eravamo ancora in gara, era quello l'importante. Avevamo ancora una possibilità.
«Siamo spacciate» esalai in un sussurro, davanti a quel foglio.
«No, non lo siete» cercò di dissentire Flora, al mio fianco. «Il quinto posto è molto buono.»
«Siamo quinte su quindici squadre rimaste. Non va bene.»
«Io penso che vada bene. Siamo nel primo terzo della classifica» si intromise la voce di Dana, alle nostre spalle.
Flora la indicò, annuendo con fare di chi ne sa lunga. «Visto? Lo dice pure Dana.»
«Non siamo veramente nel primo terzo della classifica. Siamo quinte a pari merito, il che, tecnicamente, ci mette più nel secondo terzo della classifica. I loro cognomi sono all'inizio dell'alfabeto, i nostri alla fine» mi permisi di precisare io.
«Perché sei così pessimista tutto ad un tratto? Non dicevi che facendo del nostro meglio ce l'avremmo fatta?» Dana mi guardava allibita, ma con un piccolo sorriso sulla labbra. Si stava divertendo, ma io non mi stavo divertendo. Affatto.
Sapevo che era stata una cattiva idea sin dall'inizio, quella di partecipare alla borsa di studio. Perché mi ero lasciata convincere da Flora?
«Di cosa stai parlando? È la persona più pessimista del mondo» constatò Flora.
«Sono realista, è diverso» borbottai io, incrociando le braccia al petto.
Dana sembrava confusa. Forse perché, dall'inizio di quella gara le avevo continuato a ripetere che avevamo una possibilità per la vittoria. La verità era che, quando glielo dicevo, stavo cercando di convincere me stessa, usando le parole che avrebbe usato Flora. Dopo i risultati della prima prova avevo iniziato a pensare che, forse, ci saremmo veramente riuscire. Ora non ne ero più tanto sicura. Ci sarebbe stata solamente un'altra prova, al ritorno dalle vacanze natalizie e poi si sarebbe passati alla campagna per farci votare dagli studenti. Nessuno ci avrebbe mai votato, lei perché era troppo conosciuta per i motivi sbagliati, io perché non mi conosceva letteralmente nessuno se non i miei amici. Avremmo dovuto totalizzare ben venti punti in più degli altri per superare i primi classificati che al momento ne avevano cinquantaquattro.
«Pensavo fossi io quella pessimista della coppia.»
«Non ti ha mai parlato delle probabilità che avete di vincere? Questa qua fa segretamente dei calcoli astronomici per capire che percentuale di successo avete.»
«Flora!» le urlai io, dandole una pacca sul braccio.
«Che cosa? Sto solo dicendo la verità! Sono sicura che Dana abbia già capito che sei una tipa stramba.»
«Non sono una tipa stramba.»
«Penso che tu sia veramente una tipa stramba» ridacchiò Dana. «Però, no, non mi ha mai parlato dei suoi calcoli.»
«E non lo farò mai, ci vediamo dopo» conclusi io, tirando Flora per un braccio e dirigendomi in classe nostra.
«Scusa, non pensavo ti saresti imbarazzata così. Se lo avessi saputo non avrei detto nulla» disse Flora, una volta raggiunti i nostri banchi. Potevo ancora sentire le mie guance in fiamme.
«Non ti preoccupare» replicai, sprofondando nelle mie braccia sul banco. Anche se non la vedevo, potevo sentire i suoi occhi che mi fissavano, creando due piccoli buchi sulla mia schiena. «Che c'è?»
Passarono alcuni secondi di silenzio. «Niente, stavo solo pensando che tu e Dana sembrate andare molto d'accordo.»
«E perché la cosa sembra preoccuparti?» Sapevo già cosa i miei amici pensavano di me e Dana, grazie alle informazioni di Elia, ma volevo sentirlo dire anche a lei.
«No, non sono preoccupata. Solo... stai attenta intorno a lei.»
«La fai sembrare quasi una maniaca.»
«Maniaca forse no, ma è molto brava a giocare con i sentimenti delle persone.»
Alzai la testa di scatto. «Tu pensi che mi stia prendendo una cotta per lei.»
«In questi giorni sei sempre con lei.»
«Sì, per le sfide.» La mia voce suonava dura anche alle mie stesse orecchie. La faccia di Flora fece una smorfia addolorata.
«Non voglio che tu stia male, tutto qua.»
Per il resto della mattinata continuai a ripetermi che no, non avevo una cotta per Dana. E non l'avrei mai avuta. Era quasi diventata una sfida per provare che Flora non aveva ragione.
Tuttavia, quella sera stessa, quando mi arrivò un messaggio da parte di Dana il mio cuore iniziò a battere più forte. Era come se, con quell'accusa, Flora avesse acceso in me un sentimento che prima se ne stava assopito in un angolo.
Dana non mi aveva mai scritto, se non per mettersi d'accordo su quando e dove incontrarci per provare assieme, quindi non sapevo veramente che cosa aspettarmi.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora