Capitolo 15 ♡ Cora

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Dana abitava in una di quelle case moderne che sembravano uscite dalla copertina di una rivista di arredo per la casa. L'ingresso era un grande open space, con divani di pelle bianca, un caminetto elettronico, un tavolo di vetro e una cucina con isola in bella vista. Il tutto era decorato con pochissimi oggetti, tutti bianchi o dorati. La luce che entrava dalle grandi finestre si rifletteva su tutte quelle superfici brillanti facendole risplendere. Sembrava tutto così pulito e finto. Non potevo immaginare nessuno che osasse sedersi su quei divani o usare i fornelli ad induzione di quella cucina. Sembrava che solamente a guardarli si sarebbero potuti rompere o sporcare o rovinare in qualche modo.
Nemmeno in camera sua mi sentivo tanto più al sicuro. Regnava l'ordine più assoluto, come se nessuno dormisse veramente sulle lenzuola grigie, come se nessuno si sedesse alla scrivania per fare i compiti. Se avessi danneggiato qualcosa non mi sarei mai perdonata.
Dana mi aveva fatto lasciare le scarpe in ingresso, dandomi delle ciabatte da casa che solitamente riservavano per gli ospiti. Avevo la sensazione che il paio che stavo indossando appartenesse a qualcuno di molto specifico, a qualcuno a cui piaceva il rosa e le cose molto appariscenti. Non lo pensavo per cattiveria, ma perché in mezzo alla stoffa pelosa c'era una grande R colorata in brillantini rosa.
Anche se, a dirla tutta, più che le ciabatte mi straniva proprio essere a casa di Dana. Continuava a ripetermi che il nostro era stato un semplice colpo di fortuna e, come stavamo sperimentando sulle nostre pelli, non tutte le prove sarebbero state fatte a misura per noi, dovevamo rassegnarci a perdere prima o poi. Continuava a fare il gufo del malaugurio, ma era stata lei quella a fermarmi in palestra, prima di tornare in classe, per chiedermi il mio numero. Ed era sempre stata lei la prima a scrivermi e a dirmi di trovarmi sotto casa sua il giorno seguente, per provare. Diceva che sarebbe stata la prima ed unica prova, e che voleva togliersi subito il pensiero, ma non sapevo se dovevo crederle fino in fondo. Era una contraddizione camminante.
«I tuoi genitori e tua sorella non sono a casa?» le chiesi, una volta che la porta della sua camera fu chiusa alle mie spalle. Durante il tragitto dall'ingresso al secondo piano, non avevo visto anima viva e la casa sembrava essere troppo silenziosa perché qualcun altro vi si trovasse.
Dana mi guardò con occhi gelidi. «Siamo qui per questioni di lavoro, non per chiacchierare.»
«Era solo una domanda» borbottai io di rimando.
Lei sbuffò, ravvivandosi i capelli. «Mia mamma e mio papà lavorano fino a tardi, non torneranno prima dell'ora di cena. Mia sorella arriverà nel pomeriggio, di solito passa a casa di una sua amica per giocare subito dopo scuola.»
«Quanti anni ha?» continuai a domandare, curiosa. Spesso, quando le chiedevo qualcosa, faceva finta di non voler parlare con me, tuttavia la maggior parte delle volte finiva con il rispondermi lo stesso. Era quasi divertente, quella dinamica.
«Sei una pedofila? Devo aver paura a fartela vedere?»
«No che non lo sono! Ero solamente curiosa!» esclamai io di rimando, altamente irritata che continuasse a prendermi in giro. Ritiro tutto, quella dinamica tra di noi non era per nulla divertente.
Dana scoppiò in una risata fragorosa, tenendosi addirittura la pancia. «Sei così rossa, sembra che ti stia per partire una vena sul collo.»
Mi tastai il collo, alla ricerca della vena incriminata, ma non trovai nulla. Sembrava tutto completamente apposto.
Mi stava ancora prendendo in giro. «Non sei simpatica. Sarà meglio tornare alla nostra relazione di lavoro se ti devi comportare così.»
«Come desidera lei, Sua Maestà» ridacchiò Dana, facendomi un mezzo inchino. Seppur irritata, una piccola parte di me si sentiva veramente felice di vederla sorridere. Con gli altri era sempre così scontrosa e burbera che ogni più piccolo sorriso che mi rivolgeva sembrava un grande premio, per aver fatto che cosa però non lo sapevo.
Dopo che il suo attacco di ilarità fu finalmente finito, si mise a cercare sul computer la canzone su cui avremmo dovuto provare, poi la fece partire senza preavviso. Sapevo che lei era una danzatrice provetta, ex-capitano della squadra di cheerleading della scuola, ma per me la situazione era estremamente più complicata. Far partire la musica così, di punto in bianco, non mi permetteva di ripensare alle mosse, di ricordare in che posizione dovessi iniziare.
Cercai di starle dietro il più possibile, facendo del mio meglio in ogni movimento, ma sembrava che tutto quello che avevo memorizzato qualche giorno prima si fosse volatilizzato, sparendo per sempre dal mio cervello.
Ogni volta che la canzone finiva, lei mi fissava, come per dire "Allora, hai visto che fai schifo?" oppure "Sei davvero sicura di voler continuare con questa perdita di tempo?", ma ogni volta facevo ripartire il video di YouTube da capo, impuntandomi. Non le avrei dato una soddisfazione del genere.
«Okay, okay. Fermiamoci un attimo solo» disse ad un certo punto Dana, nel bel mezzo del brano musicale, mettendolo in pausa. «Mi sembra chiaro di capire che tu non ti voglia arrendere, ma se non ti ricordi mezzo passo della coreografia è impossibile continuare in questo modo.»
«Pensavo di star andando molto bene, invece» scherzai io, sorridendole.
Lei alzò un sopracciglio, quasi divertita. «Facciamo un pezzetto alla volta, va bene? Ci vorrà più tempo, ma almeno possiamo fare più attenzione ai dettagli. Vedrai che sarà più facile impararla.»
«Possiamo fare una pausa prima? Sto veramente morendo di sete.»
«Okay. Solo pochi minuti, però» mi concesse lei.
Mi avvicinai a lei, mentre si avviava verso il piano di sotto, presumibilmente diretta alla cucina. «Sai, se continui a comportarti in questo modo sembrerà che sia tu quella interessata a fare una bella figura in questa competizione, non io.»
Mi fece accomodare su uno degli sgabelli disposti attorno all'isola della cucina e mi riempì un bicchiere con dell'acqua. Si accucciò tirando fuori da un cassetto una confezione di M&M's. «Ne vuoi un po'? Abbiamo anche altre schifezze o della frutta, se preferisci.»
«No grazie. Ho imparato a mie spese che mangiare prima di fare sport non piace molto al mio organismo» risposi io. Mi guardò strano, ma non mi chiese spiegazioni. Gliele diedi lo stesso, perché stare in silenzio quando ero da sola con lei mi faceva venire voglia di scavarmi una fossa e sotterrarmici dentro, senza uscirne mai più. «Eravamo ad una festa di compleanno di Flora, la mia amica che fa parte della squadra di cheerleading.»
«Conosco Flora, anche suo fratello Elia» mi interruppe lei.
«Okay, beh, era il loro compleanno. C'era questo tavolo pieno di dolci, pizza e focacce farcite e ci stavamo tutti ingozzando come se non avessimo mai toccato del cibo in vita nostra. Poi abbiamo deciso di andare su quelle specie di gonfiabili dove puoi entrare e saltare e ci sono quei cosi a cui puoi tirare i pugni e loro ti rimbalzano contro. Hai presente, no?»
«Sono stata anch'io a delle feste da bambina, credo di aver capito benissimo. Però, se non lo avessi fatto, la tua descrizione molto accurata mi avrebbe sicuramente aiutato a comprendere» sorrise sorniona lei, mentre si infilava una manciata di m&m's in bocca.
«Comunque, siamo entrati per giocare, abbiamo iniziato a saltare, a rincorrerci e, prima che me ne potessi accorgere, ero accasciata sull'erba, in una pozza di vomito.» Al solo ricordo mi venne voglia di vomitare di nuovo. Era stata una delle peggiori esperienze della mia vita. Riviverla non era forse stata la migliore delle idee.
Dana non sembrava molto sconvolta, tuttavia. «Mi verrebbe da dire che te la sei cercata. Non eri molto furba, da piccola.»
«Tutti stavano mangiando e giocando, ma sono stata l'unica a mettersi in imbarazzo. I miei amici non se ne sono nemmeno accorti, è arrivata una bambina che non conoscevo a tirarmi sù. Mi ha portato a lavarmi in un bagno del locale e poi è andata a chiamare tutti i genitori. Non so come abbia fatto a non vomitare anche lei.»
Dana stava per replicare qualcosa, sembrava qualcosa di divertente, stava già sorridendo da sola, ma alla fine annuì e basta, tornando seria.
«Ora che ci penso non riesco nemmeno a ricordarmi chi fosse» borbottai ad alta voce, anche se era più che altro un pensiero per me.
«Lei non penso ti abbia scordata, però. Sarà stato traumatizzante.»
Concordia con lei che quell'esperienza doveva essere davvero stata di grande formazione per quella povera mal capitata.
La conversazione morì lì, riportandoci in quel silenzio che Dana non sembrava mai voler rompere. Non voglio dire che sembrava di parlare con un muro, perché lei mi ascoltava e reagiva ad ogni cosa che dicevo, ma speravo che, qualche volta, fosse anche lei quella ad aprirsi con me.
«Ci converrà tornare alle nostre prove, quella borsa di studio non si vincerà da sola» sbottai ad un certo punto, stanca di quella situazione di stallo. Mi alzai, appoggiando il bicchiere ormai vuoto nel lavandino. «Hai detto che avremmo fatto un pezzo alla volta, no? Allora inizia a condividere con me tutta la tua sapienza, oh maestra.»
Per il resto del pomeriggio, sembrò che Dana volesse trovarsi in qualsiasi altro luogo sulla faccia della terra che non fosse casa sua. Continuammo a provare, lei mi spiegò passo dopo passo, come mi aveva promesso. Ero davvero senza parole davanti alla sua abilità di ricordarsi così bene i passi, di ricordarsi così bene quando dovessimo alzare un braccio o quando dovessimo aspettare qualche secondo prima di ripartire, di ricordarsi ogni più piccolo gesto da fare con le dita. E si ricordava anche che aveva a che fare con me: una ragazzina impedita nella danza, rigida come un tronco ad ogni movimento.
Arrivammo alla parte dove ci dovevamo guardare faccia a faccia, uno degli ultimi pezzi prima della fine della canzone. Era una parte divertente, che riuscivo a ricordare abbastanza perché, la prima volta che mi era stata spiegata, l'avevo dovuta ricreare con un ragazzo sconosciuto, il che mi aveva mandata abbastanza nel pallone.
Mentre la cantante cantava l'ultimo ritornello della canzone, Dana avrebbe dovuto far finta di sfidarmi in un duello all'ultima mossa di danza freestyle. Avrebbe fatto un gesto di sfida con le mani, subito dopo avrebbe dovuto sfoggiare un passo inventato sul momento, dopo di che avrei dovuto fare lo stesso anch'io.
Avrei veramente voluto parlare con la professoressa che aveva creato quella coreografia, urlandole contro che non poteva mettere un gruppo di liceali a fare quella specie di ballo di gruppo da villaggio turistico, ma non avrei mai avuto il coraggio di andare da lei e dirglielo in faccia.
«Questa parte possiamo non provarla, qualsiasi cosa andrà bene» disse Dana. Nell'ultima ora non mi aveva più parlato, se non per darmi indicazioni sui passi o per dirmi di rifare tutto daccapo.
«Penso invece che sia una parte su cui dovremmo concentrarci» la bloccai sul nascere io. Mi guardai le punte dei piedi nudi, sul pavimento di legno scuro della sua casa. «Insomma, so che non sono la migliore delle ballerine e questo è l'unico punto della coreografia che non sarà uguale per tutti. Penso sia una buona idea fare qualcosa che ci faccia risaltare, qualcosa che magari faccia ridere, non so.»
«Qualcosa che tutti si ricorderanno?»
«Sì, più o meno. Qualcosa che almeno faccia colpo sulla vicepreside, se non sui nostri compagni. Alla fine è lei quella che deciderà a chi dare i punti. Se, quando si chiuderà nel suo ufficio per pensare ai vincitori, le verremmo subito in mente sarà di sicuro un punto a nostro favore!» esclamai eccitata all'idea di star per creare qualcosa che mi avrebbe avvicinato alla borsa di studio.
Dana sembrava abbastanza rassegnata a lasciarmi fare, ormai. A lasciarmi divagare in quei miei pensieri contorti. Lei se ne stava lì, annuendo pensierosa.
«Forse mi è venuta in mente un'idea. Però ci devo pensare qualche secondo, intanto andiamo avanti, va bene?»
«Certo, puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per pensarci.»

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Donde viven las historias. Descúbrelo ahora