Capitolo 7 ♡ Cora

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Io e Dana non ci rivolgemmo più la parola per tutta la settimana seguente. Non la vidi molto, ma quando ci incrociavamo per i corridoi faceva finta di non vedermi, come se non esistessi. Onestamente, non sapevo perché mi aspettassi qualcosa di diverso.
Nulla avrebbe dovuto lasciarmi pensare che, di colpo in bianco, mi avrebbe rivolto la parola.
Ed era meglio così. Le persone avevano già iniziato a parlare, erano passate poche ore prima che tutta la scuola avesse scoperto che, nonostante il putiferio che aveva creato, Dana avrebbe concorso alla borsa di studio insieme a me. Qualcuno mi aveva anche fermato per i corridoi, chiedendomi se avessi pensato di rinunciare, se le avevo già parlato o se Dana mi avesse raccontato con chi aveva tradito il suo ragazzo, ma Flora e Nicolò li avevano scacciati via, senza nemmeno dargli il tempo di ricevere una risposta.
Per il resto, le mie giornate continuavano normalmente, come avevano sempre fatto. La mattina andavo a scuola, partecipavo alle lezioni, certe volte mi fermavo con gli altri a guardare i loro allenamenti in palestra, certe volte andavo a lavoro e ci incontravamo dopo, facevo i compiti e studiavo, cercavo di evitare l'argomento borsa di studio con mia madre.
Poi arrivò metà ottobre e con le prime foglie arancioni arrivò anche l'annuncio per il primo evento a cui chi concorreva per la borsa di studio avrebbe potuto partecipare per raccogliere i primi punti.
Il punto di incontro era sempre la palestra scolastica, ma fatta eccezione per un orario molto preciso, nessuno ci aveva fatto sapere di che cosa si sarebbe trattato.
Era primo pomeriggio, quindi le squadre di cheerleading e basket avevano dovuto annullare i loro allenamenti per lasciare spazio a noi. Di solito, si sarebbero lamentati ad alta voce, ma siccome la maggior parte di loro partecipava alla gara per la borsa di studio, nessuno si era fatto sentire.
Quella che si fece sentire, tuttavia, fu la mia ansia. Era il primo passo verso il mio sogno, verso la possibilità di studiare quello che più amavo al mondo e avrei potuto rovinare già tutto. Dovevo fare del mio meglio sin dall'inizio, senza perdere nemmeno un'occasione per raggiungere la vittoria. Era così stressante e Flora non poteva nemmeno accompagnarmi.
Non conoscevo nessuno in quella stanza, solamente qualche cheerleader di vista, ma nessuno dei miei amici si era iscritto. Vedevo Karima, una mia compagna di classe, seduta nella prima fila di panchine, ma stava parlando con un gruppo di ragazze del giornalino scolastico e non ci conoscevamo abbastanza per sedermi di fianco a lei, così dal nulla. Ad un certo punto, mentre me ne stavo imbambolata sulla soglia della palestra, mi notò. Mi fissò per qualche secondo, poi si girò dall'altro lato, lasciando alla mia vista solamente il retro del suo hijab. Sì, non mi sarei assolutamente potuta sedere di fianco a lei, era abbastanza ovvio che non volesse parlarmi.
Scannerizzai un'ultima volta la platea, alla ricerca di un altro volto amico. Dana era seduta nell'ultima fila, quella più in alto, all'estrema destra. Quando i miei occhi si posarono su di lei, mi stava fissando. Poi mi accorsi che non stava guardando me, ma lei.
«Scelta difficile?» chiese Rachele alla mia destra.
«Stavo cercando i miei amici, ma immagino non siano ancora arrivati» mentii io. L'altro giorno, quando aveva iniziato a litigare con Dana nel cortile della scuola, sembrava quasi impossessata dal demonio. Quel giorno, sembrava invece una ragazza normalissima, con il suo cardigan grigio sopra la camicia, abbinato con il cerchietto che le incorniciava il volto perfetto.
I suoi occhi azzurri mi stavano guardando dall'alto al basso. «Sei quella in squadra con Dana, giusto? Ti auguro buona fortuna» disse, andandosene, lasciando dietro di sé una scia di profumo all'arancia.
Mi decisi a muovermi a mia volta, perché stare lì impalata non avrebbe cambiato il fatto che l'unica persona a cui mi sarei potuta sedere vicina, senza sentirmi troppo in imbarazzo, era Dana.
Faceva un po' ridere, perché Dana sarebbe dovuta essere l'ultima persona nella mia lista, quella a cui sarei dovuta restare lontana per non immischiarmi nei drammi degli altri, ma in fondo eravamo compagne di squadra ed era assolutissimamente normale che ci sedessimo vicine.
«Che cos'ha ti ha detto?»
«Ciao, sto bene anch'io, grazie» borbottai di rimando. «Comunque, niente. Crede che tu sia una persona meravigliosa e che abbiamo la vittoria in pugno, in poche parole.»
«Beh, chi dice il contrario mente» replicò lei, le labbra leggermente incurvate verso l'alto in quello che si poteva chiamare a malapena un sorriso. Quel giorno sembrava abbastanza di buon umore, non come la prima volta in cui avevamo parlato.
Non disse più altro e io non mi avventurai nel cercare un argomento di conversazione. Ad un certo punto fece il dito medio ad un ragazzo che ci stava fissando. Poi arrivò la vicepreside e lo ritrasse subito.
La donna, con il suo solito completo elegante completamente nero, si avvicinò al tavolo con microfono che le era stato preparato in precedenza da qualche bidello. Questa volta non lo fece fischiare, per fortuna sembrava aver imparato ad usarlo a dovere.
«Sono molto felice di vedervi qui ragazzi, la competizione per questa borsa di studio è uno dei capisaldi della nostra scuola e sono sicura che anche quest'anno sarete tutti all'altezza di quello che vi sarà proposto» iniziò a dire. «Come sapete, i vincitori saranno coloro che eccellono nello studio, nello sport e in tutte quelle qualità che speriamo la nostra scuola possa tramandarvi. La prima che vogliamo testare oggi, sarà il lavoro di squadra, come vi è stato anticipato.»
Dana di fianco a me borbottò qualcosa, ma la sua voce era così bassa che non riuscii a carpire nemmeno una parola.
«Adesso, chiederò ad un partecipante per ogni squadra di venire qui da me. Quando chiamerò il vostro nome scendete, con ordine» spiegò, sottolineando bene le ultime due parole.
Pian piano che i cognomi venivano chiamati, le coppie si ritrovavano fra le mani una piccola busta bianca, uguale per tutti. La vicepreside ci ordinò di non aprirla finché non l'avesse detto lei.
Subito dopo aver ripreso il mio posto di fianco a Dana, dopo che la vicepreside mi ebbe chiamato, lei mi tirò via la busta dalle mani, osservandola con molta attenzione. Sull'esterno non c'era scritto nulla.
«È solo una busta» le dissi io, allungando il collo oltre la sua spalla, per controllare che non la aprisse prima del dovuto.
«C'è qualcosa dentro» replicò lei, scuotendola un po'.
La ripresi, troppo preoccupata che potesse fare dei danni, in qualche modo. Nelle mie mani la sentivo più al sicuro. Lei mi guardò male, ma alla fine si arrese e si accasciò con la schiena contro il muro di cemento alle nostre spalle.
«Ora, potete aprire la busta. Vi auguro buona fortuna, a tutti voi» concluse la vicepreside, spegnendo il microfono e lasciando la palestra.
Guardai Dana con sguardo interrogativo, lei mi urlò di sbrigarmi ad aprirla. Intorno a noi le altre coppie avevano iniziato a ricongiungersi, ad aprire i loro involucri, tirando fuori tutti la stessa cosa. Anche dalla nostra busta, dopo averla squarciata con poca delicatezza, cadde una piccola spilla ritraente il logo della nostra scuola: una pergamena avvolta su se stessa, chiusa con uno nastro verde e al suo fianco una boccetta di inchiostro blu in cui stava venendo intrisa una penna d'oca.
«Cos'è? Una specie di caccia al tesoro?» chiese Dana con voce ironica. Ma io non credevo che fosse troppo lontana dalla verità.
«Cosa c'è di miglior per testare il nostro lavoro di squadra?» domandai a mia volta, stringendomi nelle spalle.
Dana stava facendo girare la spilla fra le sue dita affusolate, studiandone anche il retro, ma non c'era nulla di speciale in quell'oggetto.
Qualcuno stava già iniziando ad alzarsi, allontanandosi dalla palestra, altre squadre stavano discutendo animatamente, sembrava anche che qualcuno avesse deciso di lavorare in gruppo, in fondo non c'era nessuna regola che lo vietava.
«Credi davvero che stiano chiedendo a dei ragazzi del liceo di partecipare ad un gioco per bambini?»
«Sì, lo credo. È la prima cosa a cui abbiamo pensato tutti, no? Che sia una caccia al tesoro. Dobbiamo solo capire dove andare» pensai ad alta voce, lo sguardo fisso sulla parete dietro Dana, la mente che viaggiava a tutti i luoghi che avrebbero potuto interessarci.
«A vedere così, sembra che ci stiano dicendo di cercare un posto dove è ritratto il logo della scuola» puntualizzò lei. «Ma è praticamente impossibile trovare quello giusto, dovremmo girare tutto l'edificio per trovarlo.»
Aveva ragione, la nostra scuola era molto entusiasta della sua identità e non mancava mai di ricordarci dove ci trovassimo. C'era una bandiera o uno stendardo in ogni classe, c'era una pezza su ogni uniforme, c'era uno sticker su ogni armadietto della palestra, era persino disegnata per terra, in certi corridoi.
«Che strada hai fatto per venire qua?»
Dana mi guardò dubbiosa, ma rispose lo stesso: «Sono venuta direttamente dall'ultima ora di lezione, come tutti gli altri. Non ho avuto nemmeno tempo di fermarmi in bagno, in pratica dovevamo essere qua ancora prima che l'ultima campanella suonasse.»
Annuii sommessamente, anch'io non avevo nemmeno fatto in tempo a salutare gli altri prima di dover correre via e immaginavo che nessun altro lo avesse fatto.
«Questa prova ha bisogno di molto spazio e di molto tempo per essere preparata, quindi possiamo escludere che qualunque cosa ci stiano facendo cercare sia nelle nostre classi, o in qualunque altro posto raggiungibile nel tragitto dalle aule alla palestra. Sarebbe stato troppo facile se qualcuno avesse notato qualcosa di strano mentre veniva in qua» spiegai io. «Il posto più lontano dalla palestra ha la maggior possibilità di essere quello giusto.»
Dana sembrò pensarci sù per qualche secondo, ma sapevo che il mio ragionamento non faceva una piega e non avrebbe mai potuto trovarci qualcosa che non andava. Mi sentivo sicura su poche cose, ma quando si parlava di ragionamenti logici non dubitavo mai.
«Cosa ne dici della mensa, allora?» mormorò Dana, avvicinandosi alla mia faccia, in modo che nessuno ci potesse sentire, una mano a schermarle le labbra da sguardi curiosi. «È dall'altro lato della scuola e sul pavimento c'è dipinto il logo della scuola.»
Quando lo disse, fu come se una lampadina si accendesse nella mia mente. «Hai ragione» le sorrisi, prendendole d'istinto una mano fra le mie. «Sono sicura che sia quello il posto. Sei un genio.»
Lei sembrò quasi imbarazzata dalle mie parole, si portò la mano al collo, liberandola dalla mia presa. «Immagino che non saremmo le uniche ad aver avuto quest'idea. Sarà meglio sbrigarci.»
Mentre scendevamo dalla platea e uscivamo dalla palestra, percorrendo i corridoi della scuola, cercammo di non sembrare troppo convinte sul da farsi. Dana diceva che sarebbe stato meglio non dare troppo nell'occhio, per essere sicure che nessuno ci seguisse, in caso avessimo avuto ragione. Così usammo le ali più esterne dell'edificio, dove meno persone sembravano essersi addentrate.
Oltrepassata la porta della mensa, non ebbi più dubbi sul trovarmi nel posto giusto: i tavoli erano stati ammassati contro le pareti, fatta eccezione per uno che se ne stava al centro della sala, riempito con tante scatole quante sembravano essere le squadre partecipanti. Non eravamo le prime ad essere arrivate, alcuni ragazzi erano chini sui tavoli a lato, intenti a fare qualcosa che ad una prima occhiata veloce non riuscii a decifrare.
La vicepreside ci stava già aspettando lì, le mani dietro la schiena e un piccolo sorriso sulle labbra. «Benvenute, ragazze. Prendete anche voi uno di questi enigmi» ci salutò, indicando con la testa la pila di scatoline marroni sul tavolo davanti a lei. «Prima di poter continuare, dovrete dirmi la soluzione.»
Io e Dana scegliemmo una scatola a caso e ne rovesciammo il contenuto su un tavolo, il più lontano possibile dalle altre coppie. Nel frattempo, arrivarono anche Rachele e Christian, con i rispettivi partner. Dana sembrò irritata dalla loro vista, ma tornò subito a concentrarsi su quello che ci trovavamo davanti: un cubo di rubick, da risolvere.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Where stories live. Discover now