Capitolo 18 ♡ Dana

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Tutte le ragazze erano radunate nello spogliatoio, troppo piccolo per ospitare sia la squadra di basket, sia quelle delle cheerleader, sia le partecipanti alla gara per la borsa di studio. Non c'era un centimetro di panche libero e avevo l'impressione che nessuno mi avrebbe mai lasciato uno spazio per cambiarmi.
Dietro di me qualcuno si mise a borbottare. «Te l'avevo detto che era meglio cambiarsi a casa. Qua non c'è spazio nemmeno per respirare.»
«Eravamo in ritardo, cosa ci posso fare io? Non voglio cambiarmi davanti a tutte queste persone» rispose Carlotta.
«Dana hai intenzione di spostarti o starai in mezzo alla via ancora un altro po'?» si rivolse poi a me Flora, prima ancora che potessi girarmi verso di loro.
«Scusate.»
Siccome avevo la sensazione che la mia presenza in quella stanza non fosse tanto desiderata, ritornai sulla mia strada ed uscii dallo spogliatoio. Per fortuna, passare cinque anni in quella scuola mi aveva fatto scoprire un paio di posti dove non entrava quasi mai nessuno. Mi bastava un posto silenzioso dove poter mettere la divisa da palestra.
«Non ti cambi?» mi domandò Carlotta, poco prima di chiudermi la porta dello spogliatoio alle mie spalle.
«Certo che mi cambio, ma non lo farò qui.»
Un paio di ragazze in reggiseno e pantaloncini da basket si misero ad urlare di chiudere quella dannata porta o tutti fuori le avrebbero viste mezze nude, così uscii una volta per tutte.
Prima che potessi fare una decina di passi, mi ritrovai Carlotta al mio fianco. «C'è un altro spogliatoio?»
«No, sto andando in un ripostiglio dove tengono il materiale per la corsa ad ostacoli.» Nessuno quel giorno lo avrebbe dovuto utilizzare, quindi non mi avrebbero potuto disturbare. «E tu, non ti cambi?»
Lei mi guardò come se fossi appena scesa dalla luna. «Non è quello che stiamo andando a fare?»
Così mi ritrovai in uno sgabuzzino illuminato solamente da una timida lampadina, senza nessuna finestra a far entrare la luce naturale, stretta in un quadrato di spazio circondato da materiale sportivo, praticamente in braccio a Carlotta.
Ripensandoci, avremmo potuto fare a turno. Prima si sarebbe potuta cambiare lei, così sarebbe potuta tornare da Flora in poco tempo, poi sarei entrata io. E sono sicura che, intelligente com'era, a Carlotta non fosse sfuggita questa opzione. Eppure, eravamo entrate insieme.
«Molto meglio che lo spogliatoio» annuì lei, guardandosi attorno. Appoggiò una sacca color prugna su un tavolino schiacciato in un angolo della stanza, tirandone fuori la sua divisa.
«Lo spazio non è molto» commentai di rimando.
«Ma almeno siamo solo noi due. Odio cambiarmi davanti alle altre ragazze.»
«Perché? Ti hanno dato dei problemi perché sei pansessuale?»
Potevo immaginare qualche ragazzina che le sbraitava contro che avrebbe dovuto usare lo spogliatoio dei maschi, visto che le piacevano le femmine. Non glielo avrei mai augurato, ma non mi sarei sorpresa se mi avesse risposto di sì.
Nonostante la domanda non facesse ridere, i suoi occhi si illuminarono di una luce brillante. «No, non per quello. Insomma, all'inizio qualcuno ha fatto un po' di storie, quando i pettegolezzi sono cominciati, ma si sono tutti dimenticati molto presto di me.»
Si morse le labbra, insicura se continuare a parlare o meno, ormai la luce nei suoi occhi si era spenta. «Mi sento solo un po' a disagio con il mio corpo, tutto qua.»
«Non dovresti» replicai, più velocemente e con più foga di quanto fosse stato necessario. «Insomma, non c'è niente che non va nel tuo fisico. Ci sono persone che ucciderebbero per avere le tue tette.» Okay, questo commento di sicuro non aveva salvato la situazione. Era vero, però.
Lei finse una risatina, ma potevo vedere che l'avevo messa a disagio. Ottimo lavoro. «Grazie, credo.»
«Scusami, ho detto una cosa stupida.»
«Sì, abbastanza stupida.» Questa volta rise davvero. «Ma ho inteso cosa volessi dire, quindi sarai perdonata.»
Le sorrisi a mia volta. «Sul serio, il tuo corpo è perfetto così com'è. Non lasciare mai che qualcuno lo metta in discussione.»
Dopo di che, calò il silenzio su di noi. Le guance di Carlotta si erano tinte di un leggere color rosato mentre tiravo fuori a mia volta il mio cambio. Avevo la sensazione che non credesse alle mie parole, ma io ero stata completamente onesta in tutto quello che le avevo detto.
Questa volta, mi sentivo io in dovere di rompere il ghiaccio. «Ah, comunque mi sono scordata di ridarti la tua camicia. Dovrei avercela qui da qualche parte, mia madre ha insistito per lavarla e stirarla spero che non ti dispiaccia.»
«Certo che no, è stato molto carino da parte sua. Ringraziala per me.»
Mentre ci cambiavano, cercai di non guardare nella sua direzione, anche se fu veramente difficile. Ero abituata a cambiarmi in mezzo a decine di persone e non avevo mai provato alcun tipo di problema nel farlo, ma lei sembrava vergognarsi e non volevo metterla a disagio.
Anche lei non mi guardò, nemmeno per un secondo. E mi ritrovai a pensare che avrei tanto voluto che lo facesse.
Uscire dallo sgabuzzino, completamente cambiate, sembrava che anche lo spogliatoio si fosse completamente liberato. La partita si sarebbe svolta all'esterno, nel campo da basket cementato, ma fino all'inizio della partita le cheerleader e i concorrenti per la borsa di studio sarebbero rimasti nella palestra interna, aspettando che il professore addetto li venisse a chiamare per le diverse esibizioni.
In quanto grande progetto ed orgoglio della scuola, noi ci saremmo esibiti nella pausa a metà fra la partita femminile e quella maschile, il momento in cui tutti erano seduti ad annoiarsi aspettando che entrassero in campo le squadre, questo era quello che aveva detto la vicepreside.
«Tu non sei in ansia? Penso che mi stia capacitando solo adesso che dovremmo fare quella stupida coreografia davanti ad un centinaio di persone» stava dicendo Carlotta. C'eravamo sedute su uno degli spalti, mentre aspettavamo che Flora uscisse dallo spogliatoio. Aveva insistito perché mi sedessi con lei, anche se non avevo nessuna voglia di vedere o parlare con Flora. Non eravamo mai state le più grandi amiche già prima che iniziassero i pettegolezzi su di me, qualche volta era troppo rumorosa per i miei gusti e per la maggior parte del tempo non sembravo andarle a genio nemmeno io.
«Non faranno caso a noi. Metà di loro sarà al telefono.»
Per la mia opinione, la maggior parte degli spettatori sarebbe stata troppo scocciata da quasi due ore di partita per fare attenzione a quello che facevamo noi. E i pochi che avrebbero fatto caso a noi, si sarebbero sicuramente fatti un bel po' di risate. Amavo ballare e amavo fare cheerleading, ma anch'io capivo che nessuno era venuto quel pomeriggio per assistere a quella specie di triste balletto.
«Lo spero davvero, non voglio avere più occhi del dovuto puntati addosso» disse Carlotta. La sua voce stava quasi tremando. Speravo solo che Flora si sbrigasse ad arrivare e facesse calmare la sua amica, perché io non ne sembravo in grado.
Fuori, qualcuno annunciò agli altoparlanti che la partita sarebbe iniziata fra meno di cinque minuti. In quello stesso momento le ultime cheerleader uscirono dallo spogliatoio alla spicciolata, con in coda una Rachele al quanto alterata. Quel giorno si sarebbe dovuta esibire ben tre volte e sembravano già in ritardo sul programma. Ci passarono davanti e Flora fu solamente in grado di salutare Carlotta prima di essere spinta all'esterno dalla capitana.
La partita femminile sembrò durare secoli e per tutta la sua durata Carlotta non fece altro che preoccuparsi per qualcosa. Alla fine mi obbligò anche a provare tutta la coreografia per l'ennesima volta, senza musica e davanti a tutti gli altri concorrenti. Almeno la convinsi a non far vedere le nostra mossa segreta, come la chiamava lei.
«Ragazzi! La partita è finita! Ora tocca a voi» ci informò la professoressa che era stata selezionata per coreografare la canzone.
Carlotta sembrava veramente sul punto di scoppiare al minimo passo falso, come un palloncino in un deserto che, se si avvicinava troppo ad uno dei cactus, rischiava di ridursi in mille diversi pezzettini di plastica.
Non ero una di quelle persone che amava il contatto fisico senza che ci fosse una ragione dietro a quel gesto. Specialmente se non conoscevo bene quella persona e non sapevo come avrebbe potuto reagire al mio tocco. Specialmente dopo gli ultimi accadimenti. Specialmente se ero con una ragazza. Ma le presi comunque una mano, intrecciando le sue dita fra le mie.
«Andrà tutto bene. Non è mai morto nessuno per aver ballato davanti ad un gruppo di genitori e parenti vari» le bisbigliai, mentre ci mettevano in fila per uscire, in mezzo alle decine di partecipanti ancora in gara.
Carlotta sembrava ancora preoccupata. «Penso che invece qualcuno ci sia morto. Non è una fine molto comune, ma sono sicura che il decesso per imbarazzo sia qualcosa di scientificamente appurato.»
«Io non ho mai sentito nulla del genere. E poi, guarda, siamo in tantissimi. Nessuno si accorgerà di noi.»
Lei scosse la testa, le sopracciglia corrugate. «No, dobbiamo farci notare. Ricordi? Ci servono i punti.»
«Okay, beh, allora non pensarci troppo. E cerca di divertirti» conclusi io.
Oramai eravamo a metà campo, la luce del pomeriggio nel cielo stava ormai lasciando il posto alla sera, tingendo tutto di un caldo arancione. Per essere una serata autunnale faceva abbastanza caldo. Qualche timido applauso ci accolse mentre facevamo la nostra sfilata, mettendoci nelle nostre posizioni. Le strinsi la mano un'ultima volta prima di lasciarla andare.
La musica partì e, in poco tempo, il nostro spettacolo stava già giungendo al suo termine. Da fuori sembravano un branco di sfigati, ne ero abbastanza sicura, con le nostre magliette bianche e i pantaloni blu della tuta scolastica, ma era alquanto divertente, almeno per me. Carlotta, dal canto suo, sembrava stare per vomitare.
Arrivate al punto in cui avremmo dovuto improvvisare, le feci un piccolo sorriso, cercando di incoraggiarla a dare del suo meglio. Avevamo provato quella piccola sequenza di mosse a lungo ed ero sicura che non l'avrebbe sbagliata.
Come c'era stato richiesto, iniziai io, alzando una gamba in una spaccata verticale. Era uno dei primi passi che imparava chi voleva entrare nelle cheerleader, ma di solito faceva sempre il suo sporco effetto su chi non era molto flessibile. Poi fu il turno di Carlotta.
Si portò le mani dietro la schiena, dove fra la maglietta e i pantaloncini, aveva nascosto un paio di pugni da box rossi, ritagliati con del cartone, con cui fece finta di colpirmi. Alla fine avevamo deciso di puntare tutto sull'ironia e speravamo che la vicepreside apprezzasse il nostro sforzo, in un modo o nell'altro.
Sapevo che in molti avevano fatto meglio di noi, compresa Rachele che si trovava a pochi passi davanti a me, e forse non avevamo nessuna speranza contro di loro. Ma avevamo fatto del nostro meglio, era quello che contava.
Sì, l'ho detto. Me ne stupisco anch'io, non preoccupatevi.
Tutto finì in un battibaleno e all'improvviso mi ritrovai di nuovo all'interno della palestra, con chi correva per cambiarsi nella divisa da basket per giocare o in quella da cheerleading per fare il tifo di metà partita. Molti, tuttavia, si stavano dirigendo agli spogliatoi per rimettersi i loro vestiti normali e cercare di godersi il resto della giornata, prima che fossero annunciati i risultati.
Anch'io e Carlotta tornammo nello sgabuzzino per toglierci pantaloni e maglietta. L'orario scolastico era finito, quindi non dovevamo più indossare l'uniforme e, per qualche motivo, mi stupii quando Carlotta tirò fuori dal suo zaino un vestitino a fiori, con le maniche a sbuffo e un cardigan abbinato. È solo che, a casa mia si era sempre presentata in abiti comodi, se non sportivi, e non l'avevo mai vista in nessuna altra occasione fuori da scuola. Tutto qua. Non stavo fissando le sue gambe che spuntavano da sotto la gonna, non lo stavo facendo. È solo che non le avevo mai viste. Tutto qua.
Carlotta disse che il suo amico, Elia, la stava aspettando nelle tribune e che avrebbe fatto meglio ad andare visto che era rimasto solo tutta la sera. Mi invitò ad andare con lei, ovviamente mi invitò. Più l'avrei conosciuta e più mi sarei resa conto di quanto fosse l'essere più gentile sulla faccia della terra, ma a quei tempi pensai che fosse solamente una di quelle frasi di circostanza, quelle che dici sperando che l'altra persona non accetti. E così feci, le dissi di no, mi trovai un angolo solitario e cercai di guardare la partita senza fissare troppo Christian al centro del campo, fallendo miseramente.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Where stories live. Discover now