Capitolo 6

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Dopo alcuni minuti, per l'ennesima volta immersi in un silenzio tombale a dire poco imbarazzante, ci fermammo con l'auto davanti ad un ristorante di lusso (e sicuramente molto costoso).
La struttura era immensa. Sembrava un condomionio abitato da decine e decine di famiglie da quanto era grande e alta; invece, all'interno, saltavano all'occhio solo tavoli di legno scuri e ricoperti da tovaglie bianco latte ricamate e lunghe quasi fino a toccare terra.
Ci venne ad accogliere un cameriere tra quelli che viaggiavano a passo spedito per la sala da una parte all'altra.
<<Avete prenotato?>>
<<Certo. Un tavolo per due a nome Cooper. Terzo piano>> rispose Alexander calcando le parole "terzo" e "piano" quasi per vantarsene.
Una domanda mi si piantò nel cervello appena lo sentii aprire bocca: tavolo per due? A nome Cooper?
Non sarebbe dovuto essere a nome della madre e, soprattutto, per decisamente più persone di quante ne aveva indicate?
Il cameriere colse il mio sguardo più che stupito ma lo ignorò davanti a una presenza tanto importante quale l'uomo che avevo davanti e che mi dava la schiena.
Prendemmo un ascensore che ci portò fino al secondo piano e, una volta usciti su un'altra sala interamente dedicata a tavoli e sedie piene di persone vestite elegantemente, mi accorsi la presenza di un'enorme scalinata che saliva ancora. I gradini erano piuttosto bassi, facili da salire anche con i tachi, ma la sensazione di qualcosa di strano mi assaliva e mi opprimeva il petto come se stessi facendo una fatica disumana.
<<Prego, è il tavolo vicino alla finestra>> disse infine il cameriere, congedandoci.
In quella sala, al contrario delle altre, le persone erano molte meno. Anzi, erano quasi assenti: oltre a me e al Signor Cooper, c'erano solo altre due coppie.
La grande stanza era sviluppata a L, cosicché, una volta seduti dove ci aveva indicato il cameriere, non ci avrebbe potuto vedere nessuno per la struttura del muro, neanche gli altri quattro clienti che, ormai, non potevo più vedere.
Era l'unico tavolo che, al posto di avere le sedie, era circondato da divanetti in pelle bianca, ognuno dei quali avrebbe potuto ospitare al massimo due persone.
<<Perchè il tavolo che tu hai prenotato è per due? Non dovrebbe esserci la tua famiglia?>>
Le parole mi uscirono spontanee dalla bocca, come se fosse stato il mio inconscio a dirle.
<<Bhe, diciamo che era tutta una scusa. Per uscire con te>>
Aspettò qualche istante prima di continuare, probabilmente per darmi il tempo di assimilare la notizia.
Mi guardò negli occhi sorridendo.
Cercai di spostare lo sguardo altrove ma lo sgomento che mi aveva colpita me lo impediva. Mi impediva qualsiasi movimento.
<<Vedi, mia mamma è morta qualche anno fa ma, ecco, ero sicuro che se ti avessi chiesto di uscire con me a cena normalmente avresti rifiutato. Sei una ragazza troppo buona e leale e non avresti mai accettato un appuntamento col tuo capo>>
Aprii la bocca ma non ne uscì nessun suono e, anche se fossi riuscita a parlare, non avrei saputo cosa dire.
<<Però, per favore, ormai se qui. Non te ne andare. Concedimi la possibilità che mi sono guadagnato, lo ammetto, ingiustamente>>
Si avvicinò di qualche passo a me e ci ritrovammo a meno di venti centimetri di distanza uno dall'altra.
<<Metti da parte le ostilità e, bhe, divertiti. Solo per stasera. Se dopo questo tempo non mi riterrai degno di una seconda uscita pazienza. E, nel caso, sarai libera di licenziarti ma io non ti farò mai alcuna pressione sotto quell'aspetto>>
Aggiunse avvicinandosi ancora di più a me.
Ero una spanna abbondante più bassa di lui nonostante i tacchi e, per continuare a sostenere lo sguardo, dovetti portare il collo in una posizione che dire scomoda era poco.
Di colpo abbassai la testa e, di conseguenza, lo sguardo.
<<Okay>> sussurrai.
Avevo ufficialmente accettato una cena informale col mio capo nonstante questo mi avesse manipolata per farmi arrivare fino a lì.
Vidi il suo sorriso allargarsi e diventare ancora più sgargiante sul suo volto.

Il mio capoWhere stories live. Discover now