Quarantacinque giri

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«Da bambino andavo già a scuola da solo, perché era abbastanza vicina a casa mia, e andavo anche all'oratorio. Poi, finita la scuola elementare, a dodici anni ho cominciato a lavorare. Dai dieci ai dodici anni sono stato a casa perché ero troppo piccolo per poter lavorare. Ho cominciato in una falegnameria e dopo una settimana sono passato ad apprendista. Mica come adesso, che i giovani impiegano anni prima di diventare apprendisti!


Lavoravo in un edificio simile ad un'abitazione, suddiviso in locali in cui si lavorava la legna. Il mio compito era quello di aiutare il mio principale a vendere legna e segatura. Ho lavorato lì fino ai diciotto anni, e poi ho cominciato a lavorare alla fabbrica Marzoli, nella quale c'erano macchine per la filatura e la cardatura. Alla Marzoli facevo facchinaggio, facevo le pulizie. Ci sono stato per sette anni, e dopo sono andato a lavorare alla Lanfranchi, dove venivano, e vengono prodotte ancora oggi, le carniere Lampo, e dove ci ho lavorato fino alla pensione, fino ai cinquantasette anni.

 Ci sono stato per sette anni, e dopo sono andato a lavorare alla Lanfranchi, dove venivano, e vengono prodotte ancora oggi, le carniere Lampo, e dove ci ho lavorato fino alla pensione, fino ai cinquantasette anni

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Quello sono io a sedici anni alla scuola dei disoccupati. Ai giovani ragazzi veniva insegnato loro il mestiere.
Sono il primo in piedi a sinistra.
(Fotografia del 24 aprile 1955)

Non ho mai avuto grandi responsabilità, ma ho sempre fatto le faccende di casa con mia mamma e crescendo, quando lei ha cominciato a farne di meno, le facevo io, mentre lei era impegnata a fare le commissioni.


Angelo non abitava più con noi perché era in seminario, e l'unico che non faceva mai nulla in casa era Luigi.


Il guadagno ricavato dal lavoro lo davo alla mia famiglia. I miei mi hanno appoggiato nelle mie scelte. Bastava andare a lavorare e andava bene. Purtroppo non ho mai maturato la vera ambizione di fare un mestiere piuttosto che un altro. Ci si doveva adattare...


Mio padre e mia madre mi dicevano: «Fai il bravo», era la frase che mi sentivo dire più spesso, anche se tra tutti ero il più tranquillo. Io avevo paura quando mia madre alzava la voce. Mio fratello Angelo invece rideva quando la mamma lo sgridava! È sempre stato una peste!


Il momento della giornata che passavamo tutti insieme era durante il pranzo e la cena. Mangiavamo quel che c'era, ma eravamo felici di stare tutti insieme!


Avevo un buon dialogo con i miei genitori, con entrambi. Purtroppo mio papà è morto giovane, aveva cinquantasei anni, e ho dovuto supportare e sopportare mia mamma.


Una volta i dialoghi erano più belli, ed eravamo più contenti, anche se non avevamo niente. Oggi invece più si ha e più si vorrebbe, ed è per questo che i giovani non sono mai contenti.


Nella mia famiglia la persona che in genere prendeva le decisioni più importanti era la mia mamma. Diciamo che era un po', come dire, dittatrice. Se non si faceva come diceva lei, guai!


Io non venivo assolutamente consultato. Io e i miei fratelli ubbidivamo e decidevano qualsiasi cosa i nostri genitori. Era un'ottica diversa, e noi figli ci adattavamo a tutto.


La prima cosa che ho comprato con i miei risparmi sono stati i dischi, i quarantacinque giri. Li compravo al negozio Cremaschi, che vendeva dischi, radio e giradischi e, più avanti, anche le tivù.


Sai, non scrivevamo i biglietti di auguri nelle occasioni speciali. La carta era un bene prezioso, e bisognava impiegarla per le cose davvero importanti. Gli auguri si facevano di persona, ed erano belli lo stesso.


Il giorno di Pasqua mi piaceva un sacco, mi ricordo, perché mio papà mi svegliava presto, preparava le uova da decorare sul tavolo, che la mamma procurava la sera prima, e mi faceva sentire le campane che suonavano alla finestra»

NONNO Scriviamo la tua StoriaWhere stories live. Discover now