39. Il peso della Speranza

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NICHOLAS POV

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NICHOLAS POV



Nessuna luna in cielo quella sera. Solo un lampione illuminava il giardino.

Adam strinse William a sé, le spalle che ancora tremavano, non aveva smesso un attimo di piangere.

Mamma gli tenne la porta di casa aperta per invitarli a entrare; un delizioso odore di scones proveniva dall'interno. Il piatto preferito di Will, che aveva preparato il giorno prima per il suo undicesimo compleanno.

Spostai lo sguardo sulla lapide adagiata in giardino su un cumulo di terra scavato di recente. Rex, c'era inciso sopra con grafia storta e imprecisa.

«Entri?»

Sollevai il capo per osservare mia madre, il volto indurito dalla sofferenza oppure solo dalla mia presenza. Distesi le labbra, allungai un passo per seguire i miei fratelli dentro casa, ma il suo sguardo calò repentino su di me e mi pietrificai.

«Lo sai perché Rex è morto?»

Scossi la testa.

«Perché il riccio che si nasconde nel nostro giardino, e a cui Will da sempre da mangiare, ha deciso di attraversare la strada.» Indicò con la testa oltre la siepe accanto a noi. «Will diceva sempre che Rex e il riccio erano amici. E a quanto pare era vero.»

Rimasi in silenzio. Non riuscivo a parlare, era a causa del tono che stava usando, non mi piaceva.

«Quello stupido riccio ha deciso di attraversare la strada proprio mentre stava passando un'auto. E il coraggioso Rex cosa ha fatto? È corso in mezzo alla carreggiata per salvarlo.»

I capelli scuri e lisci di mia madre vennero scossi da un vento gelido.

«Quel riccio porta con sé una maledizione, lo sai?»

Scossi di nuovo la testa, incapace di parlare.

«Rex non è morto perché è stato investito dall'auto, no, è morto per colpa degli aculei di quello stupido riccio che gli si sono conficcati in bocca mentre lo stava salvando. È colpa del riccio se Rex è morto. Non doveva diventare suo amico, questa è la sua maledizione.»

Mi scavò il cuore e vi lesse tutto il nero che ero. «E la tua, Nicholas.»

Mi sentivo sporco, mi sentivo male, mi sentivo nel posto sbagliato. Come se io, lì, non ci dovessi stare.

«Entri?» Un invito e un ammonimento.

«No...»

«Bene.» Ed entrò in casa lasciando sbattere la porta dietro di sé.

Mi sedetti a terra, incrociai le braccia esili, arricciai la felpa sui polsi e lasciai cadere il mento su di essi.

«Perché sei morto?» La mia voce si disperse nella notte... e poi lo vidi.

Black Moon ~ Il peso della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora