26. Gabbie dorate

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When you're helpless,
waiting to collide
Through the flames you're by my side
We'll go down together

Hidden Citizens - Immortalized


Il ronzio di sottofondo del velivolo mi serpeggiava ancora nelle orecchie; l'aria viziata odorava di caffè solubile, detergente floreale e cibo pronto.

Mamma, Nicholas, mio padre...

Le mie sinapsi erano una tubatura rotta. Non ci passava un pensiero che riuscisse a giungere a termine; si incastrava, rotolava fuori, per poi ripartire da capo, in un loop infinito. Impulsi elettrici in un sistema a circuito chiuso.

«Lo avrei fatto anche io, se fosse stata mia sorella...»

A malapena ruotai il capo, il mento sfiorò la spalla; il tessuto stropicciato della maglia grigia che indossavo auliva della giornata interminabile che era iniziata con quel messaggio rischioso ad Alice ed era giunta all'apice con la chiamata di James Black.

Ero in pessime condizioni. Guardai di sottecchi Emily. Lo eravamo entrambe.

Il mio riflesso, nella parete a vetri che costeggiavamo per dirigerci verso l'uscita dall'aeroporto, rimandava un'immagine decadente e grottesca di quella che una volta era stata una figlia della luna. Avevo i capelli spenti, sfibrati e sciupati, la pelle del viso screpolata e la magrezza come segno indelebile di ciò che mi stava consumando dentro.

«Lo avrei fatto anche io.»

Parve un disco rotto, la sua voce. Le nostre pupille dilatate e sofferenti si imbrigliarono per un momento appena, isolate dal brusio costante ed eccitato dei viaggiatori intorno a noi.

La paura era una brutta bestia, ma la rabbia annebbiava anche le menti più salde rendendo la visione distorta e infiammata.

Io lo ero entrambe: terrorizzata e furiosa.

Eppure la sentivo ancora, quell'adrenalina assopita in me, come un drago dal cui naso usciva fumo, in attesa del destarsi. Ero convinta di quello che avevo fatto, non avevo vuoti di memoria, alterazioni della realtà e questo... questo mi spaventava più di ogni altra cosa. Qualcosa, in me, non andava.

Emily non sarebbe mai caduta in quel trabocchetto da bambini dell'asilo. Perché lei e Ivan sembravano gli unici rimasti saldi da quando eravamo in Australia, io no e Will... be' su Will non ci avrei giurato.

Ci incanalammo nella fila disordinata degli stremati ma esaltati viaggiatori in arrivo all'aeroporto di Brisbane; era gigantesco, composto da più piani, vi transitavano passeggeri dalle mille storie, con profumi intensi ed emozioni che colavano via dalle pieghe del viso.

Avevamo preso il primo volo disponibile da Sydney e, per un'ora e mezzo, avevamo agonizzato, ognuna rinchiusa nel proprio infernale silenzio. Sollevai il telefono di Emily che avevo appena riacceso e notai la notifica di un messaggio.

«Ivan è ai check-in dei voli domestici» le comunicai, prima di riporlo nella tasca esterna dello zaino.

Lo aveva dato a me mentre io avevo ceduto il mio, smontato dalla scheda SIM e spento. Perché glielo aveva ordinato Ivan. E nessuna delle due aveva avuto il coraggio di dissentire. Avevo già fatto troppi danni.

«Non avrei mai dovuto rispondere...»

«È inutile incolparsi.»

Lo sbuffo che utilizzai per camuffare una risata scoraggiata non le sfuggì e aggiunse: «Allora fai come vuoi, ma sappi che così non risolvi niente.»

Black Moon ~ Il peso della SperanzaWhere stories live. Discover now