chapter 33

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Era da circa un ora che continuavo a correre. I risultati erano evidentemente migliorati.  Gli occhiali proteggevano maggiormente gli occhi, quindi la vista era migliorata e di conseguenza riuscivo a correre molto più veloce rendendomi conto dello spazio circostante. La tuta era fatta più o meno dello stesso tessuto di quello che si utilizzava per le tute dei pompieri, ma più resistente. Anche le scarpe erano di grande aiuto. Erano morbide al contatto con il terreno e questo mi permetteva di correre con comodità. Inoltre erano anche meno scivolose. L'unica cosa che dovevo ancora migliorare era l'atterraggio. Ogni volta la velocità era troppa e finivo per non fermarmi al momento giusto, e per evitare di schiantarmi sulla casa o su Tony e Zia Zora, sterzavo la mia direzione verso destra dove c'era un vasto territorio morbido e deserto. A volte finivo per rotolare a qualche metro da Tony e Zia Zora.

Stavi correndo in torno al campo al limite della mia velocitá andando, qualche volta, con dei scatti più veloci. Poi spezzai quel giro infernale e corsi in direzione di zia Zora e Tony, ma il mio corpo non si fermava. Era troppo veloce. E così a malincuore sterzai la mia direzione verso la parte della campagna morbida rotolando per circa dieci metri. Zia Zora corse subito a controllare se stessi bene. Questa volta i danni erano leggermente più gravi. Avevo portato dei graffi leggermente più lunghi e profondi rispetto agli altri. Ma questo non era un problema. Non per me. Sarebbero guariti nel giro di una ventina di minuti.  «Stai bene?» chiese Zia Zora sfiorando leggermente le ferite sul mio volto, io mugolai qualcosa che doveva star a significare sì. Poi mi aiutò ad alzarmi e percorremmo insieme i dieci metri di distanza tra noi e Tony che mi guardava con disapprovazione. Lo capivo. Non era facile. Si era allontanato dalla sua vita quotidiana per me e io lo ripagavo così. Dovevo darli di più. «Lo so, lo so, non è abbastanza ma sto facendo del mio meglio» anticipai io prima che qualcuno dei due, specialmente Tony, potesse dire qualcosa. «Sai cosa penso?» inizió Tony
«Penso che sottopressione riusciresti a lavorare meglio» disse, zia Zora esclamò un «cosa?!» mentre io sollevai lo sguardo in cerca di spiegazione. Ne volevo sapere di più. «Si, una situazione di pericolo di morte, tua o di chi ti sta caro. In fondo non è così che hai scoperto la tua velocità?» disse con una domanda retorica finale. Beh era vero, e avrebbe anche funzionato, ma non avevo voglia di mettere in pericolo le persone che amavo.

Dopo aver ripreso fiato, ripresi a correre, con l'unico pensiero di dare il massimo. Non per me, ma per Tony e Zia Zora che stavano facendo del loro meglio. Lo feci anche per Nat, anche se non sapevo dove e come chi fosse, dovevo dare il meglio anche per lei. Dovevo dare il meglio per i miei genitori che sono morti cercando di proteggermi da questo. Mentre questi pensieri vagavano per la mia testa, la mia velocitá era aumentata e quando ritornai in me mi resi conto che era il momento di frenare. Così, concluso il giro,  corsi in direzione di Tony e Zia Zora, diminuii la velocità e sterzai i piedi in modo da frenare il mio corpo. Nonostante ciò caddi lo stesso ma senza roteare per svariati chilometri. E questo era un grande passo. Quando mi rialzai corsi verso Tony e lo abbracciai come se fosse l'unica cosa a cui potessi aggrapparmi «ce l'ho fatta» continuavo a ripetere, poi abbracciai zia Zora stringendola il più possibile a  me. La mia felicità era a livelli estremi. Era da tanto che non mi sentivo così orgogliosa di me stessa. Forse era fin troppo tempo che non provavo questa sensazione. Dopo le varie congratulazioni, mangiammo qualcosa al volo per saziare il nostro stomaco. Eravamo tutti seduti a tavola, Tony in capotavola e io e zia Zora ai suoi lati, precisamente io a sinistra e lei a destra di Tony.
«credo che ormai tu abbia tutto il necessario, quindi non credo che ci resti molto tempo per stare qui» tirò fuori il discorso Zia Zora. Alzai un sopracciglio mentre finivo di masticare un boccone di pane. «Cosa significa?» chiese Tony, «Dico che ormai è in sesto, e può tornare alla sua vita normale, salvando persone.» rispose lei, abbassai leggermente il capo. "Alla sua vita normale" come se ne avessi mai avuta una. «No, non se ne parla. È una ricercata, non sappiamo nemmeno tutto su quello che quel siero le ha dato!» esclamò Tony alzando leggermente il tono della voce «Lo scopriremo strada facendo!» ribatté zia Zora alzando di conseguenza il tono di voce. Tony fece per ribattere ma lo precedetti «Ha ragione. Non posso starmene qui per tutta la vita non sfruttando al meglio le mie potenzialità per fare del bene.» dissi con tono calmo. Tony raddrizzò la schiena e dopo qualche minuto di silenzio si voltò verso mia zia e domandò:«Dove vorresti portarla?»
Lei abbassò leggermente lo sguardo, sospirò e poi rispose:« Stanza Rossa» A quell'affermazione il respiro si blocco per un istante. «Credevo che fosse distrutta già da qualche anno se non di più» dissi io «Dreykov è ancora operativo» continuò. Natasha ne aveva parlato qualche volta, in missione, ma non ho mai approfondito il discorso. Non era una mia priorità e inoltre non volevo farle riaffiorare brutti ricordi. «Stanza Rossa?» chiese Tony inarcando un sopracciglio non capendo di cosa stessimo parlando. «É dove la vostra collega, Natasha Romanoff, è stata addestrata insieme ad altre centinaia di migliaia di ragazzine a diventare delle brutali assassine, sono chiamate vedove.» disse. Tony rimase sorpreso dalla risposta. Non ne sapeva molto sul passato di Natasha e non gli era mai interessato fino a questo momento. Rivolsi uno sguardo a Stark che giocherellavo con la forchetta gli avanzi di cibo «Tony...» richiamai io e lui alzò lo sguardo verso di me «Lo sai che devo trovarla e sai anche che lei c'entra in tutto questo» dissi afferrandoli una mano. Lui resto in silenzio osservando la sua mano coperta dalla mia e poi alzò lo sguardo verso di me. «chiamami appena puoi» disse soltanto. Sorrisi leggermente a quella risposta. «Partiremo domani mattina, ma prima credo che tu dovresti almeno cercare di cambiare look» disse lei riferendosi ai capelli. Io annuì e 5 secondi dopo ero in bagno ad applicare la tinta. Aspettai il tempo necessario e poi mi lavai e asciugai i capelli che inoltre avevo leggermente tagliato. Una volta finito, poggiai le mani al lavandino e alzai lo sguardo verso lo specchio. Vorrei non averlo mai fatto. In pochi secondi ciò che era la mia faccia si trasformò nella faccia cadaverica di Pietro Maximoff. Scacciai un piccolo urlò portandomi una mano alla bocca e allontanandomi dal lavandino. Girai il capo e lo vidi di fronte a me. Scacciai un urlo ancora più forte e caddi all'indietro finendo in un angolino del bagno, con le ginocchia al petto e la mano ancora ferma sulla mia bocca, gli occhi spalancati e il cuore che batteva. Lo vedevo. Era lì. Pallido come la neve, la sua tuta celeste sporca del suo sangue e i proiettili ancora nel suo corpo. Gli occhi erano bianchi, né un iride e né una puppilla, solo bianco. Ghignava nel vedere la mia reazione. Forse era un allucinazione, ma era troppo vero affinché me ne rendessi conto. Lanciai tutto ciò che avevo in torno verso la figura che non scompariva finché non bussarono alla porta. «Tutto ok li dentro?» chiese una voce femminile ovattata dalla porta. Zia Zora. Pietro era ormai sparito. Risistemai gli oggetti lanciati, e corsi ad aprire la porta uscendo da quella stanza infernale. Ero tutta sudata e quando mi chiesero cosa fosse successo risposi che avevo visto uno scarafaggio e mi ero leggermente spaventata. Fortunatamente Zia Zora ci casco ma Tony, invece, non era molto convinto ma lasció fare.

Il resto della giornata passò tranquillamente, cercai di pensare il meno possibile a ciò che avevo visto, eppure continuavo a chiedermi perché? Forse il fatto che anche lui era un velocista? O forse il fatto che il colore della tinta dei capelli era uguale alla sua? O forse queste due cose insieme hanno portato a questo risultato?
Tra una domanda e l'altra arrivò la sera, e Tony insistette per dormire con me visto che non sapevamo quando ci saremmo rivisti. Io non ci credevo molto ma non ci diedi molto peso. Nonostante ciò portai con me un coltello e lo nascosi nella manica della felpa. Era una precauzione. Forse mi avrebbe aiutato in caso di incubi. Tony e io parlammo per circa un oretta senza accennare a ciò che era successo in bagno, poi ci addormentammo.

Ero da sola. In una stanza ricoperta di specchi che riflettevano la mia immagine. In ogni specchio ero deformata: Alta e snella, bassa e robusta, e così facendo. Ero confusa, sperduta, disorientata. Poi trovai uno specchio diverso dagli altri, che rifletteva la mia immagine perfettamente, senza alcuna deformazione di illusione ottica. Mi avvicinai e lo ispezionai e poi vidi il mio corpo morto. Occhi bianchi, pelle pallida, labbra violacee e corpo ricoperto di sangue e proiettili. Urlai. Nessuno però poteva aiutarmi. La mia faccia aveva preso la somiglianza del Pietro che avevo visto in bagno. La mia immagine impressa in tutti gli specchi, un alternanza tra la mia e la sua di immagine. Urla su urla e nessuno mi sentiva. Pregavo che qualcuno mi svegliasse ma ciò non accadeva mai. "Dai ora finisce, sto per svegliarmi, è solo un incubo." era questo che mi ripetevo. Poi sentiì la voce di Tony chiamarmi, corsi verso di lui attraversando tutti gli specchi ma quando lo vidi la morte che era in me fece come per uscire e trasportarsi su Tony. Come una malattia contagiosa. Gli specchi rifletterono la sua immagine. Scuotevo la testa. Ciò non era reale. Non era reale.  E mentre lo ripetevo mi trovai come teletrasportata al corpo morto di Natasha che mi guardava con quegli occhi bianchi e cupi. Poi dai lati sbucarono Tony e Pietro, con lo stesso aspetto morto. Urlai più forte delle precedenti e fu lì che mi svegliai, lanciando in automatico il coltello che colpì la parete. Il respiro era affannato. Il cuore martellava il petto. Sudavo freddo. Tony si era svegliato, ovviamente, e guardava sorpreso la scena anche se in un certo senso se l'aspettava. «Hai sognato uno scarafaggio?» chiese. Voleva delle spiegazioni. E gliele avrei anche date, ma non ne avevo. Non sapevo cosa stesse succedendo. Ma nonostante ciò gli spiegai tutto, a partire da ciò che è successo in bagno fino all'incubo. Lui mi abbracciò e poi mi invitò a prendere dell'acqua. Io accettai. Fortunatamente Zia Zora non si svegliò. Scesi al piano di sotto mi porse un bicchiere d'acqua. Lo prosciugati in pochi secondi. Tony mi offrì delle pillole per il sonno e io accettai.Mi confessò che le utilizzò nel periodo in cui io ero allo S.H.I.E.L.D. e lui soffriva di incubi e attacchi di panico.

Mentre lui cercava le pillole, io camminai tra li scaffali e gli scatoloni presenti in casa finché non mi soffermai su una foto in particolare. Era una foto mia e di Stark di quando entrai a far parte della Stark industries. Dietro era attaccata una piccola striscia bianca con sopra attaccate delle foto mie e di Stark, probabilmente fatte in una cabina. Sorrisi alla vista di quelle foto. Eravamo così...felici. Tony mi richiamò risvegliandosi da quei ricordi. Infilai la striscia nella tasca dei pantaloni e mi recai da Tony. «Trovati?» dissi, lui rispose mostrandomi la scatola dei farmaci. Presi una pillola e la ingoiai bevendo dell'acqua. Dopodiché ritornammo a letto e quella volta gli incubi furono soppressi dal farmaco. La mattina seguente mangiammo qualcosa di veloce e poi ci preparammo per cercare informazioni sulla Stanza Rossa. Tony mi diede un telefono usa e getta per chiamarlo in caso di necessità. Chiesi se sapeva dove fosse Natasha ma lui non ne aveva idea. A quanto pare anche lei era una fuggitiva. Prendemmo lo stretto necessario se non di meno, la fame o la sete era la nostra ultima preoccupazione. Zia Zora fece un rifornimento di armi e auricolari. Io misi gli occhiali e la tuta ma prima di partire salutai Tony e infine presi la striscia di foto «dove le hai trovate?» chiese lui sorpreso «In mezzo a quegli scatoloni» dissi io ridendo. Divisi a metà la striscia. Diedi una metà a Tony e l'altra la tenni io. «Così non ti dimenticherai di me» dissi io e lui sorrise scuotendo la testa «Come farei a dimenticarti?» chiese lui ancora sorridendo. Ne avevamo passate tante insieme e ne avremmo passate insieme ancora. Quella era la mia unica certezza. «Fagli vedere chi sei... Winter Widow» disse Tony dandomi una pacca sulla spalla. Sorrisi poi presi sulle spalle zia Zora iniziai a correre verso la nostra prossima destinazione. Melina Von Vostokoff. Che ci avrebbe condotto verso la stanza rossa.

Bastardi a mano armata ||Natasha Romanoff Where stories live. Discover now