22 ~ SOFIA

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Ed ha una faccia strana, assorta, quando spunta dal corridoio. Apre la porta di casa ed è allora che mi accorgo che camminare sarà più doloroso del previsto. Fare ogni passo mi costa uno sforzo immenso. Devo essere forte e resistere. Stringo i denti quando la prima stilettata mi trafigge un fianco e prego di non mettermi a piangere come una bambina.

Arrivati in strada, diversamente dalle volte precedenti, è Zac a mettersi in testa al gruppo. Io ed Ed lo seguiamo uno affianco all'altra. La sua espressione è ancora uguale a prima, perso nei suoi pensieri. Alza lo sguardo proprio in quel momento e si accorge che lo sto osservando. Sento il sangue fluirmi al volto.

«Tutto bene, Sofia?»

«Sì, abbastanza.»

Nel frattempo i miei muscoli protestano vivamente per quello sforzo non richiesto.

«Se ogni tanto ti vuoi fermare a riposare devi solo dirlo.»

«Okay, grazie.»

Camminiamo in silenzio per un buon tratto di strada. Ci stiamo avventurando in una zona boscosa al di fuori della città. Mi chiedo come Zac possa conoscere quel posto. Mi guardo intorno ma vedo solo alberi, tutti identici, mentre lui sembra sapere esattamente dove andare, quando girare, come se ci fossero dei segni distintivi che gli dicono cosa fare. Mi domando quante cose ci siano che non so del mio amico. È un tipo piuttosto misterioso e molto introverso, il nostro linguaggio è fatto più di gesti che di parole.

Lo guardo incedere davanti a me col suo passo sicuro, le testa alta, le spalle larghe. Mi dà un senso di protezione, come se non potesse essere intaccato da nessun male e niente potesse scalfire il suo corpo possente. Invincibile, insomma. Mi accorgo che ogni tanto si guarda alle spalle per controllare se sto bene e, sebbene dentro sto urlando dal dolore, mi mostro serena, come se andasse tutto alla grande e gli accenno un piccolo sorriso.

Camminiamo ormai da molto quando finalmente Zac si ferma davanti ad un albero che mi appare come gli altri cento che ha attorno. Ci fermiamo di botto e le mie povere membra martoriate non lo tollerano. Mi cedono le gambe e finisco a terra come una mela matura quando cade dall'albero. Entrambi i miei accompagnatori si voltano verso di me preoccupati. Che figura pessima, stavo andando così bene, mi sentivo di aver acquisito dignità e ora ho rovinato tutto. Maledetti muscoli, non potevano resistere ancora un po'?

«Stai bene?» mi chiede Ed guardandomi con i suoi occhi meravigliosi.

Lo so, l'ho già detto cinquanta volte come sono i suoi occhi, ma cosa ci posso fare se ogni volta ne rimango incantata guardandoli?

«Più o meno.»

«Più o meno?» mi chiede Zac.

Non rispondo.

«Va bene, facciamo un attimo una pausa prima di proseguire» dice il mio vecchio amico sedendosi per terra accanto a me. Si siede anche Ed, ma dalla parte opposta rispetto a Zac. Sono davvero incredibili quei due, proprio non si possono tollerare. Mentre mi riposo guardo l'albero davanti a cui ci siamo fermati. È molto grande, con un tronco largo e robusto. Le radici sono contorte e creano grandi ombre. Non saprei dire che albero sia, ma di sicuro è molto vecchio.

«Possiamo ripartire se volete.»

«Sicura?» mi chiede Zac premurosamente.

«Sicurissima.»

Senza una parola ci alziamo e Zac si avvicina alle radici. Scompare in une delle grandi ombre alla base del tronco. Dopo poco rispunta fuori, dove io ed Ed siamo rimasti, piuttosto perplessi, e ci fa segno di seguirlo. Così ci addentriamo tutti e tre nel buio. Tra le possenti radici c'è un passaggio, come si sarebbe potuto immaginare.

Fuori da queste pagineWhere stories live. Discover now