35 ~ ED

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Prendo due sacchi neri della spazzatura mentre Zorro e Greg sono impegnati a legare ben bene l'ammasso putrescente di carne e inchiostro (nel farlo altre grosse gocce del suddetto inchiostro cadono sul pavimento, il mio bel pavimento in legno, verniciato da poco, rovinandolo con delle chiazze scure che sono sicuro non andranno via facilmente). Michi e Lex mi seguono e cercano di nuovo di farmi ragionare, ma non mi sforzo nemmeno di ribattere questa volta. Io voglio proseguire nell'impresa, senza alcun ombra di dubbio, però non riesco ad affermarlo con la stessa convinzione di poche ore fa perché ho ancora negli occhi l'immagine di quella creatura, tanto simile ad un uomo, che muore col cuore trafitto da una spada. Se parlassi probabilmente mi convincerebbero a mollare tutto e darmela a gambe, percependo l'esitazione nella mia voce, e non posso permettere che ciò accada. Adesso anche Michi è molto convinta che siano dei pazzi assassini e che di conseguenza siano pericolosi, ormai appoggia pienamente l'opinione di Lex, e forse hanno ragione, anzi ne hanno da vendere, ma per qualche inspiegabile motivo io voglio ancora aiutare Sofia benché dentro tremi di paura. È una cosa così stupida? Non mi rispondo, so benissimo che lo è.

Mi tornano in mente le parole di Zorro: "questa non sarà l'unica morte a cui assisterete, ma, se non siete pronti ad uccidere per difendervi, la prossima sarà la vostra". Potrei morire sul serio? Mi sembra un'ipotesi così astratta, come se mi trovassi in un videogioco dove non si muore per davvero, eppure è reale, quindi il rischio c'è e oggi mi è stato dimostrato quanto sia concreto. Lex mi scuote per le spalle strappandomi ai miei pensieri.

«Ti prego, Ed, mandali via» mi scongiura.

Io lo guardo negli occhi, ma mi sento stordito, lo scaccio via con le mani, lo allontano da me e poi torno in camera come un automa. Sono dentro una bolla e il mondo esterno mi giunge ovattato, sottotono, come se fluttuassi. Quell'uomo è morto, cioè non è un uomo, ma quasi, ed è morto. Morto. Cosa sto facendo? Perché non do retta ai miei amici? Sono completamente ammattito?

Quando torno dalla cucina con in mano i due sacchi trovo Sofia china a terra intenta a cercare di togliere le macchie che mi hanno fatto venire voglia di piangere. Ha in mano uno straccio, che probabilmente ha trovato in bagno, con di fianco una ciotola con dentro dell'acqua e sta sfregando nel tentativo di far scomparire le patacche nere, ma non sembra ottenere alcun risultato, anzi, casomai si stanno espandendo sempre di più.

Mi fa tenerezza perché so benissimo che non ha mai dovuto pulire niente in vita sua e mi piace pensare che lo stia facendo per me, perché vuole farsi perdonare per il vetro rotto, per tutte le "persone" che ora occupano casa mia, per il trambusto e le stranezze che ha portato nella mia vita, per essere comparsa così all'improvviso senza che nessuno mi avesse prima chiesto se a me sarebbe andato bene e che, nonostante tutto, ho accettato di buon grado. Penso che si senta in debito nei miei confronti. Ecco perché non posso rinunciare e non do ascolto a tutti i buoni consigli dei miei saggi amici, il motivo è lei. Mi ci sono affezionato e il pensiero di abbandonarla mi fa soffrire. Non è lei ad aver bisogno di me, ma il contrario. Mi riconosco nella sua fragilità: non siamo tutti deboli allo stesso modo davanti al dolore? È semplice e anche un po' ingenua, ma è buona, non crudele come il suo amico squilibrato, e io voglio solo stare con persone buone che mi facciano sentire bene.

Mi avvicino alla sua figura inginocchiata e, chinandomi a mia volta, le prendo il polso tra le dita per impedirle di continuare il suo lavoro. Alza lo sguardo dal pavimento per fissarlo nei miei occhi e un ricciolo le cade davanti al viso. Provo un incontenibile istinto di spostarglielo dietro all'orecchio, ma so che non è il caso con tutte quelle persone intorno a noi che penserebbero male, che vedrebbero in quel gesto qualcosa che in realtà non esiste. Ripenso al mio discorso con Lex al supermercato. È solo affetto o l'amo?

«Lascia stare.»

«No, io voglio esserti di aiuto» dice cercando di liberarsi il polso. Nel farlo un'altra ciocca le scivola sul volto aumentando la mia agonia.

Per quale motivo dovrei provare quell'impulso irrefrenabile di toccare, anche solo per poco, i suoi capelli? Di infilarci le dita dentro per perdermi in quella soffice esplosione di sfumature che vanno dal colore del grano maturo nei campi a quello della sabbia baciata dai raggi del sole, finanche a quello della crema di nocciole che fa ogni anno mia madre per il mio compleanno? Decido che il cielo mi vuole punire per qualcosa che ho combinato, ma che al momento mi sfugge. Cerco di controllare quelle sensazioni che dentro di me sono tempesta.

«Davvero, lascia stare. Tanto non andranno via solo con un po' d'acqua e la buona volontà, penso che dovrò ricorrere a un prodotto più efficace.»

«Mi spiace così tanto. Prima il vetro e ora questo. Vorrei poter fare qualcosa per sdebitarmi.»

Nel parlare scuote la testa, dispiaciuta di non poter far niente per me, e altre ciocche si uniscono alle due che già sfidano la mia capacità di repressione degli istinti. Sento le mani prudermi dalla voglia di allungarle verso la sua chioma.

«A volte si fanno cose senza volere niente in cambio.»

Quasi dotata di vita propria la mia mano si sta sollevando per avvicinarsi al suo viso. Lei si muove impercettibilmente nella mia direzione, come se mi stesse dando il permesso per toccarla. Noto che nel suo occhio destro c'è una pagliuzza dorata di cui non mi sono mai accorto prima: sembra che una goccia di sole sia rimasta intrappolata nel cioccolato fuso.

«Eh-ehm.»

Per l'ennesima volta Zorro interrompe... Be', non saprei descrivere quello che sta succedendo tra me e Sofia tutte le maledette volte che si intromette. Mi alzo lasciando ricadere il braccio lungo il fianco.

«Noi abbiamo finito. Ora mettiamolo dentro i sacchi» dice guardandomi con gli occhi argentati che sembra si siano induriti fino a diventare due blocchi di metallo affilato. Comincio a pensare che se potesse mi ucciderebbe pugnalandomi con il suo sguardo. Tanto per lui non è un problema ammazzare una persona, lo ha dimostrato in modo eccellente.

Gli passo i due sacchi dell'immondizia dentro i quali infila il cadavere insieme ad alcune pietre che ho raccolto negli anni durante le mie passeggiate in montagna. Ne utilizziamo due per essere sicuri che resista al peso del corpo nel portarlo fino alla barca.

«Perfetto» dice Greg. «Adesso dobbiamo solo aspettare che sia abbastanza buio. Sono piuttosto agitato, questa è la prima cosa vera, le prima avventura, da quando sono uscito da quella prigione. Certo speravo che fosse qualcosa di più piacevole, ma vi assicuro che, dopo anni passati ad annoiarsi e sperare di essere da tutt'altra parte, ci si emoziona per qualsiasi cosa. E poi se faceva parte della Corte se lo meritava pure di morire e nessuno lo sa meglio di me, quelli lì sono davvero dei bastardi.»

«Non vorrei fare la guastafeste proprio sul più bello.» si intromette Sofia interrompendo il suo fiume di parole. «Ma chi è che sa pilotare una barca?»

Si guardano tutti perplessi. Nessuno ci ha pensato, ancora troppo sconvolti dall'azione brutale a cui abbiamo appena assistito. D'un tratto mi viene in mente che Lex mi ha parlato di uno zio che gli ha insegnato a guidare la sua barca un'estate di qualche anno fa. Lo saprà fare ancora, no?

«Lex, tu lo sai fare, no?» gli chiedo.

Lui mi fissa con espressione scioccata, come se lo avessi appena mandato al rogo, e non mi risponde. Probabilmente sta pensando all'inutilità di quello che mi ha appena detto, dato che pare proprio non lo abbia ascoltato. Gli chiedo mentalmente perdono, ma adesso ho bisogno che questo cadavere sparisca in fretta da casa mia.

«Rispondi, lo sai fare sì o no?» dice Zorro in modo non altrettanto gentile.

Vedo che Lex ne ha paura perciò risponde dicendo la verità, come suo solito: «Sì.»

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