Tutto quello di cui ho bisogno

Od AlessiaSanti94

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Quando Nadia ha lasciato Roma per tornare al paese natale, si è portata dietro un cuore spezzato e tanta frag... Viac

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2 Anni dopo.
Capitolo 1.
Capitolo 2.
Capitolo 3.
Capitolo 4.
Capitolo 5.
Capitolo 6.
Capitolo 7.
Capitolo 8.
Capitolo 9.
E se vi dicessi... Nuova storia?
Capitolo 10.
La Nuova Storia è stata pubblicata!
Capitolo 11.
Capitolo 12.
Capitolo 13.
Capitolo 14.
Capitolo 15.
Capitolo 16.
Capitolo 17.
Capitolo 18.
Capitolo 19.
Capitolo 20.
Capitolo 21.
#AskAle
Capitolo 22.
Capitolo 23.
Capitolo 24.
Capitolo 25.
Capitolo 26.
Capitolo 27.
Capitolo 28.
Capitolo 29.
Capitolo 30.
Capitolo 31.
Capitolo 32.
Capitolo 33.
Capitolo 34.
Capitolo 35.
Capitolo 36.
Capitolo 37.
IMPORTANTE!
Capitolo 38.
Capitolo 39.
Capitolo 40.
#AskYourCharacter.
Capitolo 41.
Capitolo 42.
Capitolo 43.
Capitolo 44.
Capitolo 45.
Capitolo 46.
Capitolo 47.
Capitolo 48.
Capitolo 49.
Capitolo 50.
Capitolo 51.
Capitolo 52.
Capitolo 53.
Capitolo 54.
Capitolo 55.
Capitolo 56.
Capitolo 57.
Capitolo 58.
Epilogo.
Capitolo extra + anticipazioni
Ringraziamenti
DIRETTA INSTAGRAM/PRESENTAZIONI NUOVI LIBRI

Capitolo 59.

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Od AlessiaSanti94


Quando Mattia aprì gli occhi, sei giorni dopo l'incidente, impiegò parecchi minuti per capire dove si trovasse e cosa gli fosse successo. Sentiva dolore in ogni parte del corpo anche stando fermo e le tempie gli pulsavano come dei tamburi percossi. Aveva in bocca il sapore di amaro e le labbra erano così secche da sembrare di carta vetrata. Non aveva idea di quale giorno fosse, se era mattina, sera o notte; se quella era la vita vera oppure solo un sogno un po' distorto ma dalle fattezze simili alla realtà. Non sapeva niente di tutto questo e non aveva nemmeno la minima idea se avrebbe potuto sopportare una verità diversa da quella che gli si prospettava davanti.

Con uno sforzo magistrale provò a sbattere le palpebre su e giù e a muovere le dita della mano: sull'indice sinistro aveva una mollettina di plastica che emetteva una luce violacea, mentre dal polso e dal braccio spiccavano degli aghi conficcati nella pelle. Erano tutti collegati a dei tubicini trasparenti che contenevano strani liquidi maleodoranti.

Formulò una qualche parola, ma gli uscì fuori solo un mezzo gemito roco. La bocca era completamente secca e la gola gli bruciava, come se non avesse fatto altro che urlare a squarciagola nei giorni passati. Si sentiva a pezzi, anche se era rimasto sdraiato a dormire.

Dal momento che il tentativo di parlare era andato in fumo, Mattia provò a tirarsi su sul letto, per chiarire la confusione cosmica che aveva nella testa. Ma il gesto venne bloccato in partenza dal suo sistema nervoso: non appena cercò di piegare i gomiti, sentì una fitta di dolore partirgli dalla schiena fino ad arrivare al costato. Fu talmente forte da fermargli il respiro per qualche secondo.

L'elettrocardiogramma accanto al suo letto cominciò a segnalare dei battiti accelerati e un campanello fuori da quella che sembrava essere la stanza di un ospedale prese a squillare all'impazzata nel mezzo del corridoio.

Nemmeno tre minuti dopo un'infermiera entrò di corsa, spalancando la porta, e gli si mise di fianco, con un'espressione allegra e sorpresa. «Ti sei svegliato finalmente! Ti stavano aspettando tutti.»

Mattia aggrottò le sopracciglia e chiuse di nuovo gli occhi. Il bip meccanico iniziò a calmarsi. «Dove... siamo?»

«Siamo in ospedale e questa è la tua stanza. Sai dirmi come ti chiami?»

Lui aggrottò le sopracciglia e reclinò il volto di lato, verso una finestra enorme e illuminata. Fuori era giorno e dalle nuvole trapelavano dei pallidi raggi di sole. Forse era mattina.

«Mattia...» mormorò in risposta. «Sono Mattia Silvestre.»

«Molto bene.» L'infermiera sorrise e appuntò dei dati sulla cartella clinica poggiata in fondo al letto. «Ricordi altro di quello che ti è successo, Mattia?»

Mattia rimase in silenzio e chiuse gli occhi.

La festa al Club, Nadia, l'alcool, la lite, Diego, i fari, il furgone... L'incidente. Sì, ricordava tutto, anche se i flashback andavano e venivano nella mente sotto forma di scie confuse e perturbanti.

«Ho perso il controllo della macchina...» rispose alla donna dopo qualche minuto di attenta riflessione «Sono rimasto paralizzato?»

«Sei stato molto fortunato, sai? La tua colonna vertebrale è intatta, ma quel trauma cranico ci ha dato un bel filo da torcere.»

«Sento male ovunque...»

«È normale. Hai diverse fratture nel corpo, ma niente di irreparabile. Ti servirà del tempo per guarire e un lungo periodo di riabilitazione», lo tranquillizzò l'infermiera. Riempì un bicchiere d'acqua e glielo avvicinò. «Prova a bere un po' d'acqua. Sei stato in coma per diversi giorni, quindi avrai sicuramente voglia di bere. Ma sorseggiala piano, o potrebbe darti la nausea.»

Mattia afferrò il bicchiere di plastica con mano tremante e lasciò che l'acqua gli bagnasse le labbra secche. Era davvero una sensazione strana. Gli sembrava di stare bevendo per la prima volta da quando era nato. Deglutì un piccolo sorso e subito gli venne voglia di trangugiare il resto del contenuto. Tese di nuovo il bicchiere alla donna e la fissò confuso. «Sono stato in coma? Non... non ricordo nulla di quello che è successo dopo l'incidente.»

«È stato indotto dai dottori della terapia intensiva per limitare lo stress fisico. Adesso che i tuoi valori delle analisi si sono ristabiliti a dei livelli non critici, hanno smesso di somministrarti i farmaci sedanti», gli spiegò lei. «E credo che adesso andrò ad avvertire il medico del reparto. Sarà sicuramente entusiasta di visitarti.»

Mattia lanciò un'occhiata preoccupata alla porta. «I miei genitori sanno dell'incidente? E la mia ragazza?»

L'infermiera sorrise. «Sono tutti qui fuori. Anche i tuoi amici. Non vedevano l'ora che aprissi gli occhi.»

«Quando potrò vederli?»

«Non appena il medico darà l'okay. Ti sei appena svegliato, non vogliamo rischiare delle ripercussioni. Però, se ti va, puoi pensare a chi vedere per primo, nel frattempo. M'impegnerò personalmente a cercarlo.»

Mattia mosse appena la testa in cenno di assenso.

«Hai qualcuno che desideri particolarmente di vedere? Tua madre, tuo padre, il tuo-»

«Voglio vedere Nadia

***

Nadia trascinò il padre per il braccio lungo la corsia del reparto e lo condusse all'uscita. «Papà, sono davvero felice che sia venuto fino a Roma, ma non puoi passare le notti in ospedale con me. Devi andarti a riposare anche tu, o quando tornerai a casa dormirai per una settimana intera.»

Guglielmo si passò una mano sui capelli e finse uno sguardo da duro. «Bocciolo, sai che sarei venuto in ogni caso. Era un periodo difficile per te e non potevo lasciarti da sola.»

«Sai che c'è Ada con me e continuo a essere dell'idea che tu abbia fatto un azzardo a chiudere l'attività per qualche giorno. Soprattutto con la crisi che stai attraversando.»

Lui le poggiò una mano sulla spalla e sorrise. «Ci sono cose più importanti del lavoro. Ada è la tua migliore amica e ti è stata vicina in maniera formidabile. Ma io sono tuo padre, Nadia: so sempre quando mia figlia ha bisogno di me.»

Nadia sospirò e l'abbracciò, scuotendo la testa. «Sei un testone di prima categoria...» lo rimproverò. «Però mi sei mancato da morire in questi ultimi mesi. E anche la nostra credenza ha sentito parecchio la tua mancanza... Non vedeva così tanto cibo dalla prima volta che hai messo piede nell'appartamento. Abbiamo scorte per sopravvivere fino alla terza guerra mondiale.»

Guglielmo rise e si staccò dall'abbraccio, impostando di nuovo una faccia seria. Stava per dire qualcosa di importante. «Ho parlato con il padre di Mattia ieri, mentre uscivo dal reparto. Ha detto di avermi riconosciuto perché mi ha visto con te nella clinica e io ho capito chi fosse in un attimo... È tale e quale a suo figlio.»

Nadia aggrottò le sopracciglia. «Giulio Silvestre ha voluto parlare con te? E che cosa voleva?»

«Solo conoscerci. In realtà si è scusato per tutto quello che è successo negli anni passati, quando eravamo ancora entrambi in città. Mi ha raccontato dei problemi con sua moglie e di tutti i disagi che ha creato a te e a suo figlio. È un uomo in gamba, sai?» le spiegò, fissandola negli occhi.

«Ti ha parlato della storia del licenziamento?» replicò Nadia, sorpresa. «Come hai fatto a non prendertela?»

«Ormai è acqua passata. Ho capito che il mio posto non è in questa città, ma dove sono nato e cresciuto. Magari era scritto che sarebbe dovuta andare così.» Guglielmo sospirò e si strinse nelle spalle. «E poi credo che Giulio sia solo una vittima che ha appena preso consapevolezza di molte verità nascoste. Per questo mi ha offerto un aiuto.»

«Un aiuto? Di che tipo di aiuto parli, papà?» Nadia lo fissò preoccupata. Aveva paura di sentire la risposta, nonostante avesse avuto modo di conoscere il padre di Mattia sotto una luce diversa. Sapeva che la causa di tutti i suoi problemi fosse soltanto Cornelia, ma era anche vero che quella donna riusciva sempre a trovare il modo per rovinare qualsiasi cosa.

«Sponsor, collaborazioni finanziarie per la nostra azienda agricola. Ha capito in un batter d'occhio quanto fosse grave la mia situazione economica e mi ha proposto di lavorare insieme. Sai, per farsi perdonare dei risentimenti passati.»

«E ti fidi delle sue promesse?»

«È un brav'uomo, Nadia. Sta cercando in tutti i modi di riscattare se stesso e io ho bisogno di quel genere d'aiuto. Potrei solo guadagnarci.»

Nadia annuì e gli sorrise. «In tal caso sono contenta per te, papà. Sai quanto tengo a te e alla tua attività. Meriti molto di più.»

Guglielmo le diede un buffetto sulla guancia. «Sono convinto che un giorno tutti otterranno quello che gli spetta. E magari questa è la mia volta buona.» Fece l'occhiolino e s'incamminò con Nadia verso la porta. «Adesso vado a fare un po' di spesa al supermercato. Sono convinto che mangiate troppo poco da quando vivete da sole... Siete un po' deperite.»

Nadia alzò gli occhi al cielo e fece per ribattere, ma fu bloccata dalla vista di Anita: stava entrando nella clinica a braccetto con la madre. Indossava un paio di occhiali da sole scuri e un vestitino corallo elegante. Stavano discutendo a bassa voce senza nemmeno guardarsi negli occhi e dall'aria tetra della madre, non sembrava nulla di particolarmente piacevole.

«D'accordo, papà...» rispose sovrappensiero. «Ada ha un giorno di riposo oggi. Io... devo parlare ancora con una persona, ma poi tornerò a casa. La strada te la ricordi?»

Guglielmo annuì e la salutò con un bacio sulla fronte. «Chiamami per qualsiasi novità», le lanciò un'ultima occhiata di avvertimento e lasciò la clinica, con le mani in tasca e un'espressione rasserenata.

Nadia individuò con lo sguardo Anita ed Emma De Longhi e fece lo slalom tra qualche passante per raggiungerle, mantenendo sempre una distanza di sicurezza: voleva parlare sul serio con Anita, ma non era sicura di volerlo fare proprio in quel momento. Sembrava che si stessero dicendo qualcosa di importante e spinoso e aveva tutta l'intenzione di volerlo scoprire.

Anita si fermò dietro a un carrello di biancheria pulita e bloccò la madre per un polso. «Ti prego, mamma, non fare idiozie.»

Nadia si nascose dall'altro lato del carrello e sbirciò le due da un piccolo spiraglio accanto al muro. Lo sguardo di Emma sembrava freddo e inespressivo.

«Ne abbiamo già parlato, Anita. Non m'interessa della tua situazione contorta con Mattia, ma non appena Cornelia tornerà in ospedale tu le parlerai e le chiederai scusa per il tuo comportamento poco maturo.»

«Forse non ti sei resa conto di quello che è successo...» Anita esalò un respiro scocciato e guardò male la madre. «Quella stronza mi ha diffamata pubblicamente... Mi ha fatta sfigurare e passare per bugiarda davanti a tutto il corpo studentesco della L.U.S.I! Non le chiederò mai scusa.»

«Anita, tesoro, lo so. Ma i Silvestre ci tengono in pugno come delle maledette mosche. I nostri affari sono in ballo e non possiamo permetterci di affondare. Ricordati che siamo in debito con loro. E stiamo parlando di milioni, capisci?»

Anita strinse le braccia al petto e spostò gli occhi dalla madre al pavimento, furiosa. «Pensavo che saresti stata dalla mia parte per una volta nella vita. Credevo davvero che la nomina di tua figlia ti sarebbe interessata più di uno stupido affare di società.»

«Ti prego, non ricominciare con questa-»

«Mi sbagliavo. A te interessano solo i soldi.»

Emma sospirò scocciata. «Ti prometto che troveremo il modo più indolore per uscire dagli affari con i Silvestre. Tuo padre sta cercando degli avvocati da schierare nella causa: è certo che troveranno il modo migliore per raggirare il debito che abbiamo nei confronti della famiglia di Mattia con delle controaccuse rivolte a Cornelia Silvestre», le spiegò a bassa voce. «Ma nel frattempo dovremo continuare a fare buon viso a cattivo gioco. Solo per qualche altro mese. Un anno al massimo.»

«Un... anno

Emma inarcò un sopracciglio e sbuffò. «È il minimo che tu debba fare, dopo tutti i casini in cui ci hai infilati.»

Anita spalancò gli occhi e fece un passo indietro, colpita da quelle parole. «Dopo tutti i casini in cui vi ho infilati? Sul serio?» ripeté incredula. Poi tese le labbra in un sorriso incattivito e strinse la tracolla della borsa. «Sai che c'è, mamma? Vacci a parlare tu con Cornelia. Dille quello che ti pare, mettiti pure in ginocchio a pregare per la sua pietà... ma non contare su di me. Ne ho abbastanza di fingere di essere un'altra persona solo per fare contenta te e papà. Non mi ritenete all'altezza dei vostri ruoli? Fantastico, occupatevi voi del lavoro sporco allora. Io ho definitivamente chiuso con questa storia.» Lanciò un'ultima occhiata velenosa alla madre e la lasciò in mezzo al corridoio dell'ospedale.

Nadia la vide passare proprio di fronte a lei, ancora nascosta dietro al carrello della biancheria, e tornò con i piedi per terra. La rincorse con dei passi lunghi e la chiamò ad alta voce.

Anita si voltò di scatto e si fermò, ormai quasi fuori dalla clinica. Quando la vide, alzò gli occhi al cielo e indurì lo sguardo. «Oh, ti prego, non dirmi che hai origliato la conversazione, Nadia.»

«Che cosa hai intenzione di fare?» tagliò corto lei. Aveva il respiro concitato per la corsa. «È pur sempre tua madre.»

«E io sono sua figlia. Non dovrebbe lasciarmi mettere ancora una volta in ridicolo di fronte a tutti.»

«E cosa pensa di fare tua madre senza il tuo aiuto?»

Anita riprese a camminare velocemente e Nadia la seguì, arrancando dietro di lei. Chissà come faceva ad andare così spedita con quei tacchi a spillo ai piedi. «Non lo so, Nadia. Non m'interessa... Vorrà sicuramente riallacciare i rapporti con Cornelia e cercare di tenere a galla la nostra barchetta finanziaria che perde acqua da tutte le parti. Non si è accorta che abbiamo preso in pieno un iceberg intero per colpa loro.» Scosse la testa e strinse gli occhi. «Sta chiedendo dei salvagenti a chi ci ha fatti affondare... Che idiozia.»

Nadia la prese per il polso e la costrinse a fermarsi. «Falle cambiare idea allora. Non puoi permettere di farti incastrare di nuovo dentro questa storia.»

«Tu non sai niente... Non conosci la mia famiglia. Se sapessero che potrei fruttargli un milione di euro, mi metterebbero all'asta il giorno dopo.»

«E cosa vuoi fare allora?»

«Non lo so, devo ancora pensare al futuro. La mia famiglia è intrappolata nei dettami perentori dei Silvestre e io sono diventata una buona a nulla. L'anno accademico alla L.U.S.I sta finendo e mi sono appena resa conto che sto solo sprecando il mio tempo!» sbottò Anita a voce alta. «Economia mi fa schifo, le mie amiche sono solo delle arrampicatrici sociali senza pudore e odio dover fare tutto quello che mi viene ordinato dai miei genitori. "Metti quel vestito, Anita. Vai a parlare con quell'imprenditore, Anita. Fingiti interessata, Anita". Basta! Sono stanca di tutto questo! Sono stanca, Nadia. Sono stanca.»

Nadia sussultò e le lasciò il polso. In quel momento si sentì tremendamente in colpa per averla giudicata così tante volte. «Mi dispiace. Io non pensavo che-»

«Che la mia vita fosse uno schifo nonostante indossassi ventiquattrore su ventiquattro abiti firmati e che andassi in giro su un'automobile che vale più cinquanta stipendi di un operaio messi assieme?»

«Non avrei dovuto incolparti per la storia della registrazione e dei soldi.»

Anita sospirò. «Non dovremmo fare un sacco di cose nella vita. Io non avrei dovuto accettare il dannatissimo compito di far innamorare Mattia Silvestre di me: almeno mia madre avrebbe virato i suoi piani strategici verso qualche altro rampollo societario e io non mi sarei trovata in questa situazione di merda adesso. Ma la verità, Nadia, è che ci piace da morire complicarci la vita. Almeno fin quando non cadiamo a terra e ci accorgiamo che il contraccolpo fa molto male.»

«Abbiamo tutti dei problemi», le fece presente Nadia, con un'espressione tesa. «Devi solo trovare il modo per rialzarti e uscirne a testa alta.»

Lei sorrise e guardò il cancello della clinica. «Stanne certa che lo farò. Sono disposta a ricominciare da zero, piuttosto che sottostare un minuto di più in questo mare di bugie e limitazioni», le disse a denti stretti. Poi le fece un rapido saluto con il mento e se ne andò.

Nadia la guardò camminare velocemente davanti a sé e sospirò, stanca. Questa volta non le corse dietro. Non avrebbe potuto farlo.

***

«Signorina Savini? C'è qualcuno che desidera vederla.»

Nadia alzò di scatto la testa dall'opuscolo medico che stava leggendo, seduta su una delle piccole poltroncine d'attesa ai lati della corsia, e fissò la donna in divisa bianca. Sentì subito il cuore aumentare di battito e le mani le cominciarono a sudare freddo. Ogni volta che un medico o un infermiere le passavano accanto aveva sempre il terrore che le potessero portare delle brutte notizie.

"Ci sono delle complicazioni impreviste", oppure "Le speranze che si risvegli si stanno pian piano assottigliando, mi dispiace". Sognava queste frasi quasi tutte le notti e si svegliava in un lago di sudore. Ma i giorni passavano, gli incubi venivano lavati via da ogni alba successiva e la situazione rimaneva placida e imperturbata.

«Cosa succede?» domandò, alzandosi di scatto. L'opuscolo sulle infezioni urinarie le cadde dalle mani e scivolò sotto alla poltroncina verde acido.

L'infermiera scosse la testa e le poggiò una mano sul fianco. «Mi segua.»

Nadia annuì in silenzio e si lasciò guidare lungo i corridoi della Medicina Generale. Superarono diverse porte senza rallentare il passo finché, a un certo punto, la donna si bloccò e le indicò con la mano un punto alla sua sinistra. «Può entrare», le comunicò con un sorriso.

Nadia aggrottò le sopracciglia e lasciò trapelare un'espressione confusa. «Questa è la stanza di Mattia.»

«Esatto. Il signor Silvestre la sta aspettando dentro.»

«Aspetti, questo significa che...» Nadia non riuscì a concludere la frase e spalancò gli occhi.

L'infermiera mosse la testa su e giù velocemente e il suo sguardo s'illuminò.

«Oddio.» Lei ansimò e si portò una mano sul petto. «Oh, mio Dio. Si è svegliato? Mattia si è svegliato?»

«Non urli, la prego.» La donna si portò l'indice sulla bocca con aria allarmata. «Se fa chiasso, non potrò farla entrare. Mattia ha ripreso coscienza da qualche ora, ma è ancora sotto osservazione da parte dei medici. Quando ha aperto gli occhi, ha chiesto subito di lei e il dottore che lo sta seguendo ha approvato la sua richiesta di vederla, purché la visita non lo faccia agitare.»

«Mattia ha chiesto di me?» ripeté Nadia, su di giri. Stava già iperventilando. «E come sta? Va tutto bene? I suoi genitori lo sanno?»

«Signorina, si calmi. Si calmi, per favore. Sono stati messi tutti al corrente. L'emergenza clinica è passata e i signori Silvestre hanno già firmato i piani riabilitativi per i prossimi mesi. Il ricovero di Mattia in ospedale durerà ancora qualche altra settimana, ma se tutto procede come adesso, potrà tornare a casa nel prossimo mese.»

«Ma è meraviglioso... Dio, non posso crederci.» Nadia si passò le mani sui capelli e ricacciò indietro delle lacrime di gioia. «Posso... Posso entrare? È sveglio?»

L'infermiera annuì e le aprì la porta. «Prego. La verrò a chiamare tra una decina di minuti... Prima di pranzo gli somministreranno la terapia, quindi è meglio lasciarlo riposare per un po'.»

Nadia sentì l'ansia aggrovigliarle le pareti della gola e mormorò un sì nervoso, prima di liquidare la donna con un rapido saluto sbiascicato ed entrare in quella che da lì a qualche giorno prima si era trasformata nella casa ambulante di Mattia. Scivolò nel suo piccolo porto sicuro in silenzio, senza trascinare le suole delle scarpe sul pavimento tirato a lucido e trattenne persino il respiro, con la paura di sporcare quell'aria sterile e che odorava di antibiotico e antisettico.

Mattia era lì, sdraiato su un letto proprio come lo aveva visto il primo giorno dopo l'incidente. Aveva la coperta ripiegata fino alla pancia e le mani si muovevano lentamente sulla bordatura del lenzuolo, come a voler dimostrare di riuscire ad avere ancora il controllo del suo corpo. Come se si meravigliasse lui stesso di riuscire ad avercelo. La flebo di liquidi continuava a entrargli nel corpo e l'elettrocardiogramma era ancora lì, a scandirgli battito per battito. Gli faceva capire che lui c'era. Che era ancora lì. Che era ancora vivo.

Nadia trattenne un respiro strozzato e le venne di nuovo voglia di piangere. Lui la stava fissando, con la testa poggiata sul cuscino in lattice e il busto leggermente rialzato. Le accennò un sorriso e il macchinario accanto a lui iniziò ad aumentare il ritmo dei bip, senza però raggiungere un livello d'allarme.

«Nadia», disse a voce bassa, roca e profonda. Quella parola riempì l'intera stanza e la fece tremare fin dentro l'anima. Per notti intere aveva sognato di non sentirla più, quella voce. Per tutte le notti che era stata dentro quel maledetto ospedale, a piangere e a pregare. Per tutte le mattine in cui un'infermiera diversa abbozzava su uno sguardo triste e le diceva di andarsi a cambiare, a dormire, a riprendersi un po' di vita che le spettava. Avere paura di non sentire più la sua voce era stata la parte peggiore di quell'attesa nera.

«Non stare lì impalata. Non sono mica affetto da una tubercolosi infettiva.» Mattia sollevò un angolo delle labbra. Stava sorridendo di nuovo. Nonostante tutto lo stava facendo ancora. «O perlomeno non mi sembra che rientrasse nell'elenco minuzioso che mi ha sciorinato qualche ora fa il dottor Altieri.»

Nadia si portò una mano sulla bocca e accorciò rapidamente le distanze, scivolando a peso morto su una sedia accanto a lui, a meno di mezzo metro dal suo letto. Lasciò cadere la borsa a terra e gli sfiorò con delicatezza la mano, arpionandogli le dita alle sue, fredde e scattose. «Mattia...» sussurrò, con la voce tremante e il respiro che quasi le faticava a uscire fuori dai polmoni «Ti sei svegliato... Ti sei svegliato davvero. Pensavo che non lo avresti fatto mai più. Ho creduto sul serio di averti perso per un attimo...» scoppiò poi, vinta da una crisi di nervi passeggera.

«Non pensi che tra i due dovrei essere io quello sconvolto? Insomma, mi hanno raccontato cose terribili, quei dottorini lì», la sbeffeggiò, armandosi del sorriso più tranquillo. «Non puoi capire quanti acciacchi mi ha provocato l'impatto con quell'albero centenario. Magari un giorno mi dedicheranno una puntata speciale in una di quelle serie tv di medici e chirurghi.»

Nadia soffocò una risata divertita e una lacrima le scese sulla guancia. La cancellò con il dorso della mano e si chinò su di lui per abbracciarlo, facendo attenzione a non toccare nessuno di quei tubicini trasparenti o a urtargli per sbaglio l'agocanula infilata nel braccio. «Mi sei mancato terribilmente», gli disse all'orecchio, tirando su con il naso. Affondò la testa nel cuscino, proprio accanto alla sua, e respirò il suo odore di cui aveva sentito la mancanza giorno e notte. Era sempre lo stesso, ma adesso sapeva anche di medicinale. «Ho passato dei giorni terribili con la paura che mi mordeva dentro, Mattia. Non sono mai stata così tanto spaventata nella vita. Non potevi lasciarmi in quel modo... non potevi andartene così.»

Mattia sollevò con cautela una mano e le toccò i capelli. Nel farlo sentì una fitta al costato e la riabbassò lentamente. «Ma non è successo. Non è successo e io sono ancora qui. Smettila di piangere o l'infermiera penserà che sia accaduto qualcosa di brutto qui dentro.»

Nadia annuì e si tirò indietro. Gli accarezzò il volto un po' emaciato e un po' pallido e sorrise. «Come ti senti?»

«Il dottore ha detto che sto facendo passi da gigante. Il mio cervello è ancora intatto e tra qualche mese potrò ricominciare a camminare e a giocare a pallone. Per fortuna che il campionato è finito... Chi lo avrebbe sentito il mister, sennò?»

«Quello sarebbe stato il minore dei problemi, non trovi?» gli fece presente lei, tra un singhiozzo e l'altro. Non riusciva più a controllarsi. Lo aveva fatto per così tanto tempo durante quegli ultimi giorni, che adesso non capiva più come si faceva.

«Ehi, puoi smetterla di piangere? Non oso immaginare che disastro avresti fatto al mio funerale...»

Lei sbarrò gli occhi. «Non... non ti azzardare a dire una cosa del genere, Mattia! Gesù santo, non farlo più, nemmeno per scherzo!» gli strillò addosso. Quando se ne rese conto, si tappò la bocca con le mani e mostrò un'espressione colpevole. «Oddio, scusa. Mi dispiace, mi dispiace! Non volevo farti agitare. Stai calmo, eh, che se questo coso impazzisce, l'infermiera non mi farà più mettere piede qui dentro», disse, fissando preoccupata l'elettrocardiogramma.

Mattia sfoggiò un sorriso sghembo, inalterato, e la invitò di nuovo a sedersi. «Qui l'unica agitata sei tu, Nadia. Io sto comodamente sdraiato su un letto, con una tv satellitare affissa al muro e un servizio in camera giorno e notte. Sono servito e riverito come un pascià e adesso ho anche scoperto che posso essere intrattenuto dalla più bella ragazza che possa desiderare.» Le fece l'occhiolino e la lasciò calmarsi un attimo. «C'è dell'acqua, qui sul comodino. Bevila e respira, o finisce che dovranno sedare pure te.»

Nadia afferrò il bicchiere e se lo riempì d'acqua. Lo bevve d'un sorso e poi fece un sospiro, chiudendo le palpebre. «Sto bene. Sono solo... Non lo so, troppe emozioni. Hai già visto i tuoi genitori?»

«Sì, erano qui per la visita. Non avevo mai visto mio padre piangere prima di quel momento. È stato così strano.»

«E tua madre, invece?» azzardò lei.

Mattia scansò lo sguardo sulla finestra e fissò il sole finché gli occhi non gli bruciarono. Non era ancora abituato alla luce, dopo aver passato una settimana di completo buio. Adesso qualsiasi cosa faceva, gli sembrava di riviverla per la prima volta. La riassaporava diversamente e riusciva finalmente a darle il giusto valore: quello che nella vita di tutti i giorni passava invece in secondo piano, surclassato dall'abitudinaria routine.

«Lei era tranquilla. Così tanto calma che non sembrava neppure lei», le confessò alla fine. «Aveva gli occhi lucidi e uno sguardo spento. Non ha detto una parola per tutto il tempo, ma forse è stato meglio così.»

Nadia annuì e si morse le guance. Lui non sapeva niente di quello che era successo lì fuori. Non sapeva niente della rabbia repressa di sua madre, dei tentativi di soccorso goffi del padre, di Anita, Diego, Leonardo. Lui non sapeva niente della verità. Quelle quattro mura lo avevano protetto dai germi e dalle bugie, ma prima o poi ci avrebbe dovuto fare i conti. Subito pensò al momento in cui avrebbe scoperto i retroscena di quella storia che li aveva fatti lasciare e persino odiare per un po'. Avrebbe capito fino a che punto si fosse spinta sua madre e come aveva giostrato dall'alto quel verme di Leonardo, muovendolo come un burattino privo di pensieri e volontà. Avrebbe scoperto tutto perché era così che sarebbe dovuta finire. Ma dentro di sé temeva che una volta saputa la verità, quella storia non sarebbe finita mai. Magari sarebbe iniziata una nuova battaglia, un nuovo interesse vivido a far torto e a schivarne un altro... Aveva paura che il gioco delle vendette non avrebbe mai smesso di strisciare subdolamente nelle loro vite.

«C'è molta gente lì fuori che vuole vedermi?» le domandò Mattia, interrompendo volontariamente i suoi pensieri nebulosi e fin troppo criptici.

Nadia sbatté le palpebre e reclinò il busto a guardare dietro di sé, dove c'era la finestrella che dava sul corridoio. «Ci sono i tuoi compagni di squadra e alcune persone che frequentano i corsi con te. Ada non fa altro che controllare la tua cartella clinica ed è venuto persino mio padre. Voleva assicurarsi che stessi bene.»

«Cosa? Sul serio?»

«Ti ha portato quattro cestini di arance, dei sughi fatti in casa, latte e formaggio della sua azienda e una decina di barattoli di marmellate biologiche.»

Mattia rise. «Mi toccherà centrare alberi più spesso allora...»

Lei gli lanciò un'occhiata perentoria e sospirò. «Sono passati anche Anita e Diego. Stanno qui più spesso di molta altra gente.»

Lo sguardo di Mattia si oscurò di botto, come una nuvola densa di pioggia che attraversa un cielo sereno e sgombro. «Diego? Ha pure il coraggio di venirmi a trovare, quel coglione?»

L'elettrocardiogramma iniziò a emettere dei bip frequenti e ravvicinati ed entrambi lo fissarono preoccupati.

Nadia si alzò in piedi e gli prese la mano per tranquillizzarlo. «Mattia, calmati. Non devi far scattare l'allarme, ricordi?»

«Cos'è questa storia di Neri?»

«Ascolta, adesso non è il caso di parlarne. Non sei ancora nelle condizioni e io non ho intenzione di rischiare un bel niente, adesso che sei di nuovo in te.»

Mattia strinse gli occhi e studiò sotto una luce diversa Nadia, fino ad arrivare a una particolare epifania. «Aspetta un attimo... Non è stato Diego. No, è davvero impossibile che gli avresti permesso di stare qui, se fosse stato lui a combinare questo casino. Non è vero?»

Nadia strinse le labbra e lo pregò di calmarsi ancora una volta. «Se questo ti può far stare meglio, no, Diego ha le mani pulite», gli sussurrò a bassa voce. «Ma non provare a chiedermi di dirti di più, perché non mi tirerai fuori niente. Adesso devi solo pensare a riposarti e a stare tranquillo. Se tutto va bene, tornerai a casa prima di quanto tu creda e allora parleremo. Ti racconterò tutto quello che vuoi e lo farò quando ancora porterai gesso e stampelle.»

«Perché?»

Lei gli accarezzò i capelli e gli baciò la tempia. Era calda e pulsava. «Perché saranno gli unici ostacoli che potranno placare la tua reazione.»

Mattia sospirò e le sfiorò il mento con un dito. «Non mi sono mai piaciuti i tuoi ricatti...»

«Ma sei costretto ad accettarli adesso.»

«Non pensare che una gamba rotta e qualche costola incrinata mi fermeranno, quando saprò la verità. Tutta la verità», precisò lui.

«D'accordo, ma sappi che non voglio più problemi. Il saperti in fin di vita per quasi una settimana mi ha succhiato via ogni desiderio di vendetta... Ci sono ben altre cose importanti, Mattia. Dovremmo imparare ad apprezzarle meglio, lo sai?» Si chinò su di lui e gli baciò le labbra screpolate. Le era mancato dannatamente quel genere di contatto.

«Del tipo?»

«Tu. Noi.»

«Io e te... Un bel prospetto, mi pare», scherzò lui, sorridendole sulla bocca.

«Ho trascorso una settimana infernale e ho avuto paura che non avrei potuto trascorrere nemmeno un secondo di più con te. Ho cancellato ogni pensiero pessimista su come avrei riempito le mie giornate in un dopo che solo Dio sa quanto sarebbe stato vuoto e grigio. Mi si è logorata l'anima a pensarci, Mattia. E solo quando ti sei svegliato, l'ho capito appieno.»

«Capito cosa?»

«Che non possiamo mai dare per scontata la presenza di qualcuno a cui teniamo accanto a noi. Non possiamo tenerci dentro quello che pensiamo, quello che sentiamo e quello che vogliamo sul serio. Ogni attimo è fondamentale, capisci? Non possiamo perderci niente di questa vita, perché quello che è passato è passato per sempre. Il futuro è troppo lontano e imprevedibile, quindi ci resta soltanto adesso...» gli disse, incespicando nelle sue stesse parole confuse e un po' grezze. «E io non ho intenzione di sprecare più nemmeno un attimo di questo presente senza di te.»

Mattia la guardò e si riempì gli occhi di quelle parole, che da sole avevano un effetto più potente di una siringa di adrenalina sparata nel cuore. Lo scombussolavano dentro, sconvolgendolo come un uragano. Gli facevano venire voglia di alzarsi in piedi e spingerla addosso alla parete per baciarla e rimarcare il concetto che lei gli apparteneva, che era un pezzo di sé e che gli spettava di diritto. Senza di lei di sentiva perso e incompleto, mancante di quella parte che lo faceva sentire vivo e un po' più se stesso. Non aveva mai creduto al colpo di fulmine, lui, e continuava a non farlo neppure adesso. Credeva piuttosto negli amori che ti si avvicinavano in punta di piedi, che entravano nella tua vita senza fare troppo rumore, e che ti sfioravano le dita senza mai lasciarle del tutto. I colpi di fulmini erano sopravvalutati: si accendevano all'improvviso, ma potevano spegnersi con la stessa rapidità. No, lui preferiva gli amori silenziosi... Quelli che ti entravano dentro una volta e non si spegnavano più.

«Lo sai che ti amo, vero?» le disse, sorridendole.

Nadia annuì e sorrise. Aveva il cuore pieno di tutto.

L'infermiera bussò alla porta ed entrò, con un carrello pieno di garze, disinfettanti e scatole di medicine. Sfoggiò un'espressione allegra e rassicurante, di quelle che avrebbero fatto sentire meglio chiunque.

«Siamo pronti per la terapia?»


Angolo dell'autrice.

Capitolo notturno per lettori notturni. Spero che vi faccia un po' tremare il cuore. Con me ha funzionato, sapete?

Mattia C'E'. Come ci saranno sempre i Nattia, che a un capitolo dalla fine della loro avventura possono finalmente essere ufficializzati come coppia CANON, per la gioia di tutti voi! :) Abbiamo sofferto per loro, gioito per loro e anche pianto per loro. Siamo arrivati a questo e ci siamo arrivati insieme, come una famiglia. Cosa ne pensate della scena del suo risveglio? #commentatefinoallosfinimento!

Ebbene, ci siamo. Il prossimo capitolo sarà L'ULTIMO e sarà anche l'ultimo spazio riservato riservato a Nadia e a Mattia. Purtroppo le cose belle finiscono, proprio come quelle brutte... Tenevi pronti/e ❤. (Aggiornamento finale previsto per la prossima settimana).

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