Io senza Te

By a_dreaming

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Disponibile su Amazon Kindle (gratis fino al 7 dicembre) https://amzn.eu/7laUnqu Se ti innamori della person... More

1* Incontri imprevisti
2* Numeri di telefono
3* Il terzo incomodo
4*Bmi e altri contrattempi
5* Intrugli
6* Sensi di colpa
8* Scambi
9*Chiarimenti
10* Filosofia
11* Euforia
12* Disco
13* Un invito inaspettato
14* Diversivo
15* Messaggi
16* Allenatore
17* Fragilità
18* Serata inaspettata
19. Chiarimenti
20* Il piano
21. Amicizia
22. Punti deboli
23* Scelte
24* Grigliata
25* Confessioni
26* Occhi
27* A fine partita
28* Indecisioni
29* Uscita di gruppo
30* Tradimenti
31* Scontro all'alba
32* Cuori spezzati
33* Di male in peggio
34* Rivelazioni
35* Addii
36* Partita
37* Prove
38* Ex
39* Amici illuminati
40* Una canzone dolcissima

7* Facciamo il punto

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By a_dreaming

La campanella suona e io balzo in piedi, come se qualcuno mi avesse dato la scossa. Ho passato l'ultima ora a prendere freneticamente appunti, per tenere la mente impegnata e non pensare all'incontro imminente con Rodda.

Ad aggiungere pressione, ci ha pensato Bea, la quale ci ha tenuto a specificare, che oggi pomeriggio ne approfitterà, per andare a fare una passeggiata ai giardini ducali con Logan, quindi mi ha chiesto di evitare questa destinazione.

Quando me l'ha detto ho lasciato perdere, ma ora che stiamo camminando fianco a fianco nel corridoio, la mia coscienza stride e si ribella.

«Bea...», comincio a dirle, mentre entriamo in bagno per il suo abituale ritocco di bellezza, «intanto, non credo che Rodda abbia voglia di passeggiare con me in un parco, ad ogni modo, credo che dovresti smetterla e lasciarlo, se non vuoi che questa cosa ti sfugga di mano».

Appoggia la sua Freitag sul lavandino e tira fuori l'astuccio dei trucchi, per cercare il rossetto.

«Non posso lasciare Marco, perché mi piace sul serio», mi spiega con la bocca aperta, mentre ritocca le labbra, «vorrei solo avere un po' di tempo per conoscere Logan, senza che diventi un caso di stato. È molto attento e dolce, mi corteggia e la cosa non mi dispiace».

Incrocio le braccia al petto e sospiro.

«Non hai già un ragazzo per questo?» la incalzo.

«Sì, ma non è mai stato un tipo romantico. Niente messaggini nella notte, niente parole sdolcinate, non si sbilancia mai. Se non mi avesse detto che mi ama, non so se riuscirei a capirlo».

Si passa una mano tra i capelli e mette la borsa su una spalla.

La seguo fuori dalla porta, indispettita dal suo commento. Sta cercando un alibi per quello che fa con Logan, non ci sono altre spiegazioni.

Varchiamo la porta della scuola, lei davanti e io qualche passo indietro.

Rodda dovrebbe aspettarci dal parcheggio delle biciclette, me l'ha fatto sapere tramite Bea questa mattina.

Provo a scorgerlo tra gli studenti che chiacchierano e quelli che si stanno avvicinando al cancello.

L'unico che vedo, però, è Logan, seduto al contrario sulla sella del suo motorino, mentre fuma una sigaretta e si intrattiene con un paio di ragazze.

Bea si sporge per salutare, aumenta il passo e sventola la chioma nera, che brilla sotto il sole dell'una e mezza.

Finalmente, Rodda spunta da un gruppo di ragazzi, riuniti in cerchio a guardare video e a ridere di qualcosa.

Bea può dire quello che vuole, ma lo sguardo che le riserva è pieno di sentimenti, carico di adorazione.

Mi fermo un po' distante, quando si abbracciano stretti e si scambiano un bacio appassionato.

Logan si schiarisce la voce e io lo guardo con le sopracciglia alzate, potrà anche essere amico di Bea e pensare di avere qualche privilegio su di lei, ma comunque non è il suo ragazzo, quindi potrebbe avere la decenza di tenere i suoi commenti per sé.

Mi sorride sfidante, quando si avvicina, poi butta la sigaretta e mi fissa dall'alto in basso. Per evitare di pestargli un piede, per vedere se si toglie quell'espressione antipatica dal viso, mi avvio verso la coppietta, prima che lui possa dire qualunque cosa.

«Scusate il disturbo», li richiamo.

Si girano entrambi verso di me, abbracciati stretti e sorridenti.

«Sol, scusa se non ti ho avvisato prima. Oggi devo fare una cosa per mia madre», mi avvisa Marco.

Detesto che non mi saluti mai, devo trovare il coraggio di dirglielo, prima o poi.

Annuisco dispiaciuta per il contrattempo, ma non posso negare di sentirmi sollevata.

Non ho mai passato un pomeriggio da sola con un ragazzo e non so assolutamente come comportarmi. Semplicemente non è ancora mai successo, e certi atteggiamenti non mi vengono spontanei, tutt'altro. Non so cosa voglia dire parlare con qualcuno che non conosci da una vita e che non ha niente in comune con te, non sono per niente abile nell'arte della conversazione fine a se stessa. Rodda non mi piace, per fortuna, ma non voglio che pensi che sono una completa frana, che non riesce nemmeno a parlare, o a stare in compagnia.

«Non importa», lo rassicuro, scuotendo la testa. «Anzi, ti ringrazio per la tua disponibilità, ma posso farcela anche senza il tuo aiuto».

«Pensavo di venire a casa tua quando ho finito, se per te non è troppo tardi», mi propone, invece. «Ho promesso a Bea che ti avrei aiutato, io mantengo le promesse», le sorride.

Mi sento malissimo, ecco nuovamente il senso di colpa. Lancio un'occhiata a Bea, ma lei sta chiaramente evitando il mio sguardo.

«Casa mia?» chiedo, solo dopo aver capito.

Annuisce convinto e mi porge il telefono. «Da me non si può. Mio fratello è troppo invadente e mia madre è a casa, questa settimana».

Una spiegazione semplice, senza fronzoli, che mi fa sorridere. Osservo la mano tesa nella mia direzione e lo guardo dubbiosa, senza capire cosa devo fare.

«Segna il numero», mi invita.

Non so se sia la cosa giusta da fare. Casa mia potrebbe non essere il posto migliore, ma non riesco a ribattere con un'altra proposta.

Con un sospiro, digito i numeri e gli ripasso il cellulare.

«Perfetto, ti scrivo quando ho finito, così mi mandi la posizione».

Torno a guardare Bea e provo a servirle l'occasione di essere sincera, per cercare di porre rimedio a questa soluzione. «Altrimenti, puoi chiedere a Bea di accompagnarti».

Non ottengo l'effetto desiderato, lei si stacca da lui, cerea, ma prova a sembrare dispiaciuta. «Purtroppo oggi devo studiare per domani, mi interroga in Tedesco», inventa.

«Tranquilla, me lo ricordavo», le sussurra il fidanzato. Le dà un bacio sulla guancia e la stringe a sé.

«Ok, allora, a dopo», mi congedo, tornando sui miei passi, andando verso la bici che ho parcheggiato poco lontano.

Mi avvicino alla bici e sgancio il lucchetto, monto in fretta e mi avvio verso casa, senza guardarmi indietro.

Alle quattro e mezza, il telefono vibra sul tavolo, nel luogo esatto in cui l'ho abbandonato quando sono entrata.

Ho appena finito di ripassare per domani e sto mangiucchiando una mela, senza troppa convinzione. Questa dieta è una grandissima scocciatura, sono pochi giorni che la seguo e già fremo dalla voglia di mangiare qualcosa che non si raccolga in un orto, o sulle piante e non sia stato cucinato alla piastra.

Sospiro sconsolata e lascio metà frutto sul tavolo, mi alzo e mi avvicino al telefono.

Sul frigo, mia madre ha appeso la dieta e gli esercizi che devo fare ogni giorno, secondo le istruzioni del mio allenatore, resisto per poco all'impulso di strapparli e buttarli nel pattume sotto al lavandino. Mi rendo conto, che non oggi non riuscirò a fare potenziamento, se Marco non se ne va in fretta, e soprattutto, devo nascondere questi fogli per il suo arrivo, per evitare domande alle quali non mi va di rispondere.

Il telefono vibra ancora e mi distrae, sblocco lo schermo e trovo un messaggio da un numero sconosciuto. È Rodda che vuole la mia posizione. Solo questo. Come al solito non si preoccupa di salutare o, almeno, di ringraziare, una volta che gli ho risposto.

Infilo la felpa, poi esco in giardino per verificare che riesca a trovare la casa. Noi abitiamo in una piccola casetta semplice, di quelle che si trovano sulle illustrazioni dei bambini, gialla con porte e finestre marroni, circondata dai fiorellini colorati che mia madre adora coltivare. Si trova nella campagna immediatamente vicina ai quartieri residenziali della città. A pochi metri, in un vecchio fienile ristrutturato, mio padre fa il falegname su commissione e ha una vera e propria passione per i mobili d'epoca.

Casa mia non è nascosta, ma trovare la strada può essere complesso, se non si sa dove cercare, perché comincia, non appena passato un piccolo ponte in pietra. Mi incammino lungo lo stradello, per raggiungere il ponte e richiamare l'attenzione di Marco.

Mi stupisce di trovarlo già in dirittura d'arrivo.

«Ehi, pensavo mi avessi fatto uno scherzo!» mi dice, sfilandosi il casco, una volta parcheggiato il motorino.

Sorrido appena, poi lo precedo in casa.

«Non ho abbastanza fantasia», rispondo.

Si guarda intorno, analizza ogni dettaglio, mettendomi non poco a disagio.

«Wow, pensavo che avrei trovato la tizia che fa le merendine, qui dentro», sorride infine, facendomi sentire sollevata.

«Mia madre è una pessima cuoca, il nostro freezer è pieno delle scorte della nonna!» spiego, un po' meno impacciata.

«Peccato», scherza, sfilandosi la felpa nera e prendendo posto a tavola. «Quindi, qual è il piano?» indaga, prendendo la metà della mela avanzata.

Rilasso le spalle, non sembra interessato a fare conversazione, per fortuna, e lo ringrazio mentalmente per questo. Sentivo le mani sudate e l'ansia mi attanagliava lo stomaco.

Prendo la cartellina gialla e la apro sul tavolo, sedendomi davanti a lui.

«Leo mi ha detto che deve essere un lavoro di gruppo, che coinvolge i capitani delle altre squadre della società, escluso il basket femminile, perché sono ai play off», riassumo.

Gli passo la lista con i nomi e i numeri di telefono e lui la scruta serio.

«Nessuno sentirà la mancanza del basket femminile. Sono un gruppo di...»

«Nessun pregiudizio!» lo interrompo, senza riuscire a trattenermi. Il calore mi tinge le guance, ma non distolgo lo sguardo.

Mi osserva stupito, ma sorride.

«Ok, come vuoi», annuisce, ritornando alla lista.

«Grazie, credo che la giornata debba servire per favorire una maggiore collaborazione», spiego.

«Sembra una cosa noiosa», riflette, «e nessuno di questi ragazzi parteciperà mai all'organizzazione di una cosa noiosa», sentenzia, appoggiandosi allo schienale e addentando la mela.

È il motivo per cui sono tanto agitata per questa cosa, sono perfettamente consapevole, di non essere capace di essere abbastanza carismatica per loro.

«Beh, dovranno accettarlo, perché c'è in ballo la mia fascia da capitano e io non voglio rinunciare, visto voi non sapete divertirvi in modo sano!», sbotto.

Il suo sorriso si allarga, forse non si aspettava che gli rispondessi.

«Definisci il modo sano» mi esorta.

Giocherello con la buccia della mela, che ho davanti e prendo coraggio.

«Penso che debba essere una giornata per le famiglie, che coinvolge tutti, magari con qualche torneo o qualche gioco a premi».

Non sento nessun commento, quindi alzo lo sguardo e lo trovo a fissarmi inorridito, a bocca aperta.

«Dobbiamo aggiungere un po' di pepe, Sol».

Al suono del mio nome, spalanco gli occhi.

«Voglio dire...», prosegue, «possiamo fare quello e poi una piccola festicciola serale per ravvivare un po' l'atmosfera. Stando a quanto ho letto, l'obiettivo è raccogliere fondi e nuovi tesserati. Scusa se sono diretto, ma nessuno vuole fare parte di una squadra di mollaccioni!» conclude la sua arringa e da un ultimo morso alla mela.

Mi concedo qualche secondo per riflettere, poi mi alzo in piedi. «Cominciamo a formare il comitato organizzativo», propongo prendendo tempo, «poi procederemo democraticamente».

Annuisce convinto. «Sono molto d'accordo, ma dobbiamo inventare qualcosa per coinvolgerli, altrimenti non verranno mai», dice, confermando le mie paure. «E soprattutto, non possiamo usare parole come "comitato"», ammicca.

Alzo gli occhi al cielo, prendo la lista e il telefono.

«Li chiami?», vuole sapere.

Scuoto la testa e comincio lentamente a salvare il numero del primo della lista, Pietro Altieri.

Marco mi strappa il cellulare dalla mano e mi guarda sospettoso. «Spiega».

«Salvo i numeri e formo un gruppo», chiarisco semplicemente.

Mi piace constatare che, man mano che il tempo passa, mi sento sempre più a mio agio in sua presenza.

Sbatte ripetutamente le palpebre e scuote il capo, nervosamente. «Stai scherzando, spero», dice infine. «L'unico motivo per cui i ragazzi partecipano attivamente a un gruppo sul cellulare è per scambiare foto e video spinti».

Apro la bocca, scioccata. L'ha detto come se fosse la cosa più normale del mondo, una realtà universale di dominio pubblico.

«Nei gruppi di classe non gira certa roba», rispondo seria e infastidita.

Ora è lui ad alzare gli occhi al cielo. «Nessuno legge le cose sul gruppo di classe. Solo gli sfigati. Se i maschi, quelli veri, hanno bisogno di qualcosa, o di copiare qualche compito, chiamano direttamente la secchiona».

Resto a fissarlo, allibita. Rifletto al volo sulla mia condizione e analizzo la sua affermazione. Sono in una classe principalmente femminile, ma non posso negare che, in effetti, i ragazzi mi scrivano direttamente quando hanno bisogno.

«Non lo sapevi?», domanda preoccupato.

I suoi occhi scuri mi osservano attenti, per la prima volta sembra preoccuparsi di avermi ferito.

«Non ci avevo mai pensato», confesso abbozzando un sorriso. «Ma non pensavo nemmeno di essere la secchiona», tento di sdrammatizzare.

Gira intorno al tavolo e mi rende il telefono.

Fissa la lista, che continuo a stringere in mano, da sopra la mia spalla e d'un tratto si illumina. «Andiamo a pescarli, uno alla volta».

«Uno per uno?», chiedo controvoglia.

«Certo, devono capire che è una cosa seria», conferma, sedendosi sul tavolo.

«Ci vorrà una vita», mi lamento, «non ci sono gli orari di allenamento qui».

Adesso sorride misterioso e io sento che sta per dire qualcosa che non mi piacerà.

«Così hai tutto il tempo, per trovare qualcosa da offrire in cambio della loro partecipazione!»

Balza giù dal tavolo e afferra la felpa e il casco. Quando si accorge, che sono ferma dove mi ha lasciato, sbuffa e allarga le braccia. «Quindi?» chiede impaziente.

«Cosa?»

«Andiamo, o no?»

«Ora?»

Sbuffa nuovamente e mette i fogli alla rinfusa dentro alla cartellina. «Dai Sol, prima lo facciamo e prima finiamo».

Esce dalla porta e mi lascia da sola in cucina, con le mani lungo i fianchi. Non agisco mai d'impulso, avevo altre cose da fare, ma forse ha ragione lui.

Prendo la felpa e lo seguo.

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