VOGLIO CHE TU SIA MIA

SilvanaUber

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TERZO E ULTIMO LIBRO DELLA TRILOGIA "SE TI PRENDO SARAI MIA". Primo libro: Se ti prendo sarai mia Secondo lib... Еще

UN NUOVO INIZIO
SOLO UN PADRE
VATTENE LONTANA DA ME
IL MONDO NON HA SENSO SENZA DI TE
COMPLOTTI (per un pubblico adulto)
USI E COSTUMI
SONO TORNATO DA TE
SOTTOMESSA A ME
ANNULLAMENTO DI MATRIMONIO
SONO IL TUO PADRONE
DALLA PARTE DI RENUAR
UN'AMICA
LA MIA AMANTE
UNA PENOSA FIGURA
NON SONO UN VILE
PERSUASIONI
PER TE, NADINE!
COME UNA DONNA GUARDA UN UOMO
UNA VISITA INASPETTATA
NON TI AMO... MA
ARRENDITI
NON PUOI MENTIRE PER SEMPRE
QUEL Sì STRAPPATO
CUORI SPEZZATI
ZOE
PRIGIONIERE DI UN'EPOCA
LA PACE PORTA GUERRA
I MIEI STESSI OCCHI
PIANO DI RISERVA
VECCHIE AMICIZIE
IL MIO NOME E' MARY CAMPBELL
LA STORIA PUO' SEMPRE CAMBIARE
NADINE NELLA NOTTE
INFERNO DENTRO
GUERRA E PACE
IL NOSTRO EPILOGO
AD OGNI DOMANDA....
ALEC IN PERSONA PER VOI

TRAPPOLA

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SilvanaUber

POV NADINE

Quel giorno d'inverno, nell'ampio giardino che costeggiava la casa, c'era un silenzio rotto soltanto dallo schiocco sinistro d'una frusta. Nello spiazzo erboso, di fronte alle stalle, lord Stuart e lord Renuar si stavano fronteggiando, grondanti di sudore nonostante il freddo pungente, e nè io né Clark fiatavamo, interessate al modo in cui i due maneggiavano la frusta con abilità.

Con un colpo di polso lord Stuart riuscì  a strappar un urlo di protesta all'animale che, messo alle strette, si impennò sulle zampe posteriori prima di cominciare a scalciare e soffiare dal naso. 

"Credete davvero di aver creato un diversivo, lord Stuart?", lo derise Renuar, incitando il proprio cavallo a trottare attorno a lui.

"Se non altro ho evitato il vostro fendente", ribattè piccato, seguendolo con lo sguardo.

"Lasciate comunque che vi dica che la vostra preparazione è alquanto scarsa".

"Siete stato voi a decidere di allenarvi con me".

"E con chi altri avrei potuto farlo?", ridacchiò, lanciandomi poi un'occhiata derisoria. "Con lei? Proseguiamo ora, e tenete alta la difesa sul fianco destro".

L'allenamento riprese e la calma della prateria innevata venne nuovamente interrotta dai loro ansimi e dallo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli.

"Sono proprio due bambini", sbuffai, nascondendo le mani sotto il mio mantello di ermellino.

Quando Alec mi aveva raggiunta nel futuro, spiegandomi che la mia vita era legata al 1600 e che sarei dovuta tornare proprio in quest'epoca, non avevo pensato nemmeno per un istante che quattrocento anni prima le temperature potessero essere così differenti. Col passare del tempo e con la rivoluzione industriale, l'effetto serra aveva sollevato la soglia del gelo portando ad un surriscaldamento globale e abituando noi uomini a temperature più clementi. Ed ora il mio corpo non sembrava preparato a sopportare quel clima così rigido.

Lady Clark mise da parte il ricamo che aveva in grembo e guardò verso i due uomini, trattenendo a stento un risolino. 

"Gli uomini e le loro spade", sospirò. "Se non tornano a casa con almeno una ferita faticano a reputarsi coraggiosi e temerari. Sembrano sprezzanti del pericolo e vi vanno incontro senza pensare alle conseguenze. Mi chiedo se in un lontano futuro saranno ancora così".

"Nel futuro il massimo pericolo che dovranno affrontare sarà quello di non addormentarsi durante una partita a Medal of Honor", mi lasciai sfuggire.

"Che avete detto, mia Signora?".

Deglutii un groppo di saliva, nel panico. "Una sciocchezza. Non dateci peso".

Lei mi fissò di rimando, corrugando la fronte. E per dei lunghi secondi rimasi col respiro sospeso, chiedendomi se se la fosse bevuta. 

"Da quando avete cominciato a darmi del voi?".

Lasciai andare il respiro lentamente. Era questo dunque ciò che l'aveva stranita! Mi strinsi nelle spalle. "Ho notato che ci tenete molto e che ve lo date praticamente tutti".

"E lo avete notato dopo venticinque anni di vita?".

"Oh.. bhe...", tergiversai, a corto di scuse. "A casa, mio padre e mio fratello non ci tenevano molto al voi".

La sua fronte si increspò ancor di più ma grazie al cielo, vedendo che non avevo intenzione di aggiungere altro, lasciò cadere il discorso. Sbirciai nella sua direzione, tenendo monitorate le sue espressioni e seguii i suoi movimenti tutto ad un tratto impacciati mentre scavava all'interno del cestino del ricamo. Ne estrasse una busta bianca e la rigirò tra le mani, inviandomi un'occhiatina imbarazzata.

"Arriva dal castello", spiegò, con voce sottile.

"A... Alec?", pronunciai a fatica il nome di mio marito.

Lady Clark annuì e riprese a rigirarsi la busta tra le piccole mani. "E' indirizzata a me".

La delusione mi perforò lo stomaco prima di essere sostituta dalla rabbia. Non si trattava di gelosia. Ne ero certa. Era più il fastidio dovuto a quel moto di speranza che avevo provato sulle prime. Perchè nonostante il modo in cui Alec mi aveva trattata, allontanandomi volutamente da lui, una parte di me, piccola ma tuttavia di vitale importanza, continuava a crogiolarsi nella speranza che mi rivolesse con se. 

"Io...", riprese incerta, lasciando vagare lo sguardo sul proprio ventre ingrossato per evitare di proposito il mio. Le guance si tinsero di rosso quando si schiarì la gola per continuare: "Io non so leggere".

Raddrizzai le spalle. "Sul serio?".

Mi guardò di sfuggita, vergognandosi di sé stessa. Quindi annuì flebilmente.

"Volete che vi insegni?".

"Oh no, mia Signora, non lo desidero. Per quanto mi piacerebbe dedicarmi alla lettura di qualche piacevole libro, mio marito non mi permetterebbe mai di imparare".

"Sul serio?", ripetei, stavolta con rabbia.

"Mia Signora, ve lo continuerò a ripetere sebbene ormai abbia capito sia tempo sprecato, ma a cosa serve una donna istruita? Non serve saper leggere per allevare figli o per governare una casa".

Strinsi le mani in pugno e con un gesto incondizionato della testa mi ritrovai a fissare i due uomini che si stavano nuovamente fronteggiando senza badare a noi e al freddo. Le loro menti erano così piene di ignoranza che mi facevano quasi provare un moto di pietà. Per quanto mi sforzassi di scendere a patti con le loro usanze e con la loro mentalità, accettare il loro pensiero richiedeva un tale annullamento della mia intelligenza che non potevo nemmeno prendere in considerazione.

"Mi chiedevo piuttosto se voi foste così gentile da leggermela", chiese in un sussurro, riguadagnandosi la mia attenzione. Sembrava imbarazzata ma non riuscivo a capire da cosa. 

La curiosità di sapere cosa ci fosse scritto mi fece formicolare le mani e dovetti autoinfliggermi violenza psicologica per non scattare in avanti e strapparle quella busta di mano.

"Lo farò volentieri", acconsentii, impostando la voce in un tono calmo che non rispecchiava in nulla il mio stato d'animo.

"Oh, voi siete così gentile".

Non è gentilezza, cocca! E' masochismo. 

Mi porse la lettera e con un movimento dell'anca si sedette in modo tale da coprirmi alla vista dei due uomini. 

"Sbrigatevi prima che se ne accorgano", si raccomandò.

Lasciai scivolare lo sguardo verso il piccolo foglio vergato da una grafia che non riconoscevo e per un istante, nonostante la fretta di Clark, lasciai che l'indice accarezzasse la prima parola. Era assurdo! Completamente assurdo. Mi stavo comportando come una di quelle adolescenti che si nascondevano in camera a leggere le lettere d'amore intrise di profumi e abbellite da cuoricini trafitti da frecce. 

Il problema era che in questa lettera non vi erano scritte parole d'amore ma solo frecce. E non trafiggevano il disegno di un cuore. Trafiggevano il mio. Ogni sillaba lanciava il suo grido d'addio, sottolineando quanto i sentimenti di Alec cozzassero coi miei.

Una lacrima mi appannò la vista e le parole sbiadirono finché non sbattei le palpebre. 

"Cosa c'è scritto?", indagò Clark, parlando a raffica e gettando un'occhiata furtiva verso i due uomini.

La condanna a morte del mio cuore - rispose la mia testa.

"C'è scritto...", deglutii, cercando di far tornare allegra la mia voce. E fu in quel momento che decisi. Fu una di quelle decisioni che si prendono su due piedi, senza ragionarci sopra e soprattutto senza pensare alle conseguenze. "Alec vuole semplicemente organizzare un incontro".

"Con me?", si sorprese, arrossendo.

"No", scoppiai a ridere. "Non con voi, rilassatevi. Vuole incontrare me e lord Renuar e vi chiede di fissare un appuntamento".

"Ma perché non scrivere direttamente a lord Renuar?".

La sua domanda mi spiazzò. Dio, non ci avevo pensato. "Voi sapete perché mi trovo in questa casa anziché al castello?".

"Vostra Grazia me ne ha parlato, certamente. Vi sta tenendo protetta in questa terra finché le battaglie non avranno fine".

Sorrisi, acida. Che figlio di.... 

"E sapete che lord Renuar mi ha chiesto di diventare la sua amante in cambio della propria protezione?".

"Cosa?", boccheggiò, sgranando gli occhi. "E vostro marito ne è a conoscenza?".

Inclinai il sopracciglio. A giudicare dalla lettera lo sapeva eccome il farabutto. "Non credo. Ma suppongo vi abbia inviato qua per tenere d'occhio la situazione".

"Quel mentecatto", borbottò, fulminando lord Renuar con lo sguardo. "Ah, state pur certa mia Signora che farò in modo di non lasciare che quel verme resti solo con voi per più di cinque minuti".

"Alec vuole riportarmi al castello", sventolai la lettera, facendole credere che all'interno vi fosse scritto questo suo esplicito desiderio. "Vuole fissare un incontro proprio per mettersi d'accordo con Renuar".

La sua bocca si aprì per parlare ma poi le labbra tornarono sigillate. L'aprì di nuovo e di nuovo non uscì una sola sillaba.

"Che volete dirmi?", persi la pazienza.

"Se Alec vi ha mandata in queste terre per proteggervi, perché vuole riportarvi al castello proprio ora che lui è partito per il fronte?".

Sbiancai. "Partito?".

"Vi sarà una grossa battaglia sul fronte e probabilmente determinerà un vincitore. Saranno mesi duri, mia Signora. Perciò mi domando come potrà trovare il tempo di tornare per portarvi indietro mentre sarà impegnato in questa battaglia".

La lettera mi sfuggì dalle mani e lei si affrettò a raccoglierla. 

Saranno mesi duri. Mesi. Presi un lungo respiro, poi un altro. E un altro ancora. Mesi. Più ripetevo questa parola, maggiore era il senso di oppressione che mi si abbatteva addosso. Mi sentivo come se fossi sulle rive di un oceano in tempesta, coi piedi imprigionati nella sabbia mentre un'onda altissima stava galoppando verso di me, ingrossandosi ad ogni metro che percorreva. Un'onda che stava per sommergermi e da cui io non potevo scappare. 

Non riuscivo a crederci.

Eppure Alec mi aveva avvertita che sarebbe stato impegnato in una lunga guerra e che con tutta probabilità sarebbe tornato a prendermi solo dopo che avessi partorito. Mi strinsi le tempie, massaggiandole con foga. Se solo fossi riuscita a ricordare il nome della battaglia di cui stavamo parlando, avrei potuto sapere con certezza il giorno della sua fine. Ma la mia mente non ne voleva sapere di concentrarsi su avvenimenti storici che avevo letto più di 400 anni dopo, era oscurata dal panico, lasciandosi gravitare verso la figura imponente di lord Renuar. 

La sua presenza si era da subito sovrapposta tra me e Alec, e se in principio si era limitata ad una dormiente e quasi inconsistente minaccia, col passare delle settimane il suo intento di rivendicare per se il mio corpo si era palesato davanti a tutti. Non si premurava nemmeno di tenere nascosto il suo desiderio agli occhi di lord Stuart o di Lady Clark, anche se lei, ingenua com'era, con tutta probabilità aveva scambiato le sue occhiate viscide e maliziose per affetto. 

"Mia Signora! Mia Signora?", mi strattonò lady Clark, sporgendosi in avanti per fissarmi negli occhi. "Vi sentite male? La gravidanza vi sta dando dei problemi?".

Scrollai la testa, fissando il vuoto davanti a me. La volontà di Alec di tenermi lontana dal popolo fin tanto che la guerra non si fosse interrotta, aprendo di conseguenza una momentanea parentesi di pace che sarebbe durata per ameno una decina d'anni, si era lasciata sottomettere dalla paura. Il suo addio era stato il frutto della consapevolezza che i clan ribelli sapevano della mia esistenza. La paura iniziale che il nostro popolo mi avrebbe additata come una strega si era eclissata nel momento stesso in cui Alec, insieme all'aiuto di Stuart e di un tale che mi pareva si chiamasse Geneviev, aveva sparso la voce che il mio funerale era stata solo una messinscena per uccidere sul nascere ogni possibile ricatto o tentativo di rapimento da parte dei Campbell. La scusa reggeva in quanto non era raro che le mogli dei Signori venissero usate come moneta di scambio. Ciò che non reggeva e che mi mandava in bestia era il modo in cui aveva stravolto i patti, arrivando persino a chiedere il divorzio e a spalleggiare il trattamento che Renuar mi riservava.

Fin tanto che ci trovavamo in un'epoca futura e che non gli apparteneva era stato tutto un continuo moine e parole dolci mirate a incrinare la mia corazza sospettosa. Ma come avevo saggiamente previsto, una volta ritornato nel XVII secolo la sua natura era tornata a riemergere, evidenziando la differenza abissale che viaggiava tra le nostre mentalità. 

"Bruciate la lettera", dissi in tono tombale.

"Sarà fatto, mia Signora, ma... Signore mio Santo, voi siete pallida. Volete che vi prenda dei sali?".

Scrollai di nuovo la testa, nauseata, e feci scattare il braccio di lato per bloccarla. "Quanto durerà questa battaglia?".

"Chi può dirlo?", sospirò. "Probabilmente vostro figlio vedrà la luce prima che possa terminare".

Il terrore mi attanagliò la bocca dello stomaco e dovetti stringere le mani sul bordo della panca per non accasciarmi al suolo. Era tutto inutile. Avrei potuto scervellarmi in eterno, ma ogni mia decisione non avrebbe modificato una storia già scritta. Il destino remava contro di me, seguendo la sua traiettoria già designata. L'illusione di poter organizzare un incontro in modo tale da convincerlo a riprendermi con se sarebbe rimasta appunto un'illusione. Non sarebbe tornato. A meno che...

"Clark..." iniziai ma subito venni interrotta dal forte rumore degli zoccoli del cavallo di Renuar.

Dall'alto del suo stallone mi fissò serio e saccente, lasciando volutamente che il suo sguardo se la prendesse comoda quando arrivò all'altezza del mio petto.

"Vi devo parlare", annunciò, prima di partire al trotto. "Subito", aggiunse da sopra la propria spalla quando si accorse che non mi ero mossa di un centimetro.

A meno che... ripresi a pensare. Il mio cervello lavorava frenetico, analizzando la situazione in cui mi trovavo per la milionesima volta. Perché in effetti esisteva un modo per attirarlo a me. Ma farlo... Dio! Farlo richiedeva un'umiliazione tale da annullare il mio stesso orgoglio. Eppure solo il piano di vendetta avrebbe seminato una trappola perfetta nel quale sarebbe caduto senza nemmeno accorgersene.

Gli avrei fatto saggiare l'opprimente sensazione di solitudine e di perdita con cui stavo ormai convivendo da settimane. Sarebbe stata una vendetta a doppio taglio, perché se da una parte avrebbe vendicato il mio orgoglio, punendolo del dolore che mi aveva gettato contro senza battere ciglio, dall'altra l'avrebbe costretto a rivalutare ogni decisione presa fino a quel momento. 

Avrei lasciato vincere Renuar. E la sua vittoria momentanea gli si sarebbe ritorta contro.

Perchè su una sola cosa non avevo dubbi. Alec poteva dimostrarsi freddo e saccente, quasi disinteressato a tutto ciò che lo attorniava. Ma non avrebbe mai potuto mostrarsi impassibile quando avrei donato suo figlio a Renuar.






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