PRIGIONIERE DI UN'EPOCA

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POV RENUAR

Balzai su dal mio giaciglio, la mano con cui ero solito brandire la spada tretta al petto, i polmoni che pompavano a vuoto. Piantando i palmi sulle coperte mi tirai su, lieto che lady Clark avesse provveduto al posto mio a lavare la piccola Zoe. 

Furiosa di essersi persa il parto a causa di alcuni impegni familiari che l'avevano condotta al villaggio più vicino, fu irremovibile quando tentai di spiegarle che in qualche modo sarei stato in grado di occuparmi dell'infante. Nonostante l'evidente disparità di carattere e posizione sociale tra lei e Nadine, erano riuscite ad instaurare un rapporto leale e socievole. Si reputava una sorta di zia e da quel che avevo capito era più che intenzionata di proporsi come balìa.  

Mi sforzai di riprendere il controllo della calma mentre ascoltavo il mio respiro riecheggiare contro le pareti spoglie. Gli ansimi rimbalzavano, moltiplicandosi fino a sembrare grida, gettandomi addosso quella sensazione opprimente di ansia da cui non ero riuscito a liberarmi da quando avevo staccato la placenta dalle viscere di Nadine. Era questo ciò che facevano i medici del futuro? La scienza aveva fatto così tanti passi in avanti da consentire ai dottori di curare il corpo fin dentro l'anima?

Rabbrividii e accesi una candela:  il chiarore mi fu di conforto ma non bastò. 

Avevo bisogno di cibo. Di birra. E di combattere. Soprattutto di combattere. 

Così forse sarei tornato in me. 

Indossati gli indumenti di cuoio, infilai un pugnale nella cinta dei calzoni  e uscii nel corridoio pieno di spifferi. In lontananza udii le voci profonde di Nadine e Clark ma proseguii senza fermarmi, diretto nel cortile, dove Stuart stava radunando alcune capre. 

La foschia turbinava attorno alle sue vesti scure, increspandole nell'aria gelida. Gli occhi puntati contro di me, privi di ogni tipo d'espressione, erano in semplice attesa di ascoltare un mio ordine. 

"Trovate la levatrice e portatela al mio cospetto", sentenziai.

Il panico tornò ad illuminare il suo sguardo altrimenti spento. "Nadine sta male?".

Strinsi i denti, in collera. "Se non fosse stato per il mio intervento a quest'ora sarebbe morta. La levatrice ha abbandonato la casa pur sapendo che Nadine aveva ancora dentro di sé la placenta".

"La placenta?", raddrizzò le spalle, senza comprendere.

Sbuffai irritato. Non poteva sapere di cosa stessi parlando. Nessuno poteva. Eravamo davvero così retrogradi rispetto a Nadine? 

Con un moto di stizza cominciai a comprendere il modo in cui Nadine doveva vedere tutti noi.  Quattrocento anni di scoperte e progressi viaggiavano dentro la sua testa, e anche se lei si impegnava di tenerle ferme, bloccate in un tempo che non le apparteneva più, erano troppo invasive per consentirle di adagiarsi e adattarsi a ciò che il XVII secolo le imponeva. Ai suoi occhi, anche il più signore di queste terre doveva apparirle come un zotico contadinotto.

"Trovatela", tagliai corto.

"Come desiderate, lord Renuar". Fece per voltarsi ma compiuto mezzo passo raddrizzò le spalle, tornando a fissarmi. "Non mi sono ancora complimentato con voi per la vostra bambina".

L'orgoglio che avevo provato poco prima vacillò. Era stato facile mentre osservavo quella piccola bambina ignorare la sua stretta somiglianza con Alec O'Braam. Mi ero lasciato incantare dal momento lieto, gonfiando il petto di fierezza appena la voce di Nadine l'aveva proclamata mia. Ma ben presto, chiuso nella mia stanza, la verità mi era scivolata addosso come brace ardente, riducendo in cenere la sciocca presunzione di possedere qualcosa che non avrei potuto ottenere nemmeno combattendo. 

VOGLIO CHE TU SIA MIAOù les histoires vivent. Découvrez maintenant