SOLO UN PADRE

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POV NADINE

Era insopportabile!

Il dolore partiva dalle cosce, poco più sopra del ginocchio, e si propagava veloce come una macchia d'olio su tela, puntando le reni.

Mi colpiva ad ondate, frustandomi nella sua impietosa violenza, sgomitando tra le mie urla per farsi spazio e pedinando una logica senza senso che mirava solo ad annientarmi.

Ogni volta che il mio corpo cercava di rimuoverlo, per interi secondi venivo risucchiata da un abisso di dolore sconvolgente, durante i quali perdevo la percezione del tempo e di me stessa.

Ad ogni scoccare dei minuti era sempre più difficile tenere unita la testa al senso della realtà. Mi sentivo come se fossi appena stata squarciata in due: la mia mente vagava nel buio più assoluto, annaspando alla ricerca di un sollievo che non riusciva a scorgere. Doveva pur esserci da qualche parte ma era come cercare una candela in una grotta buia, andata a spegnersi centinaia di anni prima. Il senso della realtà invece mi obbligava a percepire il mio corpo contorcersi e divincolarsi mentre due mani rugose cercavano di tenermi ferma. 

Ero intrappolata nella sofferenza più totale, ingabbiata in una cella di dolore la cui porta era stata ermeticamente sigillata. Non avevo via di scampo. Potevo solo affrontare tutto questo a testa alta e ricercare la forza nelle adrenaliniche urla che dalla morte mi spingevano verso la vita.

Era peggio di essere stata colpita da una granata in pieno stomaco; parti di me si frantumavano, si spaccavano, si sbriciolavano e infine tornavano al loro posto. Per poi disintegrarsi e sbriciolarsi di nuovo.

E quindi di nuovo urla. Di nuovo dolore.

Non riuscivo nemmeno a respirare; l'aria era lì, incastrata nella gola, incapace di scendere o salire. Trovava via di fuga solo quando gridavo. Ma poi tornava lì. 

La luce nella stanza si macchiò di nero mentre un'altra ondata di dolore infieriva come una gelida pugnalata alla schiena. Il dolore scomparve di nuovo e l'ossigeno regalò ai polmoni un attimo di tregua.

Quanto tempo era passato? Minuti? Ore? Il dolore continuava ad essere invasivo, non importava in che posizione mi mettessi. Mi azzerava i sensi. Se non fosse stato per i battiti del mio cuore talmente forti da rimbombarmi nelle tempie, non avrei saputo dire con certezza di essere ancora viva.

La mia vista si affinò. All'improvviso tutto fu assolutamente calmo.

"Nadine, ci siete? Dovete respirare. Respirate".

"Dov'è lui?", urlai. "Dov'è?".

"E' qua fuori, mia Signora".

"E allora, porca pu...", mi mangiai l'ultima parola, certa che l'avrebbe sconvolta, e la trasformai in un rantolo. Il dolore stava tornando senza avermi lasciato il tempo di riprendermi. "E allora chiamatelo!".

"Mia Signora, non è appropriato che un uomo entri in questo momento, con voi senza abiti", provò a farmi ragionare quella voce. 

Apparteneva ad un donna, ne ero certa sebbene non riuscissi nemmeno a tenere gli occhi aperti per il tempo necessario a guardarla in faccia. Era arrivata appena i dolori erano diventati così intensi da rendermi incapace di ragionare. Non riuscivo a darle un'età ma a giudicare dalla sua ristrettezza mentale doveva avere su per giù una cinquantina d'anni. Odiavo il tono condiscendente che usava nel parlarmi, odiavo quel dolore insensato e ormai fuori controllo, ma più di ogni altra cosa odiavo Alec per avermi messa in questo pasticcio. 

Le parole con cui mi aveva dato l'addio nel futuro non bastavano a calmarmi. Non mi davano alcun beneficio. Anzi! Volevo che qualcuno mi uccidesse. Anelavo per una morte veloce che mi avrebbe sottratta a quella sofferenza. Volevo che quella donna non mi imponesse neanche un secondo in più di quel dolore.

VOGLIO CHE TU SIA MIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora