QUEL Sì STRAPPATO

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POV NADINE

Il freddo aumentò appena la palla infuocata del sole sparì completamente, masticata da un ammasso di nubi gonfie di pioggia che abbracciavano le cime innevate delle montagne.

Una raffica di vento creò un piccolo vortice di foglie secche che planò davanti ai miei piedi. Strinsi le braccia attorno alle gambe, spingendole contro il petto per difendermi dal freddo e posai il mento sulle ginocchia. Accanto a me il respiro di Alec si trasformava in piccole nuvolette bianche. A volte si disperdevano subito nell'aria gelida, altre volte restavano lì, sospese come le parole che si rifiutavano di uscirmi di bocca.

"Non mi sento mai tranquillo quando pensi troppo", il mormorio di Alec fu appena percettibile. 

Sospirai e restai incantata ad osservare il cielo nel punto in cui era ancora un po' chiaro, illuminato dai timidi raggi del sole che, sfidando la notte, si aggrappavano agli ultimi istanti del giorno.

"E' diverso". Col mento indicai il panorama. "E' tutto diverso qui. Mi fa pensare alle difficoltà che hai dovuto affrontare quando sei stato nel futuro".

Sembrava assorto mentre osservava il mio stesso punto, cercando probabilmente di intuire cosa mi stesse affascinando così tanto. Dopo tutto si trattava di un cielo. Ma era un cielo che sarebbe scomparso per sempre nella storia.

"Sono rimasto nel XXI secolo per un tempo troppo breve per potermi interrogare sui miei sentimenti ma ammetto che la doccia è un'invenzione che ha stravolto la mia concezione di toeletta". Mi fissò per un istante, alla ricerca di qualcosa sul mio volto. "Ti manca?".

"La doccia?".

"Tutto quello che hai lasciato", precisò.

Ci pensai un po' su, senza permettere alla mia mente di fossilizzarsi sugli aspetti negativi che avevano storpiato la bellezza di questo posto, destinata a non venir tramandata nei secoli. Perchè non c'era libro o poeta che potesse trascrivere su carta la bellezza mozzafiato di questi panorami né penna capace col suo inchiostro di raccontare con quanta tenacia ed eleganza la gente di questo posto sopravviveva alla povertà e alle malattie.

"Nel futuro abbiamo le macchine per muoverci...", attaccai. La mente sospesa tra passato e futuro, incapace di decidere da quale sponda buttarsi. "... Gli aerei per viaggiare. Ci muoviamo sfidando i confini del mondo ma non siamo più capaci di meravigliarci per un tramonto. Lo si vede da ogni angolo del pianeta ma per osservarlo ci costringiamo a percorrere migliaia di chilometri, convinti che da sopra casa nostra non sia altrettanto bello. Abbiamo l'acqua potabile, limpida e salutare, ma preferiamo le bevande gassate. Abbiamo il microonde per cucinare in fretta perché non abbiamo tempo per mangiare. Il tempo, Alec. E' quello che noi del futuro non abbiamo più. I secondi passano, le ore si rincorrono ma dentro di noi le lancette del tempo sono ferme, immobili tra un impegno e l'altro. E allora corriamo, corriamo, corriamo. Vogliamo raggiungere le nostre mete per poterci poi voltare e guardare indietro al passato col rimorso, perché mai, nemmeno per un momento, abbiamo concesso a quelle lancette di scoccare in avanti". Scrollai le spalle per scacciare la malinconia. 

"Avete le medicine", buttò lì. La postura tesa smascherava il suo tentativo di fingersi calmo. Era difficile intuire cosa stesse pensando ma qualunque cosa fosse lo preoccupava. "Avete telefoni per comunicare senza attese. E' tutto pulito e le conoscenze sono un privilegio per tutti, non solo per i ricchi".

"Sì", mi limitai a rispondere. 

"Voi donne avete ottenuto una parità che in quest'epoca non è nemmeno contemplata". Mi fissò, concentrato, scavando attentamente nelle emozioni che sfociavano sul mio volto. "Potete lavorare, governare un intero popolo, siete indipendenti. Per certi versi vi siete trasformate in uomini".

VOGLIO CHE TU SIA MIAWhere stories live. Discover now