COME UNA DONNA GUARDA UN UOMO

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POV RENUAR

La testa sembrava sul punto di esplodere. Martellava al ritmo del mio respiro, intrappolata nella consapevolezza che mi stavo risvegliando in un corpo completamente fuori uso. Non mi era mai capitato di svenire e appena ne avessi avuto la possibilità mi sarei maledetto per essermi mostrato così debole agli occhi di Nadine. Lo avrei fatto appena la mia bocca avrebbe smesso di disertare agli ordini che il cervello le stava impartendo. 

Per quanto mi stessi sforzando, ogni parte di me era paralizzata, incapace del più piccolo movimento. Le palpebre erano appiccicate e pesanti, quasi vi fosse colata sopra della colla di pesce. Eppure ero certo di essere cosciente. Semplicemente non potevo muovermi, prigioniero in una gabbia di ossa e carne. 

L'unica cosa a posto sembrava essere l'udito: sopra di me era in corso una conversazione. Due voci femminili stavano parlando, di cui una aveva il modo di parlare tipico di un uomo. Autoritario. Veloce. Diretto.

Era la voce di Nadine, la riconobbi all'istante. E sembrò penetrare dentro la mia carne, raggiungere il mio stato di incoscienza e trascinarmi fuori per i capelli.

Sbattei le palpebre, confuso e lievemente nauseato, e il suo volto, chino sopra il mio, fu la prima cosa che vidi.

"Bentornato", sorrise, tesa. A giudicare dalle ombre scure sotto gli occhi doveva essere molto stanca. "Riesci a sentirmi? Se ci riesci fai sì con la testa".

Mossi velocemente gli occhi, cercando disperatamente di comunicare con lei, infine mi arresi e mi limitai a scuotere lentamente la testa sopra il guanciale.

"Come ti senti?", chiese, la voce professionalmente calda. Sollevò la candela per studiarmi in volto con un'espressione concentrata. 

"E' normale?", biascicai.

"Cosa?".

"Il... dolore", cercai di spiegarmi meglio.

Lei mi scrutò con attenzione, ma di nuovo per motivi professionali. "Senza anestettici? Diciamo che è abbastanza allucinante il solo fatto che tu non stia imprecando contro tutti i diavoli dell'inferno. Ora ho bisogno che tu stia fermo", aggiunse, posando la candela accanto a letto.

Quindi si alzò in piedi. Era tutta rigida e intorpidita e sollevò le braccia sopra la testa per inarcarsi all'indietro e sgranchirsi la schiena. In punta di piedi si avvicinò un po' di più al letto e mi afferrò il polso, stringendolo tra indice e pollice.

"Il battito è regolare", sentenziò con un sorrisetto appena accennato. "E il colorito è buono, segno che per il momento non c'è un'infezione in atto". 

"Quindi sto bene?", mi informai, riuscendo a capire solo la metà di ciò che stava spiegando.

"Resta fermo", mi ignorò. 

Scrutò il mio fianco con occhio clinico, tutta presa dal suo ruolo di medico, concentrata su quello che c'era sotto le bende.

Ah, maledizione. Quanto desideravo che mi guardasse come si guarda un uomo. Volevo che i suoi occhi scuri scorressero sulla mia pelle mossi dalla fantasia di mettermi le mani addosso e non per controllare una ferita.

Chiusi gli occhi e mi voltai dall'altra parte per sottrarmi al suo volto; il dolore al petto mi strappò un gemito. Inutile dare la colpa al taglio. Sapevo che la causa di quel dolore era Nadine.  

"Il coltello ti ha trafitto il fianco", riprese, studiando attentamente un ago ancora sporco di sangue.  Lo gettò in un bacile pieno d'acqua e tornò a chinarsi su di me. Stando attenta a non farmi commettere bruschi movimenti, mi aiutò a girarmi su un lato. "Ti ha lacerato la pelle fino al muscolo e si è fermata a pochi millimetri dalla spina dorsale, scheggiandoti alcune vertebre. Ad una prima analisi è difficile stabilire se ci sono danni ingenti al midollo spinale ma fortunatamente posso affermare con certezza che il tuo intestino è rimasto illeso".

VOGLIO CHE TU SIA MIAWhere stories live. Discover now