Il mio destino - La mia rivin...

By Lallyna91

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Emma è una ragazza che vive la vita sempre con il sorriso sulle labbra. Ha condiviso l'intera vita, l'amicizi... More

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Seconda parte - La mia rivincita
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By Lallyna91

Una volta salita sulla sua Giulietta, il breve tragitto ci porta davanti ad una villetta circondata da un giardino curato. Capisco che mi ha portata a casa sua, e comincio a sentirmi irrequieta.
Il mio respiro si fa corto e cercai in tutti i modi di calmarmi. Mi sto agitando troppo.

Christian spegne il motore e si toglie la cintura di sicurezza guardandomi sorridente.
«Siamo arrivati.», mi informa, ed io lo guardo cercando di non far trasparire il turbine di emozioni che mi sta attraversando in questo momento.
Se ne accorge comunque, però, quando mi prende per mano per farmi scendere dall'auto e nota il mio strano tremore.

«Ehy, guarda che non ti mangiano lì dentro, okay?», mi sorride rassicurante, «Stai tranquilla.»

Annuisco, lasciandomi poi guidare fino alla soglia di casa, dove seguo attentamente ogni suo movimento mentre prende le chiavi dalla tasca e le infila nella serratura, spalancando subito dopo la porta d'ingresso.

Entra prima di me, a suo agio, mentre io faccio il primo passo incerto, sussurrando un timido: «Permesso...»
Ma nessuno risponde.

Christian si volta verso di me, sorridente: «Pensavo ci fossero ancora i miei, ma evidentemente sono usciti per qualche impegno. Contenta? Non dovrai incontrarli!», dice, pensando di rassicurarmi.

In realtà, l'idea di essere da sola a casa con lui mi mette ancora più agitazione rispetto all'incontro con i suoi genitori.

Mi limito a sorridergli, per paura che la mia voce possa tradire il mio nervosismo.

«Accomodati pure!», esclama, indicandomi il lussuoso sofà bianco davanti a noi, «Io arrivo subito.»

Sparisce salendo le scale, ed io ne approfitto per guardarmi intorno.

Tutto in questa stanza è curato nei minimi dettagli, tanto che l'arredamento sembra fittizio: ricorda le foto che si trovano sulle riviste di interior design.
Il piccolo ingresso diventava subito un salotto non troppo elaborato: il sofà ha cinque posti e prende una parete intera, ed è sormontato da un bellissimo quadro, dov'è ritratto il mare. Davanti al sofà, un tavolino di cristallo è abitato da diversi soprammobili dalla forma astratta, sulle tonalità del bianco e del nero, di uno stile davvero ricercato. Sulla parete di fronte è adagiato un mobile composto che racchiudeva l'enorme televisione, il tutto incorniciato da una ricca libreria.

Mi muovo piano sul parquet impeccabile ed intravedo la cucina: l'arredamento è in acciaio e scuro, riprendendo i colori del soggiorno. Sullo spazioso tavolo nero lucido si trova un elegante vaso bianco pieno di rose rosse, ed in un gesto mosso dall'istinto mi avvicino ad annusarle, chiudendo gli occhi. Devono essere state appena raccolte.

«Eccoti qui!», ed il profumo delle rose abbandona subito le mie narici, appena mi volto verso di lui, che è andato a cambiarsi indossando degli abiti più comodi: una canotta bianca e dei semplici pantaloncini neri.

«Scusami...», balbetto, impacciata, «Non volevo curiosare!»

«Non mi offendo mica.», dice, stiracchiandosi. Poi sorride e domanda: «Che ne dici di ordinare cinese?»

«Ne vado matta!»

Sorride ancora. «Ottimo. Qualche preferenza?»

Nego con la testa. «Ordina pure quello che preferisci.»

«Agli ordini!», scherza, e si allontana in salotto prendendo il cellulare.

«Christian!», lo richiamo, prima che si porti il telefono all'orecchio.

Si ferma e si volta di nuovo verso di me.

«Posso usare il bagno?», domando timida.

«In fondo a sinistra. Fai come fossi a casa tua!», mi risponde gentile.

Lo ringrazio in un sussurro e mi precipito nel lungo corridoio.
Chiamarlo bagno è un eufemismo, sembra un centro benessere in miniatura: due lavabi, i servizi, una fantastica vasca idromassaggio e, nell'ampio angolo in fondo alla stanza, un box-doccia enorme con tutte le comodità possibili ed immaginabili. Tutto l'arredamento, le piastrelle, i mobili, ed addirittura le asciugamano, seguivano le sfumature del nero e del bianco.

Tutto meraviglioso ma... Che monotonia.

Quando ritorno in soggiorno, Christian mi sorride raggiante. «Quindici minuti e ci portano la cena!», annuncia, e si avvicina a baciarmi con trasporto, posano le mani sui miei fianchi. La temperatura della stanza si alza di almeno 30 gradi.

«Ci sistemiamo sul divano?», propone, ancora un po' scosso da quel nostro momento d'intimità. «Mangiamo e intanto ci guardiamo anche un bel film!»

Come al solito, ha già pensato a tutto. Annuisco, aiutandolo subito dopo ad apparecchiare quello splendido tavolino di cristallo, avvicinandolo un po' di più al divano.

Lascio scegliere a lui anche il film, ed opta per "Never Back Down". Ho visto quel film un milione di volte, ma lo riguardo volentieri.

Un attimo prima di sederci il campanello suona, e Christian va ad aprire e pagare anche per me, sorprendendomi un'altra volta.

Mi raggiunge di nuovo sul divano e fa partire il film.
Mangio tutto con piacere, essendo ogni piatto delizioso: aver fatto scegliere a lui non ha deluso le mie aspettative.

Guardiamo il film comodi sul sofà, io accoccolata sul suo petto, e lui con il braccio intorno alle mie spalle, ad accarezzarmi dolcemente.
Ogni tanto facciamo qualche battuta sui personaggi, finendo per ridere come pazzi e perderci dei pezzi fondamentali della storia.
L'attenzione per il film ci lascia completamente quando, intento a farmi il solletico, Christian finisce per sfiorarmi il reggiseno.

Improvvisamente i suoi occhi si fanno famelici e la sua bocca avida, e si abbassa a baciarmi con un'irruenza che mi spiazza.
La sua mano non accenna a togliersi da sotto la mia maglia, ed io comincio ad agitarmi.

«Christian...», provo a chiamarlo, a fermarlo, ma lui non sembra sentirmi.

Si mette a cavalcioni su di me e prende il lembo della mia maglia, cercando di alzarla senza delicatezza.
«E dai, Em!», si lamenta, scocciato.

Non sono pronta. E lo sa!
M'irrigidisco all'istante e me lo levo di dosso, con una spinta energica.
«Scusami... Non ce la faccio.», sussurro, vergognandomi.
Mi allontano da lui senza guardarlo ed una volta recuperate le mie cose, corro verso la porta di quella casa, precipitandomi all'esterno.

Le mie gambe non accennano a rallentare una volta fuori, e quando arrivo nel mio quartiere mi rendo conto di aver fatto una vera e propria corsa e di avere il viso bagnato dalle lacrime.
Mi fermo solo davanti alla porta di casa mia, appoggiandomi con una mano alla porta e prendendo un bel respiro, cercando di recuperare fiato. Mi asciugo le lacrime con il palmo della mano e solo quando riesco ad avere un respiro regolare apro la porta di casa.

«Ciao tesoro! Tutto bene?», chiede mia madre, appena metto piede in casa.

«Sì, mamma. Sono solo un po' stanca... Credo proprio che andrò a letto. Buonanotte!», e mi avvicino a darle un bacio veloce sulla guancia, sperando che basti a rassicurarla.

«Buonanotte, piccola mia.», risponde, con il tono di chi sa già tutto.

Salgo le scale velocemente, senza sapere quanto riesca a trattenermi dallo scoppiare in lacrime un'altra volta, ed appena entrata in camera mi chiudo a chiave, buttandomi sul letto e infilandomi le cuffie nelle orecchie.

Ne avevamo parlato.
Perché, perché ha dovuto insistere?
Ha rovinato tutto!

Mi addormento con le note delle mie canzoni preferite, e gli occhi già di nuovo umidi.

***

Sono passate quasi due settimane, ed io non ho sentito né più Christian, né Beatrice.
Mi sento stanca, il mal di stomaco mi dà il tormento e mi sento perennemente senza forze: tutta colpa dello stress scolastico e degli ultimi avvenimenti.

I miei pomeriggi sono noiosi e tutti uguali, fra studio e lettura, ed i miei pensieri, alla fine, volano sempre a quelle due persone che avevano deciso di allontanarsi da me, in due modi diversi.
Ci ho pensato e ripensato, ma non ho trovato un perché al suo comportamento, al perché abbia voluto velocizzare le cose nonostante avessimo affrontato tranquillamente il discorso il giorno precedente. Ho provato anche a parlarne con Valeria - dato che la mia migliore amica non si degna neanche di rispondere alle mie chiamate -, ma non mi è stata d'aiuto: ha continuato a ripetermi di dimenticarlo, di andare avanti e sembrava divertirsi a mettere il dito nella piaga.
Io non voglio dimenticarlo, io voglio capire.
Sono fatta male io?
Forse ha ragione Bea... Sono davvero una suora?

Ma, se di Christian posso sforzarmi e farne a meno, di Bea no. Ho bisogno di lei, ne avrò sempre bisogno. Non posso sopportare che a lezione non mi saluti e che mi eviti in ogni modo, come se avessi la peste. Avevamo avuto litigare decisamente peggiori, perché questa reazione esagerata?
Improvvisamente, in questo mio ennesimo pomeriggio noioso, decido di smetterla di provare a chiamarla e di prendere in mano la situazione, andando a trovarla a casa sua e mettendo da parte l'orgoglio.
Ci tengo troppo alla nostra amicizia per farla finire così.

Mi preparo in fretta, uscendo il prima possibile.
Mentre cammino verso casa sua continuo a ripetermi cosa dirle, come chiederle scusa: non era solo lei ad avere torto.

Svolto l'angolo, un paio di metri e finalmente potrò parlare faccia a faccia con lei.

Ma la scena a cui assisto mi lascia senza parole.

La mia migliore amica è avvinghiata in un bacio passionale con Christian.

Resto paralizzata sul posto, senza riuscire né a dire né a fare niente.
Non ci posso credere.
Non avrei mai pensato che Bea potesse arrivare a farmi una cosa del genere.
Eppure loro erano lì, ed in quell'istante tutto comincia a quadrare: l'allontanamento eccessivo di Bea dopo quello stupido litigio, senza che abbia voluto alcun chiarimento, ed il comportamento avventato di Christian l'ultima sera passata insieme. Ecco perché i miei stupidi baci non gli erano più bastati.

Mi sento tradita, confusa, e presa in giro, dalle due persone che in quel periodo della mia vita, reputavo le più importanti per me.
Comincio a non capire più nulla, sento solo i miei occhi riempirsi di lacrime e la sensazione della terra sotto i piedi svanire.
Capisco che sta succedendo qualcosa, ma non so cosa... Fino a quando non sento il rumore del mio corpo cadere sull'asfalto, e l'urlo soffocato di Beatrice: «Emma, no! Oddio! Em!»

Quando riapro gli occhi, un fastidioso bip di sottofondo è la prima cosa che sento. Con la vista ancora offuscata mi guardo intorno, cercando di capire cosa fosse successo.
Le pareti bianche e l'odore asettico della stanza non mi sono familiari, ma ci metto un attimo a capire dove mi trovo.
Accanto al letto di quell'ospedale, vedo i miei genitori con un'espressione preoccupata in volto.
Ma che cosa ci facevo lì?

Si accorgono che sono sveglia e mi si avvicinano velocemente.

«Emma, tesoro, come ti senti?» , chiede mia madre, scambiando sguardi carichi d'ansia con mio padre.

Annuisco, per far intendere che stavo bene. Mi sento ancora un po' debole per intrattenere un discorso.

«Emma, dobbiamo dirti una cosa...», comincia, e quelle parole non promettono nulla di buono.




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