I DUE RE [BL]

Af fiamminga95

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[Fantasy; Mitologia; Romance] [Primo e secondo libro conclusi][Terzo libro in fase di scrittura]. La guerra... Mere

Ubi Tu Gaius, Ibi Ego...
Note dell'autrice: Avvertenze
Scenario E Glossario
La nascita di Laran
Prologo alla parte I
Parte I: Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
FAQ #1
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Epilogo alla parte I
FAQ#2
Prologo alla Parte II
Parte II: Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Epilogo alla parte II

La nascita di Sirio

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Af fiamminga95

𝑪𝒂𝒎𝒑𝒐 𝒅𝒊 𝒃𝒂𝒕𝒕𝒂𝒈𝒍𝒊𝒂 - 𝒂𝒍 𝒄𝒐𝒏𝒄𝒍𝒖𝒅𝒆𝒓𝒔𝒊 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑻𝒆𝒓𝒛𝒂 𝑮𝒖𝒆𝒓𝒓𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒐 𝑺𝒕𝒆𝒓𝒎𝒊𝒏𝒊𝒐

Il cielo era nascosto da nuvole porpora, che volteggiavano languide nell'azzurro infinito. Tra l'erba alta, corpi a montagne coloravano la terra di rosso e d'oro dove il sangue scorreva, versando il suo sacrificio alla follia degli dei.

Alcuni di quei corpi erano immensi e colossali, lungi tre metri e oltre, disarticolati come bambole a cui erano stati strappati gli arti. Sulle loro teste corvine e sui corpi pallidi, lunghe corna si arrotolavano come quelle dei cervi. I loro abiti azzurri si mescolavano alle cappe d'oro degli dei caduti. Insieme a loro, ninfe, maschi e femmine, con le insegne verdi e poi elfi, sottili come giunchi con le loro armi sottili, e nani tozzi e barbuti che stringevano ancora le loro asce.

Le loro braccia e le loro gambe si toccavano formando una grande rete morta sopra il capo di battaglia, fronteggiando il cielo pacifico e multicolore, da dove il sole si rifiutava di guardare quello spettacolo orrendo.

Tra i corvi che si poggiavano sulle lance spezzate, una figura silenziosa avanzava dritta, osservando intorno a sé il sacrificio che il Re Herian aveva compiuto. Il suo abito era di un nero cupo, il suo velo ricadeva piatto dietro la sua schiena, fermato sul capo da una corona dalle vette acuminate. I suoi capelli biondo cenere erano sciolti, i suoi piedi nudi, il suo viso marmoreo.

Tra quei caduti c'era la sua gente, che era stata costretta a portare al macello come gli agnelli che gli uomini sacrificavano loro.

Isid, regina dei ninfali, si fermò davanti alla testa di un titano. I suoi occhi erano bianchi, le sue corna spezzate e la sua bocca aperta in un urlo inudibile. Il resto del suo corpo era stato trascinato via dagli animali selvaggi. Isid si chinò in ginocchio e chiuse gli occhi di quella creatura onorevole a cui era stata costretta a dichiarare guerra. Toccò la sua pelle fredda, il suo sangue rosso le imbrattò i polpastrelli, ma quando stava per sottrarre la mano, la colpì una visione.

Isid, ninfa e maga più potente, possedeva il dono della preveggenza da quando era in fasce. Aveva visto molte cose che si erano avverate. Alcune le aveva raccontate, altre le aveva celate. Aveva visto quella catastrofe quando aveva incontrato Herian la prima volta: aveva visto il nobile principe degli dei, aveva visto a cosa avrebbe portato una volta  salito al trono, aveva visto come lei non si sarebbe potuta opporre. Non c'era nessun modo per fermare lo sterminio dei titani, non c'era nessuno che potesse fermare Herian.

Alla regina non restava che camminare tra i resti della sua impotenza e guardare negli occhi i morti che aveva previsto ma che non aveva potuto salvare.

Ma, adesso, qualcosa si risvegliò nella sua mente: una visione più brillante di ogni altra, più chiara persino della sua vera vista, più vicina di quanto si potesse aspettare. La maga alzò gli occhi e lo vide.

Lì, tra i cadaveri del campo di battaglia, salivano i gradoni della grande sala del trono a Olimpia, lì dove il salone si spalancava. Su quel trono qualcuno la guardava silenziosamente. Era una creatura così piccola se paragonata all'immenso trono d'oro e avorio su cui sedeva: un bambino, poco più che in fasce, con le guance paffute e occhi tondi. Sorrideva con la sua bocca rossa senza gengive e poggiava una mano su uno strano oggetto d'oro. Sembrava un sonaglio, con due estremità rotonde. Con l'altra mano, il bambino toccava un'arma, un ascia bipenne – così diversa da ogni altra cosa fatta d'oro in quella sala del trono.

Il bambino guardò Isid e rise.

La grande sala si riempì di quel suono infantile e gioioso e le risa scossero il piccolo corpicino pallido. I suoi occhi rossi brillavano, i suoi capelli bianchi oscillavano in morbidi ricci intorno alle sue guance e, tra quelle ciocche soffici, due piccole corna.

"Mia signora!"

Isid si alzò in piedi, spaventata.

La visione scomparve così com'era arrivata e improvvisamente le porte della sala d'oro si chiusero. Il massacro, lo sterminio, era ancora tutto intorno a lei. Il vento le agitava i capelli sottili e il velo nero mentre raccoglieva la gonna e si voltava per vedere avanzare una piccola figura che correva. Era vestita di verde, i capelli rossi legati in una crocchia sulla testa.

"Mia signora!" Urlò di nuovo Eve, la sua apprendista, avvicinandosi a perdifiato. "Mia signora, il re ti chiama!" Disse boccheggiando. Il suo viso era arrossato e gli occhi erano pieni di lacrime. La ragazza cercava di non guardare in basso, tenendo gli occhi dritti, verso il cielo e le sue nuvole.

"Cosa ...", Isid era ancora sconvolta per quello che aveva visto e cercò di darsi un contegno. "Cosa è successo?"

"All'accampamento ... Sua maestà Herian ha chiamato tutti i re. Nell'accampamento dei titani si festeggia".

"Si festeggia?" La maga si guardò intorno, dove migliaia di titani giacevano morti e ancora caldi. "Come è possibile?"

"Non lo so, mia signora. Hanno inviato il nobile Dubhe a parlare con il re".

Isid non riusciva a capire. Non c'era nessun motivo per i titani di festeggiare dopo una sconfitta, a meno che non fosse ...

La donna si voltò a guardare dove le era apparsa la visione, dove il bambino titano aveva seduto sul trono degli dei.

Che fosse per questo? No, non aveva mai previsto qualcosa solo pochi attimi prima che succedesse. Isid non aveva mai visto qualcosa che si era svolta nel passato, come la nascita di un bambino già vivo.

Non capiva.

"Fammi strada", le ordinò e le due si affrettarono a tornare indietro.

𝑷𝒐𝒄𝒉𝒆 𝒐𝒓𝒆 𝒑𝒓𝒊𝒎𝒂 

La rovina era calata su di loro.

Rigel aveva assistito alla disfatta del suo popolo e la sua, il grande re dei titani, il signore dei ghiacci perenni, dove aveva vissuto la sua eternità con i suoi compagni, cacciati come animali.

Quanti giovani erano stati sacrificati per la superbia di Herian?

Il suo compagno, Ran, era sparito insieme al corpo del loro primo figlio. Zeid stava per venire posato su una pira insieme ai suoi compagni d'arme, così che le sue ceneri si riunissero alla terra, su un suolo in cui non aveva mai potuto vivere in pace. Rigel non aveva mai conquistato la libertà per i suoi figli o per la sua gente. Quale re degenerato, sarebbe stato giudicato dai suoi avi una volta morto.

E morto lo sarebbe stato in fretta.

Non poteva dire addio a Ran. Lo aveva accompagno in quella vita fatta di sofferenza dove persino da re avevano dovuto strappare e rubare il cibo che mangiavano e dove dovevano stringersi ai loro figli per proteggerli dal freddo. Rigel non poteva più sostenere l'onta che la sconfitta gli portava.

Migliaia dei suoi, morti. Il Lyris, il loro sacro reliquiario, rubato. Le loro terre devastate. No, non c'era vita che poteva vivere come re dei titani.

Avanzò da solo tra le gole solitarie, lontano dal campo di battaglia e lontano dal suo accampamento. Lì, tra le rocce acuminate, nel buio più oscuro che precedeva l'alba, prese la sua spada in una mano e una statuetta nell'altra. Il terreno battuto dall'acqua e dai venti scricchiolava sotto la sua massa imponente.

Il titano mise la piccola statua davanti a sé, in una rientranza della roccia, come gli umani facevano per gli idoli sacri, e si inginocchiò davanti ad esso.

Il lare del suo trisavolo lo guardava impietoso. Tabhan, il più grande e nobile titano, colui che aveva salvato il suo popolo. Tabhan, che li aveva portati tra le nevi, in fuga, e li aveva lasciati con le loro leggi e i loro costumi.

Tutti gli antenati di Rigel erano morti in guerra per difendere il loro popolo. Rigel non era degno di loro.

Impugnò meglio la sua grande spada, pronto a conficcarsela nel cuore.

Il suo ultimo pensiero fu per la sua piccola famiglia.

Ran, che ricordava quando era alto meno di due metri e con le corna che faticavano a uscire e che lo inseguiva per il castello di ghiaccio per picchiarlo dopo l'ennesimo scherzo. Zeid, dopo che Ran lo avevano generato, grande e forte e con gli occhi di un rosso intenso proprio come i suoi, e poi Ardra, il piccolo cucciolo che avevano lasciato al castello, figlio di Ran, con i suoi sorrisi pacati e gli occhi intelligenti di uno studioso.

Rigel lasciava il peso della corona d'argento sulla sua testa.

Non sarebbe dovuta andare così.

Zeid non sarebbe dovuto morire, Ran non doveva seppellire il suo primo figlio. Rigel avrebbe dovuto fare il suo dovere e dare lui per primo un figlio, dal suo stesso ventre, al suo popolo.

Ma quel maledetto...

Herian!

Lui aveva scagliato quella maledizione che lo aveva reso sterile e, sterile il re, sterili le sue terre e il suo popolo! Tutto ciò che Rigel aveva fatto, tutti i tabù inviolabili che aveva compiuto, i riti immondi e i sacrifici che aveva fatto per liberarsi della maledizione, non erano serviti a nulla!

Ora Ardra, buono, giovane, doveva diventare re senza che quel destino terribile gli spettasse.

Rigel alzò la mano, salda sulla spada. Stava per colpirsi, la lama era poco distante dal sul petto, quando sentì qualcosa di strano accadere al suo corpo. Un forte dolore lo pervase, come se un fuoco terribile si fosse acceso dentro di lui e lo volesse divorare da dentro. La spada gli cadde dalla meno e Rigel si stese a terra, in preda alle fiamme. Bruciava in un dolore terribile, che sconquassava il suo corpo e dilaniava la sua mente.

Quando cominciò a urlare lo sentirono fino all'accampamento e il suo grido riverberò nella valle e tra le pareti indifferenti delle montagne.

Fu solo dopo lungi e strazianti minuti che lo vennero a prendere.

Ran e Dubhe, basso ed esile nysa, accorsero ad assisterlo, a essere testimoni di ciò che gli stava accadendo. Prima di svenire, sentì solo dire:

"È un bambino. C'è un bambino ..."

Il bambino lo guardava, piccolo, oh così piccolo, nella sua culla improvvisata dentro uno scudo.

Dubhe lo osservava dormire, dondolando lentamente la forma concava dello scudo per non svegliare la creatura.

Nella tenda, il suo re aveva dormito per ore, ma adesso era sveglio, anche se immensamente debole. Il suo corpo titanico era degno di un re, come lo era quello di Ran al suo fianco.

Dubhe era così piccolo al loro confronto, apparentemente insignificante. E quel bambino che cullava era ancora più piccolo. Nato da un re, era più piccolo del figlio di un umano. Il suo corpicino esile si era perso nella massa nel corpo del suo frae, impossibile da notare come spesso capitava a quelli come lui e come Dubhe.

"Mi avevi detto che era impossibile. Che dovevamo smettere di sperare", disse Ran, sempre nobile e dignitoso. "Rigel non avrebbe mai avuto un erede".

"E non lo ho", disse il sovrano dal suo giaciglio, guardando con disgusto lo scudo che nascondeva il corpo del figlio. "Quello non è il prossimo re".

Un pesante silenzio cadde nella tenda.

Ran osservò il suo compagno e disse: "È nostro".

"Ma non è un re", disse più cupamente Rigel. "Non può esserlo secondo la legge di Thuban".

"Non c'è nessuna legge che impedisce ..."

"Non potrebbe difendere il trono, Ran!" Rigel provò ad alzarsi ma non aveva più forze. Il suo corpo era spolpato di ogni energia. "Non può vivere come gli altri titani. Quelli come lui non possono combattere. Quelli come lui devono stare al loro posto. Un nysa serve solo a una cosa".

Ran strinse i pungi e diede la schiena a Dubhe, forse vergognandosi di guardarlo. "Smettila con questi inutili pregiudizi. Questo modo di vedere i nysa è quello che ci ha portato qui".

"È ciò che è prescritto per legge", disse mortalmente serio Rigel.

"Nostro figlio è nato combattendo la maledizione imposta dal re degli dei, crescendo dentro di te mentre per anni abbiamo combattuto sul campo di battaglia!"

"E ha potuto farlo dopo le follie che ho compiuto per poterlo avere! O te lo sei dimenticato? Hai dimenticato cosa abbiamo fatto?" Rigel, anche se debole, usò tutta la voce imperiosa di cui era capace per zittire il compagno. "L'abbiamo fatto per avere un erede. Un re. Non un nysa. Possiamo usarlo in unico modo".

"No".

"No?"

"È anche mio figlio!"

"Sono il suo frae e il suo re!" Rispose Rigel. "E farà ciò che io gli comando!"

Il bambino scoppiò a piangere sentendo le urla. La sua piccola bocca era sdentata e morbida.

"Porta quella cosa fuori da qui!" Urlò Rigel e Dubhe abbassò il capo, prendendo il braccio il bambino, uscendo in fretta dalla tenda e stringendolo al petto. Dietro di lui si alzarono altre urla, ma davanti lo fronteggiava un esercito in festa.

Coloro che non vedevano la follia di Rigel festeggiavano per quella che chiunque altro sapeva essere una benedizione.

Un nysa nato da un re, sul capo di battaglia. Mai dai tempi del primo titano qualcosa di simile era mai successo. La promessa che quel bambino portava era molto di più di ciò che il suo re vedeva e Dubhe lo sapeva.

Strinse a sé il bambino come se fosse il figlio che aveva sognato e che non aveva mai avuto. Lo strinse e gli sfiorò la rotonda testa calva. Quando lo toccò, il bambino lo fissò con intensi occhi rossi. Gli occhi di Rigel, quelli che aveva avuto Zeid, il fratello perso solo poche ore prima.

Ma non solo questo.

Dubhe vide una immensa sala dorata e un trono regale sul quale un bambino con piccole corna regnava davanti agli dei.

Il mormorio infastidito del bambino lo fece ritornare in sé. Dubhe lo osservò allibito. Quella creatura ... Quella creatura ancora senza nome, forse avrebbe davvero potuto portarli lì dove nessuno era riuscito.

Sul trono di Olimpia, sulla vetta del mondo.

Strinse il bambino. Lo avrebbe protetto. Lo avrebbe protetto come non aveva protetto il Lyris. Questa volta avrebbe fatto di tutto perché gli dei non gli portassero via la speranza di una vita migliore. Di una vita al sole. Di una vita vera.

Il re Bor era sulla soglia della grande tenda reale. Sopra di essa, il grande stendardo del fulmine trionfava sull'accampamento, sulla piana tra le montagne e sui i nemici che tuttavia ancora si ostinavano a festeggiare. La loro baldoria si poteva udire persino lì, così lontano e così più in alto.

Il vecchio ninfale era impietosito dalla scena. L'accampamento degli dei festeggiava la vittoria in modo quieto e basito. Come potevano i loro rivali gioire in un momento simile? Come potevano i titani ridere e bere, quando tanti dei erano morti per sterminare migliaia di loro?

Bor vide arrivare fieramente la bellissima Isid. La nobile regina era vestita a lutto: i piedi scalzi e i capelli sciolti sotto il velo nero. Eppure manteneva tutta la sua dignitosa regalità. Bor aveva perso da molto tempo la capacità di esprimere la stessa dignità. Era anche lui un re, certo, ma come Isid lo era solo di nome. Re del mare non significava nulla. Agli dei e a Herian l'oceano freddo e oscuro non interessava ed era meglio lasciarlo per qualcuno di scomodo come lo era stato lui, tanto tempo prima.

Prima di Herian, sotto il suo predecessore Sol, Bor aveva provato a battersi insieme ai suoi. Aveva cercato di alzare la testa contro il giogo dorato che gli dei chiamavano civiltà. Sua sorella ne aveva pagato il prezzo più di lui. Ora i suoi errori passati avevano condannato Isid a vivere lontana da suo fratello, la sua specie a essere solo l'ombra degli dei. E, alla fine, non aveva potuto impedire in nessun modo che tutti fossero usati per quella barbarie.

Quando Isid arrivò qualcuno le andò incontro.

Erir, suo fratello gemello, la prese per mano. A Bor apparivano luminosi e identici, come un tempo lo erano stati lui e Borea. Anche loro non potevano che tenersi semplicemente per mano e bisbigliare parole concitate, entrambi con una corona in testa e un collare invisibile al collo.

Erir era stato incoronato signore degli elfi bianchi, dopo che Herian aveva fatto alla loro razza quello che da millenni provava a fare ai titani. Quasi sterminati, i sopravvissuti, gli elfi fedeli agli dei di Olimpia erano stati dati in dono a Erir come ricompensa per aver lasciato la sorella e, a quest'ultima, era stata data la corona delle ninfe.

Herian aveva fatto a loro ciò che suo padre aveva fatto a Bor e Borea.

"Non sappiamo cosa è successo, sorella", disse Erir.

"C'è un'unica cosa che potrebbe rallegrare i titani proprio adesso", rispose saggiamente Isid.

"Sì", concordò Bor. "Un erede al trono. Uno vero".

I tre ninfali si guardarono duramente.

"Herian non lo lascerà vivere".

"Dubhe sta arrivando", spiegò Bor e gli altri due si voltarono a guardarlo, in un silenzio costernato.

Mentre tacevano, una ragazzina con i capelli rossi accorse per avvertirli che stava arrivando una delegazione dei titani.

Entrarono nella tenda ed ecco il vincitore: Herian, con Ascalon in mano, erto e nobile nonostante la fasciatura alla testa. Zeid, figlio di Ran e Rigel, gli aveva cavato un occhio prima di venire ucciso. L'unico in più di mille anni ad aver fatto sanguinare il re degli dei. Ora era morto, ma Herian non gioiva.

Ai lati del grande scanno su cui sedeva Herian c'erano due grossi lupi neri da battaglia che facevano la guardia al loro padrone. Su altrettante sedie, invece, stavano seduti i fratelli di Herian: Dir e Dite. Lo affiancavano sempre quando c'era da prendere decisioni politiche. Erano nipoti di Bor e quando entrò, i due lo salutarono. Erano fieri al loro posto, dove Herian li aveva messi per assicurarsi la loro fedeltà: in quel modo era riuscito a controllare il trono nonostante Herian fosse un bastardo e un meticcio.

Ora erano al completo: Herian e i suoi fratelli a capo di Olimpia, Bor signore del mare e dei suoi abitanti, Isid regina delle ninfe e strega, Erir re degli elfi e infine un piccolo essere, Alvi il sovrintendente dei nani che rispondeva ad Herian.

Solo una piccola ragazza con i capelli rossi si nascondeva dietro la grande gonna di Isid.

"Che abito lugubre", commentò con voce monocorde il re alla maga. "Chi è morto?"

"Tantissimi, mio signore", rispose impassibile Isid.

"Non è conveniente vestire di nero sopra le spoglie di una vittoria", continuò il re.

"La vittoria non è ancora assicurata, Herian".

La tenda cadde in un improvviso silenzio teso.

"Isid ..." Provò a dirle il fratello, prima che suonassero le trombe e si aprisse la tenda.

Un manipolo di titani era entrato nella tenda, grande abbastanza da farli stare dritti. Ognuno di loro era alto tre metri, i loro corpi lunghi e massicci terminavano nelle loro corna ricurve, ancora dipinte di rosso e bianco per la battaglia del giorno prima. Vestivano di blu, le loro insegne mostravano il fiero disegno del serpente che si annodava su sé stesso. Tra di loro, stava un piccolo essere alto quanto un uomo normale.

I suoi occhi erano azzurri, la sua pelle quasi trasparente tanto era pallida. Tra i suoi capelli neri spiccavano piccole corna nere. Non era vestito di blu ma di un intenso verde smeraldo, dello stesso colore della grande pietra che portava sulla fronte. Quasi tutto il suo corpo era ricoperto di gemme preziose e ori.

Bor incontrò gli occhi di Dubhe e per un attimo mille parole non dette volarono tra di loro.

Non si vedevano da molto tempo.

Dubhe non era cambiato di una virgola, mentre invece Bor sapeva di essere invecchiato. Il suo viso era stanco e la sua volontà spezzata.

I luminosi occhi del nysa si posarono sul Herian. Alzò il capo, in quello che appariva un gesto di sfida. Fecero lo stesso anche gli altri titani. Era in realtà un gesto di cortesia: sporgere il collo e spostare le corna. Bor lo aveva imparato molto bene: il momento peggiore per confrontare un titano era proprio quando abbassava la testa.

"Herian".

"Nobile Dubhe" il re lo chiamò con il suo vecchio titolo.

Dubhe non era più il compagno di Bor da molto tempo, eppure tutti continuavano a usare il titolo formale in uso tra gli dei. Il nysa non sembrava però innervosito.

"Posso dire di essere più che sorpreso di vederti. Ha forse qualcosa a che fare con il giubilo che viene dal vostro accampamento? Cos'ha il tuo re di così importante da comunicarmi da mandare addirittura te, il loro ultimo nysa?"

"Il nostro grande signore è stato graziato e i suoi potenti avi lo hanno benedetto", cominciò Dubhe in segno di sfida. "Il nostro popolo ha un erede al trono".

Herian rimase in un silenzio stupito prima di sussurrare: "Non è possibile".

Tutti sapevano che Herian aveva maledetto Rigel per renderlo sterile. Niente poteva andare contro una sua maledizione.

"Eppure è successo", spiegò Dubhe. "Rigel ha generato un nysa, proprio sul campo di battaglia".

La rivelazione fu così sconvolgente che nessuno disse una parola. Isid tese la schiena, mentre tutti gli altri cercavano di venire a patti con quello che avevano appena sentito dire.

Dubhe continuò: "È un nysa nato dal sangue della battaglia e dal sacrificio di milioni dei nostri, più forte di qualsiasi altro frutto che può nascere dall'albero della nostra stirpe. Il suo nome è Sirio". La sua voce si acquietò, ora meno orgogliosa. "Il nostro re propone uno scambio".

"Ovviamente!" Herian si alzò in piedi e iniziò ad avvicinarsi a Dubhe, tenendo le mani dietro la schiena. "Altrimenti perché avrebbe mandato te? Del resto, a cosa serve un nysa se non a scaldare il letto di un dio?"

Bruciante umiliazione riempì il vecchio cuore di Bor e lui era certo che Dubhe provasse lo stesso.

Il nysa non si fece fermare. "Il potere di questo nysa sarà imparagonabile a nessuna maga dei tuoi e nessun nysa dei nostri. Il suo sangue vale il Lyris".

"Questo è quello che dici tu. Il bambino è nato da meno di un giorno, non puoi saperlo".

"Lo so. L'ho previsto. Il mio signore propone un matrimonio", disse, usando la parola in uso per gli dei, "tra tuo figlio Gid e il figlio di Rigel".

Herian ridacchiò. "Non ho intenzione di diluire il sangue della mia famiglia".

"Non può essere più diluito di così", rispose Dubhe, abbassando la testa.

Dir si affrettò a placare il fratello prima che il re potesse uccidere il messaggero per aver avuto tanta insolenza. "Mio caro, forse dovremmo pensarci".

"Sono d'accordo" disse anche Dite. "La guerra è finita. Abbiamo vinto. Nostro padre decise di sposare Borea, dopo aver vinto. Non è una strategia inefficace, lo sai. E nel frattempo che il bambino crescerà,  potremo accertare il suo potere. Il Lyris potrà essere restituito se lo scambio ci apparirà equo".

"Ma Gid?" Disse Herian, più innervosito di prima. "Gid non è qui. È via da lungo tempo e non intendo promettergli in moglie un nysa, un titano, e sorprenderlo al suo ritorno". Il re scosse la testa. "No. Il bambino andrà a Lìr".

Tutti lo osservarono silenziosamente, persino Dubhe.

Bor strinse la mascella, impotente.

Lìr era un degenerato, questo lo sapevano tutti coloro che lo avevano conosciuto. Un indegno. Tra i figli superstiti di Herian, Lìr non aveva nessuna possibilità di brandire Ascalon dopo di lui. Ma Gid sì, e Herian non voleva arrischiarsi ad avere nipoti più titani che dei.

"Lìr?" Disse Dubhe, sconcertato. "Ma ..."

"Cosa avresti da dire sul mio figlio maggiore?" Lo sfidò Herian. "È nobile e forte. Sarà degno della vostra razza, se la vorrà. O Lìr o niente".

Dubhe strinse la mascella e poi alzò la testa. "Così sia".

Herian rise, tornando a sedersi. "Rigel si lascia convincere facilmente. Quanto dev'essere disperato?"

Dubhe non rispose, ma si voltò e se ne andò insieme alla sua scorta, con la grande cascata di gioielli che tintinnava la suo passaggio.

Quando uscirono, Bor gli andò dietro, sperando di potergli parlare. I titani non lo considerarono.

"Dubhe!" Chiamò dall'alto della collina, dove la tenda del re era stata posta.

Il nysa si fermò.

Sulla strada battuta da troppi piedi si voltò lentamente e lo guardò negli occhi per un lungo secondo, sotto la luce della luna. Bor non ebbe il coraggio di dirgli altro ma Dubhe sorrise, come aveva fatto molto tempo prima, in un altro posto, sotto le onde del mare. Se ne andò e non disse nulla.

Bor osservò la sua schiena sparire nella notte insieme ai suoi compagni, chiedendosi se lo avrebbe mai rivisto.

Anche Isid era uscita dalla tenda per osservare la scena, Eve saldamente vicina alla sua gonna.

"Mia signora, erano così spaventosi ...", disse, figlia di tanti anni di odio verso i titani. "Ma perché volevano dare un figlio maschio come moglie al principe Lìr? E chi era quello strano essere coperto di gioielli?"

La maga guardò nei grandi occhi della sua piccola apprendista.

"Hai visto i titani", spiegò la maga. "Sono i figli di Virtr, il primo titano. Com'era egli, loro non hanno distinzione tra maschi e femmine. Nemmeno gli elfi la hanno, questo lo sai. Ne hai incontrati alcuni".

"Sì, mia signora. Mi avevate detto che sono contemporaneamente maschi e femmine. Quindi è per questo che il bambino ... Sirio, può sposare il principe Lìr?"

La maga annuì.

"E cosa vuol dire nysa? Perché era importante che il bambino fosse un nysa?"

"Il titano che parlava, il nobile Dubhe, è un nysa. Sono i maghi dei titani. Il loro grande potere magico li fa nascere più piccoli di tutti gli altri. In tutti i regni del mondo, non ci sono maghe tra dei, ninfe o elfi che possono rivaleggiare contro un nysa".

"Nemmeno voi?"

"Non ho mai combattuto con Dubhe. Ma sarebbe capace di mettermi in grande difficoltà, senza dubbio. La loro magia è diversa dalla nostra".

La bambina stava a bocca aperta.

Isid le sorrise. "Meritano il nostro rispetto, Eve", spiegò. "Sono rarissimi. I re dei titani li usano spesso nei matrimoni politici. I titani non si possono mischiare alle altre razze per via della loro stazza, ma i nysa possono. Darti in sposo un nysa è il più grande onore che un titano può farti".

"E il bambino era così importante perché figlio del re!" Comprese la bambina.

"Non solo per questo, ma te lo spiegherò quando sarai più grande" Isid poggiò delicatamente una mano sui capelli rossicci di Eve e la ignorò quando lei continuò a fare domande. Vedeva Bor osservare la notte, pensieroso. Lei stessa aveva tanto a cui pensare.

Quel bambino, Sirio, era davvero il bambino che aveva visto sedere sul trono? Oppure il figlio che avrebbe avuto con Lìr?

Scartò immediatamente quel pensiero. No, Lìr non sarebbe mai diventato re.

Stava per succedere qualcosa che persino lei non poteva prevedere, qualcosa che avrebbe portato il modo verso la sua visione. Mancava un pezzo di quel rompicapo, ma sapeva che sarebbe giunto per mettere questo piccolo Sirio sul trono.





In questi primi due antefatti, la nascita di Laran e Sirio, insieme al Prologo, ci saranno un bel po' di nomi e posti, ma non temere, dal primo capitolo tutto sarà molto tradizionale! 

Ogni personaggio citato in questa parti, anche il più piccolo riferimento, sarà in realtà essenziale per la trama! Ho preferito dare un contesto di riferimento subito, così da non dover fare troppi spiegoni in seguito. Se mai ti capiterà di rileggere la storia una volta conclusa, leggendo queste prime parti avrai sicuramente quel senso di "Aaahhh, ma lo diceva dall'inizio!"

Fidatevi, so governare questa barca.

Spero.

Nota: Molti nomi di titani sono nomi di stelle - spesso giganti rosse o blu. 
Ho disegnato un albero genealogico. Dovrei postare anche quello? 

Inoltre, nella mia testa Isid somiglia molto alla Regina Ravenna di Charlize Theron mentre Dubhe è un po' Timothée Chalamet.

In ogni caso, non descriveró mai precisamente i personaggi tranne che per un aspetto generico, un mood generale, e caratteri superficiali. Eticamente puoi immaginarli come vuoi.

Secondo te, nella visione, chi era quel bambino? Laran o Sirio?

Fortsæt med at læse

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