vii. Isteria

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«Sei un genetista plurilaureato e non sai come aiutare una donna che sta per partorire?! Sei inutile, Ivon!»

«No, Sahara! Non sono cose che vengono insegnate, queste, tantomeno praticate! Non saprei dove mettere mano... Per le conoscenze che abbiamo è già tanto se riusciremo a intuire da dove uscirà il neonato!»

Sahara era sul punto di piangere. Lei, una laureanda ventitreenne cinica e pragmatica in ogni situazione, in quel momento era entrata nel pallone.

Molto più di Bea, che si limitava a tentare di regolarizzare il respiro tenendosi il pancione, mentre intorno a lei c'era solo ansia e disorganizzazione.

La donna avvertì una ventata d'aria fresca accanto a lei. Si accorse che uno strano uomo verde le si era seduto vicino, sul divano, fissandola con due occhi d'ossidiana che riflettevano il volto di una madre coraggiosa. «Ciao, come ti chiami?»

Lei lo guardò un po' schifata, ma quell'ogm con antenne e mani palmate era l'unico che non si comportava con la stessa verve di un pollo alla porta del mattatoio. «...Beatriss.»

«Io Mŏdis. Tutti e due con "is"» argomentò l'ittioide, per poi sollevare appena la maglia larga di Bea. Osservò a occhi spalancati quella pancia enorme, la pelle era talmente tesa da risultare profondamente smagliata. «Oh, ma che ti sei mangiata?»

«Tua sorella, Mŏ!» Sahara gracchiò acidamente, per poi continuare a sfogare i suoi nervi contro il professore. «E adesso che stai facendo?!»

«Chiamo l'unica persona che mi viene in mente per questa pratica» spiegò sbrigativo, e fortunatamente dopo pochi squilli rispose una voce profonda e perennemente strafottente: -Hey, dottorino. Che si dice nel paese dei balocchi?

«Arlo, abbiamo un emergenza. Hai mai visto una donna partorire? Sai come funziona?» chiese con la stessa semplicità di un ragazzino, tanto gli era ignoto l'argomento.

L'ologramma era piuttosto disturbato, ma il disappunto di Arlo era percepibile lo stesso. -Come credi che nascano i bambini, qui, dal sedere? Ho fatto nascere Eva con le mie mani. Ostetricia improvvisata, ma... andò bene.

«Arlo, ti prego. La madre di Sahara è piegata in due da un dolore intermittente e n-»

-Frena, frena, perché dovrei aiutarti? Perché sono figlio di tuo padre? Non sei niente per me, la tua vita non m'interessa.

Ivon prese aria con tutta la pazienza di cui disponeva al momento. «Non è il momento di fare il sostenuto, credimi. Non si tratta del mio ego, stavolta. Questa donna e il suo bambino rischiano la morte, e tu sei l'unico che può salvare due vite. Se rifiuti, avrai sulla coscienza una madre di due figli.»

Gli occhi speranzosi e gonfi di Sahara erano uno spettacolo straziante, per Ivon, e dall'altra parte della cornetta un uomo sbraitò con astio: -Arlo, il salvatore del mondo! Tutti 'sto cazzo di Arlo, cercano! Vabbè, chiedi alla donna se ha avuto delle perdite di liquidi e sangue, anche piccole.

Ivon guardò Bea, che aveva sentito la domanda. «No, per ora... s-solo contrazioni.»

-Ottimo, non ha ancora perso il tappo mucoso della cervice, allora c'è tempo. Ivon, è appena entrata in travaglio. Non c'è una durata precisa prima dell'espulsione, ma è questione di ore. Parecchie ore, se siamo fortunati.

«Il tempo necessario per venirti a prendere e portarti qua» pianificò il professore, dal momento che uno spettro non poteva muoversi senza falsi documenti, e non c'era tempo per elaborare un prestanome. «Tra due ore sarò al boccaporto sudest di Cromodoma. Fatti trovare lì, per l'amor del cielo, faremo una corsa contro il tempo.»

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now