xx. Algoritmo - parte due

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Allarme: breccia nel boccaporto A. intrusione di corpi estranei armati, a tutto il dipartimento Difesa: disporsi in due linee parallele, attacco e protezione dell'arca "Savanna". Priorità: protezione della Savanna.

«Ci mandano a morire ammazzati!»

«Taci! Fammi pensare, cazzo». Meccanjca si muoveva febbrile, avanti e indietro per il ponte della fredda e aerosa sezione navale. «L'unica cosa che mi viene in mente è saltare sull'arca prima di adesso!»

Intorno a loro si agitava il caos. La situazione d'emergenza aveva svegliato il TæT dal suo arco sonnifero; la colonia era in fermento per tentare di preparare i bambini alla partenza. L'arca non era ancora accessibile, gli operai stavano sudando e rischiando la vita nel tentativo di approntare la fase di espulsione dal boccaporto.

La voce metallica della Sala Testa imperversava come una tempesta su un campo di fragili fiori. L'intento del Senza Volto era quello di dare disposizioni precise e mantenere la quiete, ma l'effetto sortito era prossimo al contrario: sempre più civili si andavano ammassando dietro alle barricate disposte dalla sezione Difesa. Tra non molto, un mare di gente avrebbe cominciato a spingere per salire sull'arca, col rischio di sovraccaricarla. Il Senza Volto sapeva che, una volta inondata l'arca di persone, tutto sarebbe andato perduto e non sarebbe nemmeno riuscita a partire.

Dente sbuffò, pestando la seconda sigaretta degli ultimi dieci minuti. «E come pensi di fare? Altro che due file di difesa, ci saranno cinquanta gorilla a guardia della Savanna.»

«Abbiamo lavorato qui, conosciamo un paio di condotti laterali. Spremiti il cervello, Dente». Il boss sistemò meglio la sua esotuta, chiudendo gli strap per far aderire gli stivali magnetici alle cosce bioniche. «Ora o mai più, andiamo.»

In quel momento, accanto a loro sfrecciarono tre uomini in tuta spaziale, uno di loro dava ordini a destra e a manca.

«Non voglio vedere neanche una singola crepa in una cella criogenica. Chiaro? Tutti gli scaffali zigotici devono essere spediti nel laboratorio dell'arca, ora!»

«Sì, dottor Idra». I due ufficiali corsero a coordinare i loro sottoposti. Immediatamente dopo, carrelli automatici pieni di capsule d'azoto muovevano verso il vano della Savanna.

«Oi, bambolo». Meccanjca raggiunse Ivon, per metterlo alle strette. «Io e Dente saliamo. Non è un buon giorno per morire, questo.»

«Abbiamo già diversi clandestini in entrata...» rispose, distratto, mentre dava altri ordini con dei cenni delle braccia. La donna bionica intuì che si trattava della sua cricca di Folgar.

Meccanjca non fece in tempo a replicare, che le paratie di peltrovetro e ferro furono sfondate con un impeto fragoroso. Un fiume di gente urlava, così tanto che sembrava scrosciare come acqua di rapide fra le rocce. Le file dietro erano le più sfortunate: i Cani mietevano vittime come agricoltori alla vendemmia.

I droni di Madre erano sopravvissuti a quella morte di dea che i coloni non avevano fatto in tempo a festeggiare. I robot avevano sfondato lì dove il TæT era più sottile, nella giuntura che lo connetteva allo spazio. Nessuno era preparato ad affrontare quel tipo di tecnologia laser, neanche SET.

Le linee della difesa erano state falciate, i gruppi di bambini in fuga dagli alloggi all'arca erano stati decimati. Uomini, donne e minori morivano senza neanche accorgersene.

Ma quel caos era un bene, per qualcuno. I raccomandati, perché amici del genetista o di SET stesso, erano già tutti a bordo. Anche il resto dell'equipaggio essenziale della Savanna era ai posti di partenza.

«Dobbiamo far entrare i civili! Almeno un po'!» gridava Beatriss, con Tesla ben saldo nella fascia dorsale.

«L'arca rischierebbe seri danni, e non c'è stato tempo di caricare ulteriori provviste alimentari. Comandante Gì, accensione motori» annunciò SET, lapidario, trasmettendo le sue parole direttamente nella cabina di plancia.

«I bambini! Aspettiamo che arrivino i bambini!» urlò Mŏdis, sconvolto.

«Negativo

«Altre morti sulla tua coscienza, "messia"...» commentò Arlo, strattonando all'indietro Sahara e Mŏdis.

Le porte dell'arca si chiusero, mentre fuori imperversava la disperazione. La storia si ripeteva, ancora e ancora.

E a SET, l'immortale, sembrò di rivivere quel giorno sull'astronave che lasciò la Terra e i sapiens al loro destino. SET c'era, in quel tempo, ma non in quella forma: era parte dell'Intelligenza Artificiale dell'arca stessa. Aveva altri nomi, allora, i più lo chiamavano "Big Brother" o "Google".

Tra le pareti inossidabili del TæT, il diamante rovesciato nello spazio, si consumava l'ennesimo atto di disumanità.

Il comandante a capo della Savanna era l'uomo più improbabile del momento, scelto da SET stesso: L'Amico Gì, il sedicente meccanico che aveva assistito SET nella sua evoluzione da Sex Doll a profeta. Il vegliardo dei bassifondi era considerato un ingegnere tanto strambo quanto efficiente. Al suo fianco, il secondo in comando ne avrebbe retto i passi e contestato le mosse, se necessario.

Er... Informazione, informazione: tutto il fortunato equipaggio è pregato di allacciare le cinture e non vomitarsi addosso, grazie!― la strampalata comunicazione megafonica del comandante si chiuse così, ma l'atmosfera era dura da alleggerire.

I possenti ganci di ancoraggio pendettero sulle teste di centinaia di sacrifici umani. La bocca verso lo spazio si aprì con un risucchio mortale, espellendo Cani e uomini nello zero assoluto. E vi fu la certezza di una morte rapida.

Le volte del TæT lasciarono definitivamente andare l'astronave.













NOTA

Qui si conclude la seconda parte di Sindrome di Lazzaro. La terza sarà l'ultima parte della storia... Buon viaggio!

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now