Prima parte

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       Il sole era terso, quasi al punto massimo del suo percorso, e il cielo disgraziatamente sgombro da nuvole.

Il sito arido appariva popolato da animali e mezzi da trasporto, più gli addetti agli scavi, divisi in squadre e professioni. Su un'altura rocciosa, in perfetta posizione per osservare l'intero lavoro, si ergeva un baldacchino di riparo. Tra le tende svolazzanti di canapa grezza una giovane donna aveva le mani piantate sul tavolo, scrutava concentrata le carte dell'area del ritrovamento.

«Namra, ci siamo. La struttura è quasi tutta fuori dalle sabbie» annunciò una voce alle sue spalle.

L'archeologa si voltò, facendo un cenno col mento al messaggero. «Grazie, puoi dire agli altri che fra poco si farà pausa pranzo, resistete.»

«Questo clima ci distrugge,» commentò il professore al suo fianco. «Pensare che l'emisfero più alto del mondo era decisamente freddo e ricco d'acqua, fino a duemila anni fa. Invece guardaci, siamo costretti a spalmarci addosso questa schifosa crema anti-sudorazione.»

«Il pianeta cambia in fretta, forse troppo» sorrise Namra, per poi vuotare in bocca l'ultima goccia dalla sua borraccia. «A proposito di anni, prof. Abbiamo i risultati della datazione al Carbonio: l'oggetto alieno risale a circa due millenni fa... L'epoca in cui è stato scritto il Sacro Testamento.»

Il docente molleggiò sulle gambe, eccitato. «Lo sapevo, antica tecnologia! È una svolta storica per l'umanità.»

«Andiamoci con i piedi pesanti,» moderò Namra, più razionale del suo stesso mentore. «Sì, la religione dice che Qrrash giunse dal cielo con i dèi dalla pelle pallida, ma quanta probabilità c'è che si tratti proprio di questo velivolo? Oh, buon Dio...»

«Abbiamo capito che è un'astronave,» ripeté l'altro, sistemando sul tavolo la carta con le analisi gravimetriche del ritrovamento. «La struttura è indubbiamente aerodinamica è la lega è sconosciuta. Non ci sono quei metalli sul nostro pianeta. Guarda caso è atterrata duemila anni fa.»

«Già» disse lei, flettendo in avanti le sottili antenne.




«Il varco è aperto! Il-varco-è-aperto!» strillò una voce lontana, un puntino verde scuro in mezzo al grigio del deserto.

Namra e il suo gruppo accorsero, con il cuore in gola. Furono costretti a muoversi come capre di montagna, adagio lungo la ripida discesa pietrosa. Più di una volta il professore aiutò la sua allieva a non perdere l'equilibrio; Namra era un'ottima ricercatrice, ma una pessima sportiva.

Giunti sul fondo del perimetro di scavo, i sette membri in prima linea rimasero esitanti. Il corpo triangolare dell'astronave era crepato e sfondato in più punti, grazie ai quali gli operai avevano potuto fare leva.

«Professor Shani,» cominciò uno degli speleologi. «Per sicurezza, indossiamo delle tute isolanti e maschere anti-tossico.»

«Devi rivolgerti a me, sono io a capo degli scavi» soffiò Namra, scura in volto. Si placò solo quando una mano palmata le atterrò sulla spalla.

«Hai ragione. Ma cerchiamo di controllare la tensione» le sussurrò Shani.

Fecero come suggerito. Avanzarono e si infilarono della grossa crepa sul fianco del velivolo alieno, e penetrarono all'interno. Trovarono tutto come in un perfetto racconto fantascientifico. Anzi, si aspettavano di incorrere in grosse insidie, come esseri non-morti, esperimenti ancora attivi, sostanze mortali. Niente di tutto quello. L'aria dell'astronave era pesante come una trave sulle loro spalle.

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now