xi. Scottature

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Sant'Elaine, Clinica privata


L'albina stringeva appena le lenzuola candide, dal pungente odore di disinfettante.

Il continuo e sommesso "bip" del suo cuore la stava facendo impazzire: non voleva più sentirlo, dato che ogni volta la conduceva al macabro gioco mentale del "contare i battiti rimasti". Tuttavia, in quel momento, Savanna poteva sentirsi sollevata: aveva i suoi migliori amici accanto.

La guancia di Zeno era premuta contro la pancia piatta della paziente, in silenzio già da qualche minuto. A sinistra di Savanna, Sahara faceva la parte dell'ultima persona disposta a rassegnarsi al peggio. «Il bombardamento a Muoni è una tecnologia molto promettente, Savy. Ci deve pur essere un numero sufficiente di nanoanticorpi per... per...»

«Sahara» la mano scarna e incolore dell'amica si posò su quella sana dell'altra, parlò con dolcezza: «Basta con questi discorsi, davvero.»

A corto di fiato, Sahara deglutì e guardò il pugno di Zeno stringersi sulle coperte, tanto da tremare e far sbiancare le nocche. Ma il giovane botanico non disse una parola; rialzò il capo e si ricompose, con occhi gonfi.

Le finestre della stanza privata erano ben chiuse, per non lasciar entrare eventuali pollini della campagna. La clinica sorgeva nella periferia sud di Exo, una pianura di appezzamenti agricoli intensivi. Mentre le piante pregiate venivano custodite negli orti botanici, le poche varietà esistenti di cereali erano gestite come monocolture intensive, sotto alla più bassa parte della cupola.

I genitori di Savanna avevano scelto di ricoverarla in un'area di campagna, nella vana speranza che lì lo smog fosse meno aggressivo. I polmoni della loro unica figlia erano irrimediabilmente compromessi dalla terapia, così come gli altri organi vitali.

«Ho portato una cosa da farvi vedere» annunciò Zeno, risollevando un po' l'atmosfera. Dalla sacca monospalla estrasse un tomo cartaceo, che le due osservarono come un oggetto non identificato.

«Che diavoleria è?» chiese Savanna mollemente, spostandosi dal volto scavato i capelli bianchi e sottili, simili a fili di ragnatela.

Zeno posò l'oggetto sulle gambe della sua ragazza, per farle toccare quella cosa chiamata "carta".

«Un libro» spiegò lui. «Fatto di cellulosa pressata, scritto con dell'inchiostro. È uno dei pochi rimasti al mondo, roba da mercato nero.»

«Dove l'hai preso? Sarà costato un sacco» considerò l'albina.

Zeno eluse la risposta, scrollando le spalle. «Non importa. Il bello sono le immagini dentro... Non riesco proprio a identificarle e sapete bene che sto dedicando una vita alla botanica.»

Lo aprirono lentamente, sporgendo le teste come per fissare qualcosa in fondo a un pozzo. Le pagine erano talmente ingiallite da apparire venate di marrone in alcuni punti.

Sahara batté le palpebre per assicurarsi che i bulbi oculari le fossero rimasti a posto. «Un tomo così dettagliato sulla flora e sulla fauna di Folgar prima del nucleare non l'avevo mai visto...»

«Neanch'io,» ragionò Zeno, confuso «ma non riesco a leggerlo. È scritto in una lingua arcaica, non credo che esistano esperti in grado di decifrarla. Il titolo un po' si capisce, ha la stessa radice dell'anglica: qualcosa che ha che fare con l'ecologia. Ma oltre a questo i paragrafi sono troppo complessi.»

«Mi bastano le immagini per rimanere senza fiato...» Sahara passò due polpastrelli contro il quadrato della didascalia, appena ruvido al tatto. «Queste piante, queste distese d'erba, fiumi e laghi... di metano?»

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now