xvii. Sollevazione - parte due

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La morte arrivava veloce, per i più fortunati. Il più dei mutilati rimaneva nel limbo atroce e osceno dell'agonia.

Tutti soffrivano, il dolore non faceva sconti a nessuno. Ancora una volta, l'umanità combatteva lotte intestine, perché quella era la sua natura: la storia non aveva insegnato niente a nessuno.

«Magnetocatapulte, fuoco! Ora!»

I sistemi ribelli ubbidirono all'urlo di Moses. Le strutture lunghe e affusolate delle catapulte automatiche circoscrissero in volo metà di un arco, scaraventando sfere di piombo elettrificato.

La Piramide era di una bellezza invidiabile. Nera, liscia, severa: era l'oggettivizzazione di Madre. La Piramide non aveva occhi per guardare né bocca per urlare, ma sembrava lo stesso pulsare di vita propria. Rifletteva i colpi che le venivano inferti, quelli che la scalfivano appena: la lega metallica che rivestiva l'edificio era naturalmente a prova di proiettili. Ma Moses sapeva esattamente cosa fare per mettere il punto.

«Cellula due. Avanzate a fianco dei pa-dienachiani, fino alle fenditure del portellone nord della Piramide. Confermate». Era intento a sgozzare un Accessore e, con una seconda arma da fuoco, mirò e centrò al collo il Moderatore che gli si stava parando dal lato opposto dell'esoscheletro.

―Ricevuto― confermò la seconda divisione della resistenza. ―Tuttavia, signore, l'aggiorno sul fatto che abbiamo subito molte perdite: siamo ridotti all'osso.

«Non importa. Siamo vicini alla fine.»

La risposta di Moses lasciò spiazzati i ribelli dall'altra parte della microtrasmittente. Non c'era tempo per chiedere al pontefice di Assica cosa significasse davvero quella frase pronunciata in modo cupo, come se Moses avesse omesso di dire loro una grossa parte del piano bellico.

Ingenuamente, i ribelli credevano che, eradicata Madre, avrebbero potuto rifondare un nuovo mondo.




Madre non aveva pronunciato una singola parola contro i suoi aggressori. Un tempo loquace e amante delle apparizioni durante messe e feste mondiali, stavolta giaceva in un silenzio ermetico e colpevole. Essa si muoveva attraverso i corpi dei suoi robot e cyborg, monitorava attraverso i loro occhi con passività, limitandosi a impartire stringe di ordini digitali.

Madre non poteva provare paura, sapeva solo che, per qualche motivo algoritmico, doveva compiere il possibile per rimanere intatta. Il suo Core era lo stesso che un ittioide era riuscito a invadere con una certa facilità di contatto.

Una grande complessità elettronica come quella di Madre era soggetta a un compromesso: un'elevata vulnerabilità.

Ecco perché aveva edificato cose attorno a sé. Ma non aveva predetto una ribellione – nella mente logica di Madre, non era concepibile che l'essere umano potesse attivarsi in un atteggiamento autodistruttivo. Perché tentare di spodestare Madre voleva dire annientare tutti gli apparati antropici di base: dall'estrazione energetica mondiale fino ai sistemi sanitari automatici.

Madre credeva che Folgar fosse parte degli esseri umani, che questi non potessero attuare comportamenti suicidi. Evidentemente, si era sbagliata.

―Sua Eccellenza, siamo in posizione, ma la polizia continua a rifornirsi di uomini da ogni distretto di Exo e noi... non reggeremo ancora per molto.

L'annuncio di Tragopogon sibilò nelle orecchie ovattate di Moses. Era intento a usare l'ultima briciola della forza propulsiva esoscheletrica per affondare quanti più Cani e cyborg possibili. Alcuni ribelli avevano colorato l'aria venefica di Exo con nuvole di fumogeni rossi, imitando il comportamento delle seppie d'acquario al momento della minaccia.

Sindrome di LazzaroWhere stories live. Discover now