did i let you down again?

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Tamburello nervosamente le dita sul bracciolo del divano, tenendo lo sguardo basso. Non mi sento nella posizione per poterlo contraddire: non so quello che si prova e non voglio nemmeno saperlo. Ma non posso nemmeno ignorare il fatto che si sia dimostrato così debole davanti a un po' di erba: se gli avessero offerto altro, l'avrebbe accettato? Se ci fossero state pillole o coca, cosa avrebbe fatto? Non posso fare a meno di chiedermelo, perché, per quanto possa negare, nemmeno lui può essere certo che sarebbe stato in grado a rifiutare altri tipi di regali. 

"Devi spezzare la catena del tutto, non puoi permetterti neanche una piccola distrazione, perché non lo capisci?".
Lui scuote la testa, mordendosi il labbro inferiore: "Sei tu che non capisci". Si passa una mano sulla barba, grattandosi il mento: "Ti stai arrendendo con me, lo vedo nei tuoi occhi, Bianca. Lo vedo che non credi in me, dai già per scontato che ci ricadrò".
"Non ci provare nemmeno a scaricare la responsabilità dei tuoi cedimenti su di me", lo interrompo con rabbia, puntandogli un dito sul petto: "Se sei così, è solo colpa tua".

Nel sentirmi dire quelle parole, l'espressione sul suo viso cambia drasticamente, come se avessi detto chissà cosa.
"Così come?", mi chiede con gli occhi in fiamme.
"Debole", non ho paura a chiarire. 

Gus resta zitto per qualche secondo, poi si alza di scatto dal divano e va verso il tavolo: dandomi la schiena, si appoggia alla superficie scaricando il peso del suo corpo sulle braccia e muove la gamba nel suo solito tic nervoso: "Sto dicendo che ho bisogno che credi in me, che ti fidi quando ti dico che per una canna ogni tanto non tornerò a sniffare o ad impasticcarmi".

Mi alzo e lo raggiungo. Mi posiziono di fianco a lui, ma Gus resta immobile a fissare le sue mani appoggiate al tavolo e si mostra solo di profilo.
"Non sono il coglione che credi sia!", sbotta all'improvviso, alzando la voce e tirando un pugno sulla superficie di legno: "Fanculo, smettila di trattarmi come se fossi un idiota".

Faccio istintivamente un passo indietro, non mi aspettavo esplodesse con tanta rabbia. Non gli rispondo e mi limito ad ascoltarlo, mentre continua a sfogarsi.

"Mi avevi promesso che non mi avresti lasciato solo, che mi avresti supportato, ma invece ti stai comportando come tutti gli altri. Perché cazzo stai con me, se mi reputi un debole e uno stronzo? Vattene e trova di meglio, no? Trovati qualcuno a cui non devi fare da balia, qualcuno senza problemi, vai da quel tuo amico di merda, così non devi più preoccuparti di niente e puoi tornare alla vita normale che facevi prima di conoscermi. Se sei così infelice e sempre preoccupata a causa mia, se stai vivendo male, abbi il coraggio di ammetterlo che, se siamo ancora qui, è solo perché ti senti in colpa, perché credi che avermi lasciato abbia causato tutto questo, quindi non puoi di certo mollarmi ancora, non adesso, perché hai paura che possa andare ancora in overdose. Dico bene? E' questa la verità, o sbaglio?".
Fa una breve pausa per riprendere fiato serrando la mascella, poi continua il suo flusso di coscienza: "Il fatto è che non tutti hanno avuto la fortuna di avere una vita perfetta come te, alcune persone hanno passato l'inferno e forse è per questo che adesso sono così deboli, come tu mi definisci. Ma dall'alto del tuo piedistallo è facile giudicare tutti, è facile darmi del coglione per una fottuta canna. Non sai un cazzo, sei solo una viziata con la sindrome della crocerossina: vuoi salvarmi a tutti i costi, ma in verità non fai altro che rendermi la vita impossibile!".

Alza finalmente lo sguardo su di me e faccio davvero fatica a riconoscerlo in questo momento, i suoi occhi sono carichi di collera e mi fa quasi paura. Estrae dalla tasca dei jeans la bustina di erba e me la lancia addosso.

"Tienitela. Se hai così poca fiducia in me da credere che quei pochi grammi di roba possano trascinarmi di nuovo nella tossicodipendenza, fumateli tutti o buttali nel cesso, fai quello che ti pare".

Mi sento talmente umiliata e ferita in questo momento che non riesco a trovare le parole, non ho nemmeno la forza di asciugarmi le lacrime: lascio che mi righino le guance senza ritegno finché qualcuna non mi gocciola dal mento e si schianta sul pavimento.
Abbasso lo sguardo a terra e fisso la dannata bustina di erba che è caduta a terra dopo avermi colpito all'altezza del petto; poi sollevo gli occhi su Gus che ora si sta passando le mani sul viso. Lo lascio lì in cucina senza dire niente e mi dirigo in camera, mi butto sul letto e mi metto sotto alle coperte con gli occhi chiusi: tutte le parole che mi ha vomitato addosso mi hanno investito come un treno e ora voglio solo restare da sola.

Non so quanto tempo sia passato: potrebbero essere tre minuti come tre ore, oppure addirittura tre giorni, quando sento la porta della stanza aprirsi piano. Percepisco che qualcuno si è appena seduto ai piedi del letto. Sono voltata di spalle e non posso vederlo, ma continuo a tenere comunque gli occhi chiusi nonostante sia sveglia.

Sento Gus sospirare come per prendere coraggio, poi con un filo di voce dice: "Senti, sono parecchio nervoso per tutta questa storia e sono esploso. Non volevo dire quelle cose".
Resto zitta con le coperte tirate su fin sopra al naso ad ascoltarlo.
"Bianca, ascoltami", bisbiglia piano e lo sento avvicinarsi lentamente al mio corpo immobile: "So che non stai dormendo". 

Mi poggia una mano sulla spalla e io mi irrigidisco in automatico, non so se n'è accorto, ma comunque fa una leggerissima pressione per spingermi a voltarmi verso di lui. Io non mi muovo, così è lui ad alzarsi dal letto per cambiare posizione: si siede per terra davanti a me, in modo che non possa proprio ignorarlo.
"Hey, guardami", mi accarezza dolcemente i capelli, costringendomi a fissarlo direttamente negli occhi: "Baby, mi dispiace".
"Sei uno stronzo", bisbiglio ancora ferita, con una voce che sembra provenire direttamente dall'oltretomba: "Hai detto che ho una vita perfetta, nonostante mia madre sia morta quando andavo ancora a scuola e mio padre viva dall'altra parte del mondo. Hai detto che non faccio altro che incasinarti la vita e che ti sto troppo addosso, che non ho le palle per lasciarti solo perché mi sento in colpa per quello che è successo. Non chiamarmi baby e lasciami in pace, non ho voglia di parlare con te".

Gus mi ignora e abbassa leggermente il lenzuolo, in modo da scoprirmi il viso, e appoggia la sua fronte contro la mia. 
"Lo so quello che ho detto", sussurra: "Ho esagerato, ma giuro che non penso neanche una parola di tutto ciò. Scusami". 

The last thing I wanna do // LIL PEEPWhere stories live. Discover now