got her little heart in my hand and i don't wanna break it

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Mi volto e me ne vado, lascio Gus da solo in quel vicolo desolato.

Percepisco il suo sguardo fisso sulla mia schiena, sento l'istinto di voltarmi ma lo reprimo con tutte le mie forze: continuo a camminare senza mai guardarmi indietro. Mentirei a me stessa se dicessi di non avere dentro di me la tentazione di tornare sui miei passi: nonostante tutto, sono innamorata di lui, lo amo più di quanto lui possa pensare, e sapere di averlo lasciarlo lì da solo a disperarsi non mi fa stare affatto bene. Ma la verità è che mi vergogno di pensare a come sta lui in questo momento; mi sento una completa idiota a preoccuparmi ancora per Gus nonostante quello che mi ha fatto, eppure è un pensiero di cui non riesco a liberarmi.

Resto forte e continuo a camminare senza meta, nella speranza di incontrare prima o poi un taxi che mi possa portare all'aeroporto. Mentre vago per Chicago in solitudine, mi sento sopraffatta dalle mie emozioni: non so nemmeno io cosa provo, non so se sono più arrabbiata o più ferita, in questo momento. Sento solo un senso di vuoto, è come se niente avesse più senso. Tutte le certezze che avevo sono crollate nel giro di un secondo, per l'ennesima volta mi rendo conto di aver sbagliato ancora a valutare una persona.

Dal primo giorno che l'ho incontrato, ho sentito dentro di me una sensazione particolare: mi ha travolta e ho perso il lume della ragione, ho fatto cose che non credevo avrei fatto per nessuno e ho accettato cose che prima non avrei mai tollerato, sono scesa a patti con me stessa tante volte per lui. Non so quale incantesimo mi abbia fatto, ma gli ho dato fiducia fin dal primo secondo: mi sembrava una persona estremamente sincera e incapace di mentire. Evidentemente sono stata troppo ingenua. Dopotutto è un musicista, è giovane, tatuato ed ha un bel faccino: davvero credevo che avrebbe sempre scelto me rispetto alle ragazze che gli si buttano addosso nei backstage? Si sa che la carne è debole e non posso certo biasimarlo per questo, ma perché prendermi il giro? La cosa peggiore non sono tanto i tradimenti, quanto il fatto che, se non l'avessi scoperto, lui mi avrebbe tenuto tutto nascosto.

Vorrei tornare indietro nel tempo solo per dire alla me stessa del passato di stare attenta, di non dargli il mio cuore in mano, perché finirà per stritolarlo nel suo pugno e disintegrarlo. La verità è che il dolore che sto provando ora non lo augurerei neanche al mio peggiore nemico. Mi sento devastata, è come se fosse appena scoppiata una bomba nucleare e, in questo momento, mi sembra che i danni siano troppo gravi per guarire; non so se riuscirò mai a superare questa storia, non credo riuscirò mai davvero ad andare oltre e dimenticare quello che è successo.

Finalmente, dopo una buona mezz'ora di vagabondaggio immersa nei miei pensieri, riesco a trovare un taxi libero e mi ci butto dentro esausta. Chiedo al conducente di portarmi all'aeroporto e lui si limita ad annuire alzando il volume della radio. Mi metto comoda appoggiando la fronte al finestrino, chiudo gli occhi e riconosco dalle prime note la canzone People are strange dei Doors: è il gruppo preferito di mio padre, li ascoltavamo sempre nei viaggi in auto quand'ero piccola.

People are strange when you're a stranger, faces look ugly when you're alone. Women seem wicked when you're unwanted, streets are uneven when you're down. When you're strange faces come out of the rain, when you're strange no one remembers your name.

Senza neanche rendermene conto scoppio in un fiume di lacrime, inizio a singhiozzare tanto che il taxista accosta e si volta per controllarmi: "Hey ragazzina, tutto okay?".
Non rispondo e continuo a piangere disperata, non riesco a fermarmi: il testo dei Doors mi ha inconsciamente riportato alla mente un'altra canzone che mi è altrettanto famigliare, The way I see things di Peep.

I don't feel much pain: got a knife in my back, and a bullet in my brain. I'm clinically insane, walkin' home alone, I see faces in the rain.

L'uomo attende pazientemente finché non mi calmo un po', mi allunga un fazzolettino di carta e poi mi chiede ancora se sto bene.
"È stata una serataccia, mi scusi", gli dico, tirando su con il naso.
"L'ho notato. Posso fare qualcosa per te? Oltre a portarti all'aeroporto, intendo".
Io scuoto la testa con un sorriso forzato e lui mi chiede se sono sicura di voler partire. Al mio segno di assenso, si volta e rimette in moto l'auto ma, di tanto in tanto, noto che mi controlla attraverso lo specchietto retrovisore.

Per tutto il viaggio cerco di fare dei respiri profondi, ma non riesco davvero a calmarmi: mi sento costantemente un peso al petto e la gola chiusa. Una volta giunta a destinazione, tiro fuori il portafogli dalla borsa per pagare la corsa, ma il taxista mi blocca: "Tranquilla, lascia stare ragazzina".
"Ne è sicuro?".
"Non so cosa ti sia successo, ma va bene così". L'uomo mi da ulteriore conferma con un gesto della mano, quindi chiudo la portiera del taxi per poi incamminarmi all'interno dell'aeroporto, pensando che forse non tutte le persone fanno così schifo.

Mi fa strano rimetterci piede dopo così poche ore dall'atterraggio, non mi sarei mai aspettata di tornare già a casa. Non era nei miei piani, ma so che è la cosa giusta da fare per me stessa, non avrebbe alcun senso restare a Chicago per cercare di parlare ancora con Gus: non potrebbe dire niente per cambiare le cose e non c'è niente che possa fare per farmi stare meglio. Ho solo bisogno di stare da sola e crogiolarmi per un po' nel mio dolore.

Mi avvicino all'infopoint e chiedo alla signora al banco quando sarà il prossimo volo per Los Angeles. Le spiego a grandi linee la situazione, che devo ripartire in fretta e che non ho potuto prenotare un volo. Lei inizia a digitare qualcosa sulla tastiera e poi mi riporta quanto compare sul suo computer: "Tesoro, il primo aereo per L.A. è tra tre ore, è diretto. Ci sono ancora dei posti disponibili e sei ancora in tempo per acquistare il biglietto e fare il check in".
Mi guarda con aria compassionevole, non devo avere una bella cera dopo il pianto disperato di prima, senza considerare le sei ore di viaggio di oggi pomeriggio. Poi, l'impiegata aggiunge: "Posso prenotartelo io da qui se vuoi".
La ringrazio e le fornisco tutti i documenti utili per procedere; dopo qualche minuto mi stampa il foglio per l'imbarco e me lo porge. La ringrazio di nuovo con un sorriso forzato e mi infilo il biglietto in tasca, andando alla ricerca di una toilette.

Apro la porta e mi posiziono davanti allo specchio: ho un aspetto davvero orribile, ho l'eyeliner completamente sbavato ed è andata persa qualsiasi traccia di mascara dalle mie ciglia. Mi lavo il viso con dell'acqua fredda, avendo cura di togliere tutti i residui di trucco; poi mi faccio una coda alta e mi asciugo la faccia con una salviettina di carta.
Sono stremata, il pensiero che non sarò a casa prima di cinque o sei ore mi fa venire voglia di sdraiarmi sul pavimento lercio di questo cesso e non alzarmi mai più; ma mi faccio forza e mi dirigo verso il gate per l'imbarco, dove dovrò aspettare pazientemente per un bel po'.

L'aeroporto a quest'ora è mezzo vuoto, sono contenta di non dover incontrare troppe persone in questo momento. Non appena trovo un posto in cui mettermi comoda, mi vibra il telefono. Lo tolgo dalla tasca e leggo il mittente: si tratta di Mackned. Onestamente non mi va di sapere cosa ha da dirmi, vorrà parlarmi di Gus e non ho le forze né fisiche né psicologiche per affrontare una conversazione.

Cancello la notifica senza aprire la sua chat e spengo il cellulare: non ho la minima voglia di parlare con nessuno, voglio solo tornarmene a casa e dormire, in modo da non pensare a un cazzo anche solo per qualche ora. La mia testa ha bisogno di staccare la spina, ho talmente tante cose che mi frullano all'interno che mi potrebbe esplodere da un momento all'altro.

The last thing I wanna do // LIL PEEPDove le storie prendono vita. Scoprilo ora