i can feel you watchin' after me

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Si siedono sul divano e gli altri capiscono da soli di non immischiarsi, di lasciarli parlare in privato, senza interruzioni: è come se ci fosse una sorta di codice non scritto tra tutti i presenti. Io li guardo compiaciuta dall'angolo della stanza e, mentre sgranocchio qualche patatina, Ned mi si avvicina quasi di soppiatto. 
"Ciao", lo saluto con un sorriso di cortesia. 
Lui non risponde ma mi abbraccia direttamente, cogliendomi un po' alla sprovvista: è la prima volta che ci rivediamo dopo quella famosa sera, ammetto che mi fa uno strano effetto. 
"Come stai, Bi?".
"Meglio", dico onestamente: "E' stato un bel periodo di merda. Tu come stai?".
"Solito", si limita a rispondere lui, sollevando le spalle e guardando la misera Coca-Cola nel suo bicchiere: "Cazzo, che spavento ci ha fatto prendere, eh?". 
"Puoi dirlo forte", commento con un sorrisetto amaro. 
"E' in rehab adesso?", mi chiede, esitando e giochicchiando nervosamente con il bicchiere di carta che tiene tra le mani.  
"Più o meno. A Tucson l'hanno mandato da uno psichiatra", gli rivelo: "Ora che è a casa dicono che non c'è bisogno di chiudersi in una clinica, ma deve comunque vedere qualcuno, tipo cinque volte alla settimana". 
Il ragazzo annuisce con la testa bassa, poi confessa: "Pensavo di andarci anche io, però... non lo so, forse un giorno mi deciderò a farlo davvero". 
Lo guardo e gli sorrido: "Male non farebbe di certo".

Esco sul balcone e mi accendo una sigaretta: dal fumare solo alle feste ero passata a fumare solo quando mi sentivo stressata. Il problema è che, ultimamente, sono stata stressata per un po' troppe cose: prima il suo trasferimento a Londra, poi il tour, i tradimenti e infine il periodo in ospedale avevano trasformato un vizietto saltuario in una necessità quotidiana. 

In quanto esseri umani, cerchiamo rifugio in abitudini che spesso e volentieri ci fanno male e che a lungo andare ci danneggiano, ma la cosa assurda è che ce ne freghiamo. Chissà perchè, non riusciamo a stare lontani da certi vizi, anche se siamo consapevoli che questi finiranno per ucciderci in un modo o nell'altro. Ci distruggiamo con le nostre stesse mani e ne siamo pienamente coscienti, ma credo sia un po' nella natura umana concentrarsi solo su ciò che ci gratifica al momento, evitando invece di pensare alle conseguenze e al futuro. 

Fumo tranquilla appoggiata alla ringhiera, mentre guardo tutte le persone in casa che stanno festeggiando il ritorno di Gus: avevo chiesto a Wicca di invitare un po' di gente, ma ora mi chiedo quanti siano davvero felici, quanti siano davvero suoi amici e quanti invece hanno sempre finto per avere l'opportunità di condividere anche solo una piccolissima luce dei riflettori che Gus ha sempre avuto puntati addosso. 

Dopo un paio d'ore, le prime persone iniziano ad andarsene e, piano piano, uno dopo l'altro, tutti lasciano la festicciola lasciandoci soli in casa. Gus è seduto sul divano, lo vedo particolarmente felice: ha un'espressione distesa e un sorriso abbozzato sulle labbra. 

"Ti ha fatto piacere?", domando, mangiando una delle ultime caramelle gommose avanzate. 
"Un sacco". Si mette comodo allungando i piedi sui cuscini: "Però è stato un po' strano".
"Perchè?", gli chiedo, mentre inizio a buttare i bicchieri di plastica usati nell'immondizia. 
"L'ultima volta che sono stato ad una festa e ho bevuto solo una Sprite ero tipo in seconda media...", scoppia a ridere e si volta per guardarmi: "Diciamo che sono abituato ad altri tipi di party e la Sprite finiva sempre per diventare viola". 
Dice tutto con tono estremamente divertito, ma so che in realtà la cosa non lo fa così tanto ridere, per cui non mi sforzo nemmeno di assecondarlo e non accenno il minimo sorriso: continuo a gettare tutta l'immondizia in un sacco nero, imperturbabile. 
"A parte questo... com'è stato rivedere tutti i tuoi amici?", domando, per deviare l'argomento. 
"Un sacco", mi rivela, tutto eccitato: "E non vedo l'ora di tornare a lavorare con loro in studio". 

"Hai più scritto niente da quando è successo tutto questo casino?", gli chiedo, curiosa.
"Meno di quel che avrei voluto", ammette. "Ma ora registrerei di botto un album intero, per quanto sono gasato".
"Mentre con Tracy... E' tutto sistemato, no?".
Gus mi fa un sorriso a trentadue denti e annuisce felice: "Sì, finalmente". Si alza in piedi e mi da una mano a pulire per terra, c'è una quantità imbarazzante di briciole sparse ovunque: quand'è che la gente ha disimparato a mangiare decentemente? 

Dopo aver dato una pulita, mi chiudo in bagno per rilassarmi un po' ma, un attimo prima di entrare in doccia, mi accorgo di aver dimenticato di prendere le mutande e una maglia pulite. 
"Gus?", lo chiamo con l'intenzione di chiedergli gentilmente di prendermi le cose dalla cassettiera in camera, ma non ricevo alcuna risposta. Mi copro con un asciugamano ed esco dal bagno, zampettando velocemente verso il mobile. 

Gus è in camera, voltato di spalle ed inginocchiato davanti al materasso, che tiene leggermente sollevato. Non appena mi sente arrivare, si alza di scatto e mi guarda in modo strano. 
"Che fai?", gli chiedo aggrottando la fronte, sospettosa. 
Lui sistema le coperte con un gesto rapido della mano e si siede sul letto: "Niente, perchè?".
"Che cazzo stavi facendo?", ripeto lentamente, tenendomi su la salvietta con una mano. 
Peep solleva le sopracciglia, facendo di tutto per mostrandosi calmo, ma viene tradito dalla gamba che trotterella su e giù nervosamente: "Niente, volevo solo riposarmi un po' in stanza".
"Gus, non provarci nemmeno". Gli punto un dito contro: "Non provarci nemmeno a prendermi per il culo".

Lui non mi risponde, si limita a fissarmi mentre l'acqua della doccia continua a scrosciare incessantemente.
"Alzati", ordino.
"Bianca, che ti prende?". 
Gli ripeto di alzarsi avvicinandomi a lui, quasi per sfidarlo, ma non si sposta neanche di un centimetro, resta seduto granitico sul materasso, con le gambe leggermente divaricate e le mani poggiate sul materasso. 

Mi posiziono nello spazio libero tra le sue ginocchia e lo tiro per un braccio, in modo da costringerlo ad alzarsi, ma lui resiste ed io non ottengo alcun successo. Lo guardo per qualche secondo, poi, senza dire niente, torno in bagno e chiudo la porta a chiave, sbattendola violentemente.
"Bianca, che cazzo fai? Stai dando di matto". 
Lascio cadere l'asciugamano a terra e mi butto sotto la doccia: non ho neanche la forza di immaginare cosa stava cercando di nascondere sotto al materasso, non voglio pensare al perchè non ha voluto spostarsi per farmi vedere. Scoppio a piangere per il nervosismo: anche se sto singhiozzando, so che da fuori Gus non può minimamente sentirmi e lascio che le mie lacrime si mischino al getto d'acqua. 

"Bianca? Apri, dai".
Continua a chiamarmi ed a bussare con insistenza da ormai una decina di minuti, spengo il flusso d'acqua e urlo a pieni polmoni: "Vaffanculo! Porca puttana, vaffanculo!".
"Esci che ne parliamo", mi risponde lui, in tono fin troppo calmo e pacato. 
Faccio un respiro profondo, giro la chiave e spalanco la porta: mi presento ancora mezza bagnata e con addosso solo le mutande e la maglia che avevo recuperato prima; Gus è impalato davanti a me e mi blocca il passaggio. 
"Sei uno stronzo", sbotto. Gli poggio il palmo della mano contro al petto e faccio una leggera pressione per spostarlo: "Levati di torno".
"Non è come sembra", cerca di difendersi, senza tuttavia smuoversi di un millimetro. 
"E dimmi, cosa sembra?". Incrocio le braccia e attendo curiosa di sentire la sua risposta, quale stronzata creativa si inventerà nel tentativo di spiegare quello che stava combinando. 
Gus solleva gli occhi al cielo e poi, incredibilmente, dice la verità: "E' solo un po' di erba del cazzo, datti una calmata". Apre il palmo della mano svelando così una bustina trasparente: "Non farne un dramma, cazzo, non tocco più la roba di cui mi facevo prima".

Lo guardo sfogarsi senza riuscire a pensare lucidamente, le lacrime mi annebbiano la vista e fanno una pressione immane per essere liberate; continuo a fissarlo senza dire niente, il mento mi trema preannunciando un pianto imminente e vedo che Gus è chiaramente in difficoltà. Cerca in tutti i modi di giustificarsi, lo sento dire che sono solo pochi grammi, che con quella roba ci può fare al massimo tre o quattro canne, continua a rassicurarmi che è solo marijuana e che non avrebbe accettato altro dai suoi amici, ribadisce che sta lottando duramente con se stesso per guarire e stare alla larga dalla roba pesante e che la terapia lo sta aiutando molto... sento che dice un sacco di cose, ma non lo sto ascoltando davvero. 

"Non capisci proprio un cazzo", sentenzio delusa, interrompendolo nel bel mezzo di una frase. 

The last thing I wanna do // LIL PEEPWhere stories live. Discover now