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Blaine si trascinò per il corridoio deserto con aria mogia.
Erano giorni che andava avanti così, in realtà.
Non riusciva a dormire, o a mangiare decentemente; barcollava da casa a scuola e viceversa, spesso senza neppure accorgersene. Si era chiuso in se stesso fino ai limiti dell’inverosimile, non aveva nemmeno risposto a Rachel, a Jeff o a Nick.
Anzi, aveva buttato il cellulare da qualche parte sotto i cuscini del divano.
Non voleva che gli ricordassero ogni secondo a cosa aveva rinunciato. A chi aveva rinunciato.
Non che ne avesse bisogno, comunque, ci pensava benissimo da solo; quegli occhi di ghiaccio lo scrutavano persino mentre dormiva.
Si sentiva stanco, ed era una sensazione che andava al di là del sonno. Non ce la faceva più a combattere contro se stesso, contro ciò che provava; lo aveva fatto per tutta la vita, e ora avrebbe solo voluto lasciarsi andare. Ma non poteva farlo. Non se questo avesse significato provocare la sofferenza di Kurt. Ancora non riusciva a togliersi dalla mente la sua espressione ferita e delusa.
Gli mancava ogni giorno; erano diventati amici, ormai. Forse qualcosa di più, ma non osava pensarci. E gli mancava anche il Castello, con la sua atmosfera assurdamente familiare
Arrivò alla porta di ingresso e la aprì svogliatamente, sentendo che qualsiasi attività gli risultava troppo faticosa; non fece nemmeno caso all’elettricità strana che sembrava propagarsi nell’aria, ormai aveva imparato ad evitare quella parte di sé. Sapeva che era sbagliato, ma non aveva potuto farci niente. La sua Metà si era assopita sempre di più, ma non era mai scomparsa del tutto.
Scese i gradini con lentezza, ma rimase paralizzato quando alzò lo sguardo.
Erano in quattro, molto più alti e robusti di lui, tutti con indosso le stesse dannate divise di football e lo stesso ghigno divertito.
Si sentì morire dentro, perché non era sicuro di poter sopportare anche quello.
Chiuse gli occhi, pregando che fosse solo un sogno; magari si sarebbe svegliato, e sarebbe stato di nuovo al Castello, e Kurt sarebbe stato sotto il salice, coi suoi occhi e il suo sorriso …
No, non poteva essere un sogno.
Nei sogni non si sente il dolore di un pugno nello stomaco. Non si avverte la sensazione dei muscoli che si contraggono, disperati, cercando di resistere ai colpi. Non si ha l’asfalto ruvido che preme sulla schiena attraverso la stoffa sottile della maglia. Nessuno sibila la parola “Frocio” col preciso intento di farti del male.
Una lacrima gli rigò inesorabilmente la guancia.
Poi accadde qualcosa.
Dovette riaprire gli occhi, perché non poteva essere vero. Doveva averlo solo immaginato, quel profumo.
Invece, il cuore gli si fermò nel petto.
Non l’aveva immaginato.
Non era nemmeno un sogno.
Kurt era lì, era davanti a lui, di spalle, stava fronteggiando i suoi assalitori.
“Andate via” sibilò, con un malcelato disgusto.
Quelli rimasero per un po’ a fissarlo, sbalorditi, finché uno non tirò di nuovo fuori il suo ghigno per avventarglisi contro con un pugno in pieno viso.
Ma Kurt era pur sempre Kurt. Con uno scatto invisibile gli afferrò la mano e gli ruotò il braccio, premendoglielo contro la schiena con violenza e rabbia.
“Ho detto andate via!” gli ruggì in un orecchio, stringendogli il braccio con forza.
Quello annuì, tremando da capo a piedi; solo allora il castano lo liberò dalla sua morsa, e non si curò nemmeno di guardarli mentre si allontanavano quasi di corsa.
Si voltò verso il riccio, ancora disteso per terra, con lo sguardo pieno di angoscia.
“Blaine …” mormorò, inginocchiandosi vicino a lui lentamente, la voce preoccupata.
“Sto … Sto bene …” riuscì a tossicchiare lui, cercando di sollevarsi facendo leva sui gomiti; un dolore acuto lo raggiunse immediatamente, e capì che dovevano averlo colpito all’altezza delle costole; mugugnò, senza riuscire ad alzarsi.
“Ti aiuto” intervenne prontamente Kurt, passandogli un braccio attorno alle spalle; non gli importava se tra loro non era cambiato niente, se Blaine non aveva cambiato idea: doveva proteggerlo a tutti i costi.
Si sollevarono insieme, sfiorandosi con cautela, e nessuno dei due poteva credere davvero che l’altro fosse lì.
Avrebbero voluto spiegarsi e chiedersi tante cose, ma non era il momento adatto; e non volevano spezzare l’incantesimo che aveva legato i loro sguardi.
Fu Kurt il primo a riscuotersi, quando una voce dentro di lui gli ricordò cos’era successo fra loro, e si impose di non precipitare di nuovo in quegli occhi ambrati, perché stavolta non ne sarebbe mai uscito, lo sapeva.
Lo condusse verso la propria macchina senza parlare, e fortunatamente Blaine non protestò; decise di non portarlo al Castello, sarebbe stato troppo presto.
Guidò fino a casa sua, mentre il silenzio fra loro si appesantiva.
Lo aiutò a scendere, sempre pronto ad afferrarlo, e lo accompagnò fino alla porta d’ingresso.
Quello era il momento di andarsene, lo sapeva; l’aveva aiutato, ora sarebbe dovuto tornare al Castello e dimenticarlo.
Ma non ce la faceva. Qualcosa lo teneva legato ai suoi occhi.
Rimase con lo sguardo basso finché la voce calda che gli era mancata così tanto non ruppe il silenzio, esitante “Non entri …?”
Vide che gli stava tenendo aperta la porta, e annuì meccanicamente.
Sarebbe stato infinitamente più difficile lasciarlo, dopo, lo sapeva. Ma non gli importava. In quel momento, non gli importava.
Avanzò di qualche passo, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui, e si riscosse solo quando vide che Blaine aveva zoppicato fino al divano del salotto, e vi si era lasciato cadere con un gemito di dolore.
Gli si avvicinò velocemente, mentre la preoccupazione, la tristezza, l’angoscia e la rabbia si impossessavano di nuovo di lui.
“Blaine …?”
Gli occhi insopportabilmente ambrati si soffermarono su di lui, interrogativi.
“Hai del ghiaccio da qualche parte?”
“In cucina; quando entri a destra” soffiò in risposta, con gli occhi lucidi.
Kurt tornò dopo qualche secondo con un involto freddo tra le mani, che gli passò con delicatezza, prima di sedersi su una poltrona accanto a lui.
Blaine lo poggiò con un sospiro sulla pelle livida; non aveva il coraggio di parlare, e il silenzio si stava facendo di nuovo pesante.
Non voleva che arrivasse il momento in cui Kurt si sarebbe alzato, ricordandogli quanto gli facesse male stare lì, con lui.
Non voleva salutarlo.
Fu l’altro, stavolta, ad interrompere il silenzio prima che li soffocasse “Blaine … Cos’è successo? Cosa ti stavano facendo? Perché non hai reagito?”
Il moro abbassò lo sguardo, senza aver davvero la forza di rispondere “Non ce l’ho fatta” mormorò, ignorando le altre domande.
“Avrebbero potuto farti molto più male di così” sussurrò l’altro, la voce venata di tristezza e preoccupazione.
Blaine continuava a stare in silenzio; voleva sentire ancora la sua voce.
“Devi stare attento, lo capisci? I-Io … Non …” Kurt si prese la testa tra le mani, appoggiandosi coi gomiti sulle ginocchia, senza riuscire a concludere la frase.
Il riccio non riuscì più a trattenersi; allungò una mano, sfiorandogli un braccio, e l’altro risollevò il viso di scatto, gli occhi sbarrati, le pupille pericolosamente sottili. “No” mormorò, come se fosse a corto di fiato “Non farlo.”
“Fare cosa?”
“Questo!” esalò, alzandosi velocemente “Tu te ne sei andato per quello che ho detto. Ora non devi consolarmi, o prenderti cura di me solo per pietà, non sopporto che tu lo faccia; non quando so che non vorresti più rivedermi—”
“Cosa stai dicendo?” lo interruppe l’altro, mettendosi a sedere, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
“Co-Come?” Kurt aveva smesso di fare su e giù per il salotto.
“Di cosa stai parlando? Perché non dovrei più volerti rivedere?”
“Be’, p-per quello che hai sentito … Per quello che ho detto … Tu te ne sei andato …”
“A-Appunto, io credevo di farti un favore!”
“Un favore?! E perché mai?”
Blaine ridacchiò nervosamente “Non c’è più bisogno di mentire, Kurt. Ormai lo so …”
Cosa sai?”
“Che … Che avermi vicino ti ricorda tutto quello che c’è di sbagliato in te e ti ferisce.” Dovette abbassare lo sguardo, o l’altro vi avrebbe letto tutto il dolore che sentiva.
La risata vagamente isterica di Kurt squarciò il silenzio, facendogli spalancare gli occhi “Perché stai ridendo?!”
“È davvero solo questo? O hai paura che ti farei del male se mi dicessi la verità?”
“Farmi del male? Tu?! Ma figurati!”
Un ghigno inquietante si dipinse sul volto dell’altro “Io non ci giurerei …”
“Non mi hai risposto, non cambiare argomento! Cosa c’è da ridere?!”
Kurt sembrava imbarazzato “È che … Ci sono davvero tante cose che non hai sentito, e che avrebbero chiarito tutto … Ma—”
“No, niente ma! Dimmelo! Sono stanco di sapere le cose a metà!” Non sapeva nemmeno da dove gli venisse quello scatto d’ira, ma non gli importava.
“Blaine, davvero, non è il caso …”
“No, niente ‘Blaine’, Kurt. Mi sono sentito uno schifo, lo capisci? Era colpa mia se stavi piangendo, hai detto che ti ricordo tutto quello che c’è di sbagliato in te, che ti faccio del male! Del male! Lo capisci, cosa vuol dire?! Mi sono sentito uno stronzo senza nemmeno sapere cosa avevo fatto! Credi che sia stato facile andarmene via così, lasciare tutto e tutti, lasciare te--?!” Si bloccò di colpo. Aveva detto troppo.
Gli occhi azzurri si erano spalancati, e il respiro del castano si era fatto lievissimo; non sapeva proprio cosa dire.
Sapeva solo di doversi spiegare, e non aveva più così tanta paura.
“Va bene” mormorò, piantando gli occhi di ghiaccio in quelli ambrati.
“V-Va bene? Cosa va bene?”
“Hai ragione, tu meriti di saperlo. Ma devi venire con me, al Castello; c’è una cosa che devo farti vedere.”

Being A Half - KlaineOnde as histórias ganham vida. Descobre agora