Capitolo 9

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Decidemmo di comune accordo di spostare di un paio di giorni la gita in montagna per consentirmi di riprendermi con calma. Era passato un solo giorno dal disastro sul gommone ma già mi sentivo meglio.

Quando ero tornata alla roulotte i miei amici si erano davvero preoccupati per me è mi avevano trattata con ogni riguardo.

Ovviamente avevo deciso di non raccontare niente ai miei per non farli preoccupare inutilmente e quindi farli tornare al campeggio prima del tempo.

La prima notte era stata dura, il fatto di non poter dormire sul fianco ne a pancia in giù mi aveva davvero pesato visto che erano le uniche posizioni in cui stavo comoda. Avevo, quindi, dormito poco e niente.

Quella mattina mi ero svegliata con una faccia pesta che aveva spaventato Michela, che quindi aveva deciso di portarmi al prontosoccorso. Fortunatamente ero stata sempre io quella più testarda e, anche quella volta, avevo vinto nella decisione di non fare assolutamente niente.

Durante l'arco della giornata ero migliorata e, mentre i due piccioncini erano in spiaggia a prendere il sole, io mi ero messa a cucinare un po' di pasta con il pesce che avevo comprato al market.

Quella sera quindi, quando andai a letto ero abbastanza soddisfatta della giornata, ma mi sentivo come se mancasse comunque qualcosa. Nonostante i miei pensieri mi addormentai di botto nella mia confortevole tenda blu marino.

-Margherita- sentii bisbigliare nel sonno. Subito mi alzai a sedere di scatto scordandomi delle costole doloranti e sibilando un gemito di dolore.

Guardai oltre la zanzariera che delimitava la mia camera dall'ingresso della tenda ed intravidi una figura scura. Cercai di mettere a fuoco ma con il buio della notte mi era molto difficile.

Come mai era ancora buio? E perche quella persona mi aveva svegliata? Queste furono le domande che mi balenarono nella mente mentre tiravo la lampadina appesa sopra al mio letto per accenderla.

Subito delineai i lineamenti di Edoardo e la sua inseparabile collana.

-Edoardo, che ci fai qui?- dissi sempre a bassa voce, nel rispetto delle persone che dormivano accanto a me.

Il mio cuore cominciò ad accelerare, mi aveva intristito non vederlo per niente durante quella giornata. Allo stesso tempo però non l'avrei mai e poi mai ammesso.

La sua mano prese una zip della tenda e aprì la zanzariera, si allungò a spegnere la luce e me la tese, per farsi seguire.

-Vieni, voglio farti vedere una cosa.- disse con voce bassa.

Usciti dalla tenda vergognandomi a morte del mio scarso abbigliamento. Indossavo come pigiama una semplice canottiera bianca su dei pantaloncini color lavanda davvero corti.

Lui dovette accorgersi del mio imbarazzo quando mi porse una felpa gigante che teneva fra le mani.

-Fuori è freddino.- disse per giustificarsi.

Mi infilai in quell'abito estremamente grande quanto confortevole. Il suo odore mi avvolse come quando eravamo in spiaggia. Prima che io potessi chiudere la zip lui mi alzò la canotta per controllare le mie costole.

Dopo qualche secondo annuì e mi chiuse la felpa. Questa mi arrivava fino a metà coscia ed ero estremamente felice di potermi coprire difronte al suo sguardo.

Uscimmo nel buio della notte, in quel momento chiesi:
-Ma che ore sono?-.

-Quasi le 3.-.

Mi rispose lui prendendomi per mano e trascinandomi nella direzione della spiaggia. Dopo qualche passo affrettato però dovetti chiedergli di rallentare perché non riuscivo a sostenere quel ritmo.

-Ti fanno ancora tanto male?- disse lui preoccupato scrutandomi il volto non appena raggiungemmo un lampione che illuminava la strada.

-Beh, non troppo.- mentii perché non volevo rinunciare alla gita in montagna e ricordavo benissimo che lui non voleva che ci andassi.

Si imbronciò all'istante e continuammo a camminare verso il mare in silenzio. Non riuscivo davvero a capire quel ragazzo. Un momento era scorbutico, poi dolce e carino, poi distante. Aveva  un carattere estremamente volubile.

Raggiungemmo la sabbia e lo vidi togliersi le ciabatte così seguii anche io i suoi stessi movimenti. Si incamminò di fronte a me e poi si tolse la maglietta. Notai sulla sua schiena un tatuaggio che non avevo mai visto. Una sorta di arco o semicerchio nero tra le scapole.

Ero attirata da quella forma così mi avvicinai con una mano alzata e sfiorai la sua pelle in quel punto. Lo sentì inspirare velocemente per poi espirare lentamente come per calmarsi.

-Cosa significa?- chiesi dubbiosa, era l'unico tatuaggio che aveva a quanto ne sapevo.

Lui non rispose, anzi si allontanò da me e riprese a camminare. Continuammo la nostra passeggiata al buio e in silenzio.

Non sapevo perché ma le nostre mani continuavano a tendersi l'una verso l'altra quasi fossero state dei magneti. Quando allacciavamo le nostre dita sentivo che non c'era niente di romantico tra di noi, eravamo solo un ragazzo e una ragazza in cerca di conforto. Mi sentivo più stabile stretta a lui e credevo che anche lui si sentisse meglio.

Presa da questi pensieri non mi accorsi quando arrivammo ad una serie di scogli che segnavano la fine della spiaggia del campeggio. Lui mi lasciò la mano e si issò con facilità su una delle rocce di fronte a me, al che io mi misi a ridere.

-Non penserai vero...?- mi bloccai quando vidi la sua mano tesa, la mia faccia sorridente si trasformò in incredula.

-Forza ti aiuto io- mi disse lui fiducioso.

Ancora incredula, immaginando però che fosse una sorta di prova per la mia salute fisica, accettai la sfida.

Ignorando la sua mano tesa mi arrampicai con difficoltà sugli scogli fino ad arrivare a quello dove si trovava lui. Non appena mi ritrovai a pochi centimetri dal suo corpo vidi nei suoi occhi una luce strana, tra il divertito, l'orgoglioso e il triste.

Come se le sue personalità alle quali avevo pensato prima si fossero fuse tutte insieme in un unico sguardo.

Dopo pochi altri passi incerti sulle rocce raggiungemmo uno scoglio che non avevo mai visto, era celato allo sguardo delle persone dagli altri. Inoltre non era sulla strada di passaggio che prendevano i campeggiatori per arrivare alla spiaggia limitrofa e che avevo più volte percorso anche io.

Tirò fuori da un anfratto due coperte morbide e le stese a terra. Io guardai tutto con aria interrogativa.

-Oggi è la notte di San Lorenzo. Dobbiamo per forza guardare le stelle cadenti.- si giustificò lui.

Così, ancora confusa, mia tesi su una di quelle coperte incredibilmente morbide, protetta dal vento fresco che spirava grazie agli scogli circostanti, misi le mani incrociate dietro la nuca e fissai gli occhi nel cielo nero alla ricerca di qualche palla infuocata che solcasse l'oscurità.

-Non dirlo a nessuno.- sentii dopo qualche minuto che eravamo in silenzio.

Mi voltai verso di lui e sorrisi nel vederlo nella mia stessa posizione.

-Non mostrare a nessuno questo scoglio. È una sorta di rifugio.- .

Mi spiegò alzando leggermente la testa per guardarmi negli occhi.

Io annuii, lo capivo. Tutti avevamo bisogno di un posto solo nostro dove nasconderci e dove essere semplicemente noi stessi. Il mio, ad esempio, era il bosco dietro casa in città. Mi rannicchiavo contro il tronco di una grande quercia e questo mi dava serenità.

Così, tenendoci la mano, passammo la notte a caccia di stelle. Indicando ogni tanto il passaggio di una striscia luminosa che, impavida, si stagliava contro l'oscurità della notte che la circondava.

Lupo di mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora