Da qualche parte nel mar Mediterraneo, 04/08/2019 ore 14:53

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Gli occhi mi bruciano, è come se l'acqua del mare stesse perforando anche la mia pelle, eppure non mi sembra di star annegando, riesco a respirare, non so per quale magia ma riesco a farlo. Provo a fare qualche passetto in avanti e all'indietro, anche se una vaga sensazione di dover perdere l'equilibrio da un momento all'altro non mi lascia tranquilla; mi sento come se fossi all'interno di una corazza fin troppo arrugginita. Porto lo sguardo verso il basso, verso l'oscurità di questo pozzo senza fondo. Non percepisco nulla, nessun rumore. Solo oscurità e lacrime.

Una scossa nervosa mi percorre la schiena. Braccia e mani desensibilizzate, irreali; le muovo nell'acqua come se fossero bacchette di un direttore d'orchestra troppo anziano per poter fare movimenti bruschi.

Un'eco sommessa arriva dall'alto. Non riesco a distinguere le parole, sarà che il suono viaggia più lentamente nell'acqua... o più velocemente, non ricordo. Ma quando l'eco si rinforza io piango.

Perché? Perché lo sto facendo?

Forse perché è così che ci si sente quando si muore. Sì, il nulla cosmico, il non poter più essere in grado di influenzare la propria vita con una scelta, che sia il percorso universitario o il gusto delle mega vaschette di gelato da mangiare da soli in un angolo. Questa sensazione l'ho già avuta in ospedale, con il mio amico, in un momento che cerco con tutta me stessa di reprimere e spero non ritorni mai a galla. Credo che sia la paura della libertà a renderci incapaci di prendere delle decisioni. Mi fermo un attimo. La luce si sta oscurando, un ombra vi sta passando sopra.

Ora sono due.

Adesso tre.

Non riesco a contarle, ma sono tutte sagome di persone che si avvicinano sempre più.

Sono persone che stanno colando a picco. Stanno morendo.

E io non posso farci nulla, le loro salme mi attraversano come fossi un fantasma. Non posso chiudere quest'abisso con l'acqua che mi circonda, ma alzando ancora di più il capo vedo mozziconi di sole che trafiggono il mio corpo e quello degli altri uomini. Mi muovo per riemergere in superficie e la luce diventa sempre più intensa, forse anche troppo. La temperatura fuori dall'acqua è molto alta, deve essere estate. Vedo solo gran confusione attorno a me, delle barche, gente con delle vesti arancioni, coperte termiche sparse ovunque mentre sopra di noi un cielo chiaro e terso come il cristallo incollato al mare, senza dimensione.

Sono io ad essere senza dimensione, sento che dovrei fare qualcosa eppure la consapevolezza di essere una mera spettatrice di questo spettacolo macabro non riesce a farmi trasparire alcuna emozione, se non qualche lacrima.

- Sai perché gli africani vanno a picco più velocemente?

La voce del Trainer.

- Non lo so.

- Hanno una costituzione molto magra, molta meno massa grassa... è più facile per loro andare a fondo. E il Mediterraneo si è trasformato da mare in tomba.

- Lo so bene, ogni giorno sento notizie di questo genere.

- E qual è la tua reazione?

Ci penso un po' prima di rispondere.

- So che sarebbe disumano non salvarli, però sono anche convinta che non possiamo salvarli tutti, purtroppo. Già il fatto di mettersi in viaggio comporta un rischio enorme per loro, non so che coraggio abbiano a venire fin qui.

- Non hai mai pensato al fatto che spesso non vi è alternativa a questo viaggio della morte? - chiosa il Trainer snocciolando con lentezza le sue parole.

- Certo che ci ho pensato! Ma come ho detto...

- ... non possiamo salvarli tutti, giusto, ma non dimenticarti quello che hai appena detto.

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