Gioia Tauro, 21/06/1992 ore 09:15

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Ora siamo in una piccola sala da pranzo. Sembra l'interno tipico di quelle villette in riva al mare, piccola ma graziosa. C'è una carta da parati un po' ingiallita che disegna figure geometriche regolari e che si estende fino nel cucinino. Non riesco ad osservare tutto, la sensazione è molto simile a quella che si prova quando si vive un sogno: ricordiamo solo quello che non vogliamo ricordare e dimentichiamo quello che invece non dovrebbe essere dimenticato.

Un suono indistinto proviene dall'interno.

È un'eco strana, fatta di singhiozzi e lacrime.

Inizio ad intravedere una figura all'interno. Sembra la stessa donna di prima, ma ha qualche ruga in più sul volto ed è su una sedia a rotelle.

È sola, non capisco bene cosa stia facendo. Sta allungando la mano verso una credenza in alto, forse vuole prendere un barattolo di pelati in mezzo allo scatolame che si vede, ma non ci arriva. Apre un cassetto, prende un cucchiaio di legno. Vuole usarlo per tirare giù il barattolo.

Che tristezza.

– Vorrei aiutarla... – dico al mio amico.

– La vita è come un filtro, un filtro invisibile dell'esistenza che ci permette di carpire la natura stessa delle cose. Prima non volevi aiutarla, adesso invece sì.

La donna scaraventa il cucchiaio per terra. Singhiozza.

– Prima? – chiedo spaurita, non capisco a cosa faccia allusione il mio interlocutore.

Ma non mi interessa.

Voglio davvero aiutarla, si tratta solo di uno stupido barattolo, cosa mi cambia?

– Esatto. Un piccolo e stupidissimo barattolo. Un piccolo gesto. Il mondo è sempre andato avanti a piccoli gesti. Gli eroi sono persone che hanno fatto piccoli gesti in situazioni insormontabili. Lei è un'eroina, Annarita.

– Lei è un eroina. Perché dici così? La conosci?

– Adesso la conosci anche tu. Ricordi cosa ti ho detto sul treno?

– Mi hai detto tante cose.

– "Lei sta vivendo... tu invece stai solo desiderando di vivere", – e con un altro schiocco di dita ci troviamo all'ombra di una grande pineta. Sento l'odore del mare, probabilmente deve esserci una spiaggia qui vicino. A pochi passi da me, sotto le fronde di un pino, vedo di nuovo quella donna, sempre su di una sedia a rotelle. Ha in mano qualcosa che credevo l'uomo avesse sepolto nei meandri della tecnologia: un mangianastri!

Quanti ricordi.

Ora ho la certezza di essere davvero nel passato. Spesso li usavo per fare delle registrazioni idiote quando ero piccola. Ora ho la certezza di essere davvero nel passato. Lei a quanto pare lo sta tenendo vicino all'orecchio, mentre il meccanismo interno fa girare le due piccole bobine. Sta ascoltando qualcosa.

– Non avere paura, avvicinati, – dice il mio interlocutore, – Non può vederti né sentirti, ma scommetto che sei curiosa di sapere cosa sta ascoltando.

Oramai mi conosce meglio sto tizio di Carolina, che tra l'altro non mi sta facendo pesare troppo la sua assenza; spero solo che non si arrabbi per questa mia affermazione.

Faccio qualche passo verso la donna, mi metto proprio davanti a lei, guardando i suoi grandi occhi persi nel vuoto. E inizio ad ascoltare.

Non è musica, è lei, la sua voce che esce dal mangianastri:


"... prima cercavo sempre conferme, sapere cosa dovevo fare e poi farlo. Non avevo scelta. Ho iniziato a capire davvero come funzionasse il mondo solo dopo l'incidente. Sono diventata fatalista, terribilmente fatalista. Ho iniziato ad odiare me stessa, ad odiare questa faccia, ad odiare questo mondo, perché non sapevo se un domani ci fosse realmente stato. È stato un bene? Un male? Non so dirlo... so solo che forse sono riuscita a prendere la vita con più leggerezza, senza necessariamente quel patema d'animo che accompagnava le mie giornate. Ma quella paura non è sparita e credo che non scomparirà mai del tutto. L'incidente mi ha portato ad essere molto più dipendente dagli altri, avevo bisogno letteralmente di un braccio su cui appoggiarmi. Marco mi ha sposata lo stesso, anche se sapeva che non avrebbe avuto figli da me. L'incidente mi ha tolto anche questo. Ma è da un po' di tempo che mi sento nuova, sento una svolta dentro me. Quarantasette anni. Ho guardato la mia vita. Forse felice, alla fine sono riuscita anche a ritrovare la possibilità di camminare, anche se mi affatica parecchio. Ma il limite di non muovermi da sola c'è. C'è e non andrà mai via, come la paura. Mi sono guardata attorno. Il limite di non essere autonoma, il limite di non poter fare una certa cosa per paura di farmi male, per paura di non poterlo fare, per paura e basta.

No, la mia vita non è felice, la mia vita è paura.
È da una settimana che l'ho fatto: ho lasciato Marco. E ora sono qui, fuori, con l'insormontabile quotidiano di fronte a me.
Sì, forse i limiti sono le mie paure. Ma sto imparando a vivere da sola, a cucinare, a fare la spesa anche portando un solo bustone alla volta. Ho imparato a gestire problemi di auto che non vanno, di bici con ruote bucate, di scaffali troppo alti o troppo bassi, a farmi la doccia da sola. Ho iniziato anche un corso di teatro, ho imparato a fare l'uncinetto e voglio iscrivermi all'università. E oggi, finalmente, sono riuscita ad andare in riva al mare. Da sola. E mi sto piano piano rendendo conto che oggi è un giorno importante. Oggi è un giorno importante perché io l'ho reso importante, perché ha importanza per me.

Noi siamo troppo abituati a considerare importanti i giorni in cui diventa chiaro e trasparente ciò che è. Oggi invece è un giorno importante perché sto capendo ciò che non è.

Ho ancora tante cose da fare, ma senza paura, senza limiti.

Ora sì che mi sento libera, completa. Una completezza che non avrei mai immaginato di riuscire a raggiungere.

Questa sono io."


– Quindi lei è...

– Esatto, la signora nel nostro scompartimento.

Ecco cosa intendeva con "prima" l'infame.

Ma senza accorgermene sorrido.

Sì, sto sorridendo.

E come per magia anche lei, quella donna del passato, sorride, come se i nostri sguardi si fossero incontrati.

Un altro schiocco di dita del mio bianconiglio e subito riesco a sentire di nuovo il fastidioso stridio delle ruote del treno sulle rotaie troppo rovinate.

Se cercavi un mezzo silenzioso di certo non dovevi prendere il treno.

Sì, sono tornata sul treno.

O forse non l'ho mai lasciato.


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