Roma, 27/05/2017 ore 18:00

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Non sono stata molte volte a Roma, ma credo che sia impossibile non riconoscerla per qualsiasi persona al mondo. C'è una fusione e una varietà di bellezze architettoniche e pittoriche che rimanerne estasiati è il minimo che possa accadere a qualcuno che venga in visita qui per la prima volta, che sia italiano o straniero. Archi di marmo che spezzano la serenità del verde, balconi di gerani sospesi, alcune insegne di ferro battuto e lo sbocciare della primavera, sicuramente più poetica del grido straziante delle sirene, dello smog e del traffico, dei clacson e e delle urla che si sentono dalla strada qui sotto; ma va bene così, nel loro essere "caciaroni", fanno tutti parte del bislacco dipinto della città eterna.

C'è una grande tenda di lino azzurra alla finestra dove sono. O meglio, dove siamo, io e il mio amico. La finestra è chiusa, ma si vede all'interno: c'è una piccola cameretta, graziosa e confortevole. Un piccolo letto a sinistra, un enorme tavolo da disegno sulla destra e si intravede, tra l'ondeggiare della tenda, il profilo di una ragazza.

– Devo ammettere che hai fatto un'ottima scelta, potrei parlarti per ore di Roma.

– Davvero? Hai dato un esame che si chiamava "Città di Roma?"

– Ma no! Non sai quante immagini ho trovato sui libri sui quali ho sputato sangue e fiele per anni! Ci mancava solo dare un esame su Roma e poi potevo anche dire addio alla laurea, tante sono le cose che ci sarebbero da studiare qui!

– Non posso darti torto.

Ecco, se ci fosse Carolina saprebbe trovare risposte più appropriate e più intelligenti a domande stupide come questa! Ci mancava solo dare un'esame su Roma e poi potevo anche dire addio alla laurea. Uff...

– Non dimenticarti che sei tu che hai iniziato tutto questo, sei tu che non hai voluto Carolina. "Vorrei metterti a tacere definitivamente...", sbaglio? - replica il mio amico, citandomi e spingendo il coltello nella piaga. Dimentico troppo spesso che può leggermi il pensiero, poi prosegue, - E se volessi che Carolina venisse qui, con me, con noi, per dimostrare che quello che vedo non sono allucinazioni?

– Credi ancora che siano allucinazioni...? - replica con un certo livore.

– No, ma...

– Annarita, io non posso portare Carolina. La coscienza, purtroppo, è in grado di evocare i fantasmi dell'anima, sopratutto quelli più nascosti e più profondi. Metterebbe in discussione qualsiasi cosa, perché non può guardare oltre certe cose, oltre i nostri viaggi. Avvenimenti come quelli che guardi, che senti e che percepisci sono unici, rari, irripetibili. Non è una colpa, ma è nella sua natura essere così rigida, così razionale; e tu sai bene che noi non siamo solo la nostra razionalità, ognuno di noi è tante cose.

– Già, questo è vero.

– E a questo proposito, la tua coscienza ti impedirebbe di avere uno sguardo più ampio su quello che voglio mostrarti, ti ostacolerebbe con infinite barriere concettuali, non ti permetterebbe di mostrati quello che c'è oltre tutto quello che ti accade intorno. E questo non vale solo per i nostri viaggi tra le vite della gente, ma anche per il tuo viaggio.

– Intendi il viaggio in treno?

– Intendo la vita, Annarita.

Il mio amico tossisce ripetutamente, compare davanti a lui un bastone al quale si poggia. Il respiro si fa più affannato.

– Credo... credo di capire.

– È già qualcosa.

– Ma tu, ancora non vuoi rivelarmi il tuo nome? O devo continuarti a chiamare "bianconiglio"?

Ho paura, ma voglio saperlo.

– Ho tanti nomi, e come ti avevo già detto non è la prima volta che ci incontriamo. Ti ho già detto che alla fine del viaggio ti sarà tutto molto più chiaro, ma, se lo desideri, puoi chiamarmi "il Trainer".

– Personal trainer?

– Una specie, solo che, il mio terreno, non è la palestra.

– Interessante!

– Come hai potuto vedere all'interno del treno la società è muta e mutante in continuazione, come se tutti fossero delle isole a sé. Quello che faccio io non è altro che traghettare da un'isola all'altra.

– Come Caronte?

– Non direi proprio! - mi dice guardandomi di sottecchi e battendo il bastone a terra, - Caronte trasportava anime all'inferno, io trasporto anime verso altre anime.
Gli vado vicino, non la smette di tossire, ma lui fa cenno di star bene e di guardare all'interno dell'appartamento.

Mi affaccio verso l'interno. Intravedo la sagoma della ragazza mentre continua a girare intorno alla stanza. Solo una cosa mi inquieta: l'assenza del mio riflesso sulla finestra chiusa; è moderatamente inquietante, tipico da qualche film horror di serie b.

Uno strano istinto, ovviamente non mosso dalla mia coscienza, mi spinge a fare qualche passo in avanti e ad attraversare la finestra, come un fantasma.

Ora sono dentro, vedo la ragazza. Non ho dubbi, è la ragazza che ho appena incontrato sul treno, solo che ha dei capelli neri tagliati quasi a caschetto. Forse è questo il suo colore naturale, ma non importa. Ha un'aria inquieta, pensosa, decisamente agitata. Sventola in mano un piccolo foglietto che legge, rilegge, poi cancella, poi riscrive con una matita spuntata, infine lo scaraventa a terra, si infila nel letto, sotto il piumone, e inizia a singhiozzare copiosamente.

Mi avvicino per capire di cosa si tratta; sembra un elenco, un piccolo elenco, pieno di correzioni e cancellature:


1) È troppo egoista

2) Impaziente (mi ha fatto perdere l'autobus)

3) È ingenua

4) È troppo allegra quando non deve esserlo

5) È troppo triste quando invece dovrebbe esserlo

6) Cambia umore troppo spesso (e non posso dare la colpa al ciclo)

7) Troppo incosciente

8) Ha qualcosa nella voce che non mi piace affatto

9) Mangia troppo salato


10) La amo.


Sembra un elenco di difetti. Anch'io ne feci uno, quando decisi di mollare Carlo. Volevo trovare una scusa, un qualcosa che mi desse una via di scampo, perché, quando ho un problema, io non lo analizzo, cerco subito di risolverlo. Deve essere per questo motivo qui che i casini, quando si presentano, continuano a crescere.

- Ci sono delle cose, Annarita, cose che per forza di cose arriviamo a tenere per noi. Non sempre sono segreti indicibili, non sempre sono cose spaventose. - dice il mio amico mentre si avvicina e scruta con un veloce sguardo il volto della ragazza. -Sono cose che sono talmente vicine ad un angolino che nemmeno noi conosciamo che semplicemente preferiamo che gli altri non ci guardino dentro, come l'elenco dei difetti di una persona che ci piace.

Il mio Trainer, con la punta del bastone, indica la porta della stanza, appena socchiusa e dalla quale entra un uomo, folta chioma di capelli grigi, occhiali rotondi, polpacci glabri... è l'uomo del treno che siede accanto alla ragazza.

Bussa una volta.

Due volte.

Tre volte.

Sembra tentennare, poi sussurra con molta verecondia:

– Annarita, tutto bene?

The TrainerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora