Nogales (Sonora, MEX), 17/04/2018 ore 16:57

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– Ecco, già sbagli di nuovo.

– Che ho fatto ora?

– Stai ponendo delle etichette alla gente. Credi che quella guardia non abbia figli? Che non stia soffrendo nel fare un lavoro così antipatico? O devo ricominciare ad insegnarti tutto dall'inizio? Le etichette sono comode, ma il mondo non è tutto bianco o tutto nero. Un po' come il controllore, credi che gli piaccia fare verbali, multe, azzuffarsi verbalmente con la gente che non paga il biglietto?

– Lo so, mi spiace. È che vedere quel muro mi mette tristezza. Siamo tutti rintanati nei nostri alberghi a difendere chissà cosa. Abbiamo paura, paura di uscire dal giro dei migliori, dalla nostra zona di comfort, paura di chi non ha un letto dove dormire. La cultura di oggi è costruita sulla paura, non posso negarlo. È l'uomo urla la sua sconfitta, non lasciandosi scalfire da ciò che è bello, dal positivo. Ma guarda qui, c'è una famiglia (quasi) felice, un papà e il suo figlio che si abbracciano.

– Ed è dentro questi abbracci tracimanti di gioia che il mondo smette di girare per guardare

Annuisco spostando i capelli sulla spalla sinistra, incrociando gli occhi del ragazzino. Sembra davvero che mi stia guardando. Mi unisco anch'io al loro abbraccio e ascolto i due che sembra stiano sussurrando qualcosa.

Incrocio le braccia al petto. Faccio qualche passo, quasi a voler entrare anch'io in quel loro infinito abbraccio.

– Un abbraccio che rinnova, anche se le difficoltà non si possono cancellare, il sollievo di sentire che c'è qualcuno accanto lì, con te, nella sofferenza, ti dà la forza per affrontare qualsiasi situazione, perché il suo coraggio diventa il tuo.

– Vuoi farmi piangere di nuovo?

Il mio amico ridacchia, come suo solito, mentre apre e richiude il suo orologio da taschino senza però guardare l'ora. Io invece penso che deve essere così quando ci si sente amati da qualcuno che è pronto a dare la vita pur di poter respirare questi abbracci.

– L'anno prossimo, Esteban, mi hanno promesso un appezzamento di terreno per una casa, una casa vera. Forse riescono a farmi rientrare, forse riusciremo a stare insieme. Non è impossibile, ma ce la faremo.

– Ti voglio bene papà.

– Anche io.

Faccio ancora qualche passo in avanti, non che ami le dimostrazioni d'affetto in pubblico, ma quando conosci una persona, quando inizi a guardarla con occhi diversi scatta un meccanismo per cui il semplice conoscere si tramuta in qualcosa di diverso, di più profondo.

Carolina forse avrebbe qualcosa da ridire, eppure io rimango sempre una gran curiosona.

– No, non accadrà. E sanno entrambi che non è vero. – borbotta il mio bianconiglio a qualche passo di distanza da me.

– A cosa ti riferisci?

– Non c'è nessun appezzamento di terreno libero dall'altra parte del muro. E anche se ci fosse non lo venderebbero di certo ad un messicano.

– E perché dirsi queste cose allora?

– Perché dirsele, Annarita, rende entrambi più felici. E so che il papà di Esteban farà di tutto per stare accanto a suo figlio. Sai, molti genitori messicani si stabiliscono proprio qui, proprio ai piedi del muro, il punto più vicino ai propri figli che sono dall'altra parte. È l'unico modo che hanno per dimostrare di non essere distanti, di esserci per i loro figli in qualche modo. Molti sopravvivono così, fino alla vecchiaia. Altri, molti altri, muoiono e moriranno prima, per il caldo, per la fame, per la sete, per tentare di scavalcare il muro.

– Moriranno?

– Sì. E nemmeno tra molto tempo. Una strage silenziosa, che non ha voce, che non fa notizia, che si può vedere nella foto di un padre e sua figlia che, esanimi, si abbracciano.

E, per un attimo, vedo quell'immagine, sovrapposta all'abbraccio di Esteban con suo padre, come a voler dire che quello è un futuro ancora terribilmente possibile.

Piange il cuore. E anche l'anima.

L'unica cosa che riesco a fare è sospirare, sospirare nel loro abbraccio. Riesco a vedere in quella fusione di sguardi, di mani e di corpi un'energia mai vista, nemmeno quando ero io a ricevere i migliori abbracci della mia infanzia. Vedo solamente le pupille scure e penetranti di Esteban scalfire il mio corpo con una grazia che solo un bambino può dare. Sembra che stia guardando verso di me, dentro di me. Ha un'espressione dubbiosa, enigmatica.

Si stacca da quell'abbraccio facendo qualche passo verso di me. Il padre rimane chino guardando suo figlio venire dalla mia parte.

Mi volto, non c'è nessuno. Non riesco a capire cosa stia guardando. Forse una lucertola o qualcosa che si è mossa più in basso. Ma c'è solo un po' d'asfalto, nessun altro.

– A parte noi.

– Ma... non può vedermi, giusto? – dico voltandomi verso il mio compagno di viaggio, girando il capo verso di lui che, quasi divertito, si allontana. Al contrario, Esteban si avvicina sempre di più.

Indietreggio, mi asciugo una lacrima che non era ancora scesa con il dorso della mano.

Alza le braccia. Vuole essere preso in braccio. Ma da chi?

Da te.

Ma non può vedermi!

No, non può. Siamo come ombre, come ricordi agli occhi di chi ci guarda qui. E, come tali, quando il mondo smette di girare, diventiamo un po' più visibili ad un animo sensibile, come quello di un bambino il cui ricordo è ancora legato a suo padre... e sua madre.

Ma smettila di nascondere! O sei diventato solo un coniglio invece che bianconiglio?

Io non posso farmi vedere.

Un'altra delle tue regole?

Può darsi. Del resto ti sei chiesta perché solo tu riesci a sentirmi?

Allargo le braccia, mi piego, quasi mettendomi in ginocchio. Esteban viene verso di me, sembra di sentire davvero la sua presenza, la sua pelle e il suo abbraccio.

Poi inizia a diventare tutto troppo ovattato, riesco solo ad udire una parola:

"Mamma!"

Mamma.

Penso subito alla mia di mamma, ma non faccio in tempo, un rumore di schiocco di dita interrompe il mio ricordo, uno schiocco di dita.

Di nuovo il nero, il buio.

Sbatto ancora un po' le palpebre. Sembra di essere seduta e di essere tornata nella mia carrozza.

Toh, chi non muore si rivede.

E chi muore invece non si rivede più. Tiè.

Ma, Carolí, credevo di essere in mezzo al corridoio della carrozza. Come ci sono tornata al mio posto?

The TrainerWhere stories live. Discover now