Capitolo diciassette.

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Il sole stava per andare a nascondersi dietro le montagne, per lasciar spazio ai colori della sera e alla luce delle stesse. Harry se ne stava in piedi appoggiato alla ringhiera della veranda, a osservare il lago. Spostò lo sguardo sui tetti delle case, gli stessi che qualche sera prima l'avevano ascoltato mentre recitava Novecento. Si immaginò l'anziana signora della bottega fare rientro stancamente in casa, pensando a che cosa avrebbe potuto preparare da mangiare per sé e per il marito. Sempre che ce l'avesse ancora, o che l'avesse mai avuto. Immaginò Louis seduto accanto alla vecchia zia, con quel modo di fare dolce e delicato, a leggerle qualcosa che le tenesse compagnia. Magari Presunto innocente di Scott Turow. Si rese conto di avere voglia di fumare. 
Fece rientro nella sua stanza. Teneva ancora in testa il berretto, si era chiuso la zip della felpa verde e si era anche abbassato le maniche. Prese la valigia e la poggiò sul letto. La aprì. Si avvicinò all'armadio e tirò giù tutti i pantaloni e i jeans che aveva appeso sulle grucce. Passò poi alla roba sportiva e svuotò i cassetti che contenevano le mutande e i calzini appallottolati. Entrò in bagno e raccolse tutto ciò che gli apparteneva: dentifricio, spazzolino e quello shampoo delicato che aveva poggiato sul piatto della doccia. La roba sporca la mise tutta dentro la busta di stoffa e la chiuse con cura. Il display del cellulare segnava che erano da poco passate le venti. 

Uscì di nuovo in veranda e spense il computer portatile. Provò a rinfacciarsi di non essere riuscito a scrivere nemmeno una pagina, ma non riuscì ad alimentare dentro di sé nessun rimorso. Si rispose di aver trovato qualcosa di molto più importante di una storia da raccontare.
Osservò i libri che aveva lasciato sparpagliati sul tavolino. Li fissò uno ad uno, soffermando lo sguardo su ciascuna copertina, come a volerli ringraziare per non averlo lasciato solo, e per aver accettato di seguirlo in quest'avventura. Li prese in mano e li conservò nella stessa ventiquattrore con cui li aveva portati con sé. Sentì l'esigenza di lasciarne uno su quel tavolino. Voleva donare qualcosa a quel posto che gli aveva permesso di ritrovare se stesso e non ebbe alcun dubbio. Tirò nuovamente fuori due volumi, uno gli sarebbe servito più tardi e lo tenne in mano, mentre sul tavolino della numero quattro, rivolto verso il lago, lasciò Senza Sangue di Alessandro Baricco dopo aver scritto il suo nome in corsivo al centro della prima pagina.
Dopo aver chiuso la valigia osservò le pareti bianche di quella stanza. La porta della veranda decise che l'avrebbe lasciata aperta. Per la prima volta dopo parecchio tempo si sentiva di nuovo un uomo libero, sentiva di aver ancora voglia di sognare. 

In piedi al centro della stanza, prese in mano il cellulare e compose un numero fisso, che ricordava a memoria. Dovette attendere parecchi squilli prima di ricevere una risposta. 
"Pronto?"
"Ciao vecchio! Come stai?" disse con voce squillante, salutando suo padre con quel nomignolo con cui era solito chiamarlo affettuosamente. 
"Harry sei tu? Come stai?"
"Molto bene pà, molto bene.."
"Quando torni?"
"Tra mezz'ora sono in città. Non hai già cenato vero? Mettiti qualcosa addosso che andiamo a mangiare una pizza."
"E che faccio con Lazzaro? Lo inizio a mettere nel trasportino?" 
"Lascialo dormire ancora un po' quel vecchio sacco di pulci, che gli fa bene. Dopo cena me lo riporto a casa" il suo tono di voce era calmo e affettuoso. 
"Va bene Harry. Ti aspetto allora."
"A tra poco pà.. ah, quasi dimenticavo. Giochi ancora a scacchi?"
"Certo, anche se sono un po' fuori allenamento. Mica vorrai fare una partita? Lo sai che sono troppo forte per te."
"No pà, non avrei nessuna possibilità, ma ho conosciuto chi può darti filo da torcere. Allenati che sabato te lo faccio conoscere. Ciao vecchio e grazie per aver tenuto Lazzaro."

Chiuse la comunicazione e si rese conto che gli aveva fatto piacere sentire suo padre. Nell'ultimo periodo si erano riavvicinati e aveva iniziato ad accorgersi dei suoi pregi, soprattutto di quanto fosse paziente. Lazzaro era lo stesso gatto malandato che qualche anno prima aveva preso dal negozio del signor Erik, quello che nessuno voleva. E benché non facesse altro che dormire  e mangiare, gli voleva un gran bene. 
Uscì dalla numero quattro con la valigia in mano e nell'altra il libro che aveva tirato fuori poco prima. Si trattava di un fumetto. Chiuse la porta con tutte le mandate e si diresse verso l'accettazione di quel piccolo albergo. I suoi passi erano lenti e calmi. Diede un'ultima occhiata al dipinto di Goya, gli si avvicinò, e dopo averlo osservato a lungo, gli venne voglia di sfiorarlo, come a voler salutare anch'esso. Non lo fece soltanto perché aveva entrambe le mani occupate. Rivolse lo sguardo verso la portineria e si accorse che non c'era nessuno, eppure le otto erano passate da una buona mezz'ora, e quel portiere notturno sarebbe dovuto già essere al suo posto. Immaginò che avesse tardato un po'. o che magari si fosse allontanato per qualche commissione. Pazienza, pensò, tanto ho ancora un'altra cosa da fare.

Appoggiò la valigia sotto il bancone dell'accettazione e uscì dall'albergo. Aprì la portiera della macchina e per prima cosa appoggiò sul sedile del passeggero il fumetto che teneva in mano. Gli sarebbe servito più tardi. Abbassò il finestrino e guidò lentamente verso la locanda, con la radio spenta e lasciandosi cullare dai rumori di quella tranquilla campagna che si preparava per la notte. Si fermò qualche secondo di fronte al pontile in legno. Immaginò di sentire il flebile miagolio di quel piccolo gatto nero. Per un attimo ebbe l'impressione di sentire il profumo di Louis. Non scese dall'auto, semplicemente appoggiò meglio la schiena al sedile, e fissò il centro del lago. Aveva voglia di innamorarsi di nuovo, di vivere a pieno tutte le sensazioni e le ritrovate emozioni. E aveva voglia di farlo con lui, senza scappare, senza fuggire. Si chiese se potesse essere davvero Louis. Non si diede una risposta, non lo poteva sapere; ciò che sapeva è che non se lo sarebbe lasciato scappare. 

Parcheggiò la macchina di fronte al portone della locanda e scese. Bussò prima di entrare, anche se non ricevette risposta. Si rese conto subito che lui non c'era. Probabilmente, così come aveva immaginato sulla terrazza, era impegnato a fare compagnia all'anziana zia e nonostante avesse una voglia matta di sfiorargli il viso e di guardare i suoi occhi, non se ne dispiacque. Non si sentiva più prigioniero di quei tempi pesanti e definiti che troppo spesso avevano caratterizzato il suo passato. Ora aveva voglia di lasciarli sospesi in aria, di viverli con la giusta calma, senza l'assillo dell'incedere dei rintocchi. Di viverli e basta. E non era passato per dargli l'ultimo saluto. 
Attraversò la sala e si avvicinò alla porta della cucina che trovò socchiusa e intravide il piccolo locandiere che trafficava intorno a una pentola; dal profumo intuì che dentro ci fosse dello spezzatino con patate. Si era tagliato i baffi e sembrava più giovane. Indossava il suo solito grembiule da lavoro, macchiato di sugo.

"Buonasera" pronunciò ad alta voce, in modo che potesse sentirlo. 
"Salve Harry" rispose l'uomo dopo essersi girato. Sembrava contento di vederlo. "Mangia qualcosa?"
"No, la ringrazio. Sto tornando in città."
"Così presto? Ha già trovato quello che cercava?" disse con garbo e discrezione. O forse ha deciso di smettere di cercarlo? questo lo pensò soltanto, ma non lo disse. Harry gli rispose con un sorriso, senza aggiungere una sola parola. L'uomo rimase colpito dai suoi occhi che brillavano e capì che aveva trovato molto più di ciò che stava cercando. 
"Mi piacerebbe farle conoscere una persona. Non esce quasi mai di casa ed è l'unico che potrebbe metterla veramente in difficoltà sulla scacchiera."
"Anche lei è stato un degno avversario Harry."
"Io mi sono limitato a difendermi" rispose sorridendo. "Che ne dice di sabato?"
"Mi farebbe molto piacere" e lo disse con voce bassa, nascondendo un velo di imbarazzo. "Magari di fronte a una bella teglia di pasta al forno e a un bicchiere di vino." 
Harry rimase colpito dalla capacità dell'uomo di trasmettere serenità. Ebbe l'impressione che avesse dovuto lottare parecchio per trovare il suo equilibrio e che ora non lo avrebbe perso tanto facilmente. Immaginò che nemmeno lui uscisse tanto di casa, o meglio, dal regno silenzioso che si era creato in quella cucina. Gli prese la piccola mano fra le sue e lo guardò negli occhi. "Grazie di tutto" disse con uno sguardo solenne. C'era un'altra cosa che avrebbe voluto chiedere. Non riusciva a trovare le parole giuste per farlo e voleva evitare di essere fuori luogo. Ma all'uomo bastò osservare i suoi occhi per intuirlo, e lo accompagnò alla porta. Dal tavolino dell'accettazione prese un regalo, impacchettato con cura, e glielo porse. Aveva tutta l'aria di essere un quadro. 
"Sabato ci sarà anche Louis, può starne certo. Mi ha dato questo per lei." Harry sapeva benissimo cosa conteneva quel pacco, ma venne comunque pervaso da una forte emozione. Gli venne la pelle d'oca. Salutò di nuovo l'uomo con un sorriso e si avviò verso la macchina con in mano il quadro, ancora incartato, del pescatore. Quello che, in piedi sul pontile in legno, si teneva il berretto per non farselo portare via dalla tempesta. 

Si diresse verso il piccolo albergo per recuperare la sua valigia e per saldare il conto. E non solo. Quando varcò la soglia, lo trovò proprio come se lo aspettava. Seduto dietro al bancone dell'accettazione, col capo chino, intento a leggere distrattamente le pagine di un vecchio Tex Willer ingiallito. Sembrava non essersi nemmeno accorto della sua presenza. Gli si avvicinò. 
"Salve. Ho deciso di partire con qualche giorno d'anticipo" disse a voce bassa, porgendogli la chiave della numero quattro. 
"Ha già finito il libro?" gli rispose l'uomo dopo qualche secondo, col suo solito modo di fare diretto e brusco. Senza nemmeno alzare lo sguardo. 
"Non l'ho nemmeno cominciato." 
Silenzio. Sollevò il capo e lo fissò. Si accorse che stava sorridendo, ma non disse una sola parola-. Con una mano gli restituì il documento d'identità che per questi giorni aveva tenuto in custodia, mentre con l'altra teneva il segno del Tex che aveva appena interrotto. Dopo aver pagato il suo soggiorno in contanti, Harry prese in mano la valigia, rivolse un ultimo sorriso all'uomo e si avviò verso l'uscia. E lo fece dopo aver poggiato sul bancone quel fumetto che aveva tenuto in serbo proprio per lui. Lo aveva posizionato proprio sotto gli occhi di quello strano portiere notturno, che, come previsto, non aveva avuto nessuna reazione particolare. Si trattava di un fumetto di Dylan Dog, il numero 153. 

L'uomo prese in mano il fumetto e osservò Harry mentre varcava la soglia dell'albergo. Si chiese se l'avrebbe più rivisto. Pensò a quegli occhi che al suo arrivo gli avevano trasmetto tutta quella tristezza. Provò un po' d'invidia e si chiese se anche lui un giorno sarebbe riuscito a riaccendere la sua vita. Per un istante pensò che gli sarebbe piaciuto innamorarsi, ma si rispose di essere ormai troppo vecchio. 
Quegli occhi vuoti e tristi non c'erano più. Quello che aveva appena visto lasciare l'albergo era un altro uomo, un giovano scrittore che non aveva buttato giù nemmeno una parola di quello che sarebbe dovuto essere il suo nuovo libro, ma che aveva trovato qualcosa di molto più importante. Aveva ritrovato la voglia e le parole per raccontare la più complicata di tutte le storie. 
Quella che per troppo tempo non era riuscito a scrivere. 

La sua. 


FINE.  


Tempi sospesi] Larry Stylinson.Where stories live. Discover now