Capitolo quindici.

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Si buttò sul letto della numero quattro ancora vestito, fradicio. Per cercare, invano, di scampare al temporale si era messo a correre veloce lungo il sentiero sterrato, con lo zaino sulle spalle, e ora aveva un po' di fiatone. E nonostante sentisse il freddo fin dentro le ossa, aveva preferito rilassarsi un attimo prima di riscaldarsi sotto il getto bollente della doccia. Se ne stava steso sul letto, capelli bagnati e sguardo rivolto verso il soffitto, mentre con le dita giocherellava con i lembi freschi del lenzuolo. 
Fu il suono del telefono che lo fece alzare di scatto. Non aspettava alcuna chiamata e si spaventò, anche perché aveva raccomandato a tutti, amici e colleghi, di non chiamarlo per un'intera settimana, in modo da dedicarsi alla scrittura. Si avvicinò al cassetto del comodino, prese il cellulare in mano e osservò il display. Era un numero sconosciuto. Per un attimo fu tentato dall'ignorare quel suono insistente rinchiudendolo dentro il cassetto, ma poi, pensando che potesse essere successo qualcosa di grave, decise di rispondere. 

"Sì?"
"Harry, sono io. Ti ho chiamato da un altro numero, altrimenti so che non mi avresti risposto." 
Riconobbe subito la voce del suo amico d'infanzia. Dal tono di voce agitato intuì che si doveva trattare di qualcosa d'importante. Niall era sempre stato come un fratello per lui ed era l'unico al quale aveva sempre raccontato tutto. L'unico del quale si fidava davvero e nonostante fossero completamente diversi e nella vita avessero fatto scelte diverse, non si erano mai persi di vista. 
"Niall, ciao! Cos'è successo?"
"Senti Har, non sapevo se dirtelo o meno, ma alla fine ho deciso che fosse più giusto chiamarti. Si tratta.. ehm, si tratta di Ben." Silenzio. Niall attese una risposta che non arrivò, e, dopo aver preso fiato, decise di continuare. "Har.. dovevo fare una consegna nel borgo vicino a quello dove sei tu ora. Quello proseguendo lungo la strada principale. Ho parcheggiato il furgone in piazzetta e.. l'ho visto Harry."
"Dove? Ma sei sicuro?" rispose dopo qualche secondo di silenzio. Niall immaginò che gli fosse servito per metabolizzare meglio le sue parole, o per incassare il colpo. 
"Sono sicurissimo. Era lui, proprio venti minuti fa. Al bar, evidentemente lavora lì. Ora non c'è campo e sta per andar via la linea. Era lui, ne sono sicuro. Har, un'ultima cosa: quel bar è di Augusto. Scusa ma non me lo potevo tenere dentro. Ciao Harry, ti voglio bene."

Non rispose, attese solo che si interrompesse la comunicazione. In maniera quasi automatica gettò il telefono sul letto e si tolse i vestiti bagnati. Sotto il getto d'acqua bollente pensò alle parole dell'amico. Per un istante lo odiò e pensò che avesse scelto proprio il momento sbagliato per spezzare la sua quiete, ma fu solo un istante, dopo il quale ne apprezzò la sincerità. Niall era sempre stato un uomo semplice e trasparente, soprattutto con lui. Era una delle poche persone che riuscivano a trasmettergli serenità e sapeva che non gli avrebbe mai voltato le spalle. E anche per questo che l'aveva sempre considerato il suo più grande amico. 
Si lavò più velocemente del solito. Lo fece in maniera talmente frettolosa che non si preoccupò nemmeno di non allagare il bagno. Uscì dalla doccia e utilizzò i vestiti sporchi per tamponare l'acqua che stava tentando di raggiungere la camera. Si rese conto di aver fatto un casino e di averlo risolto nel modo peggiore. Ma ora aveva altro a cui pensare. S'infilò i pantaloni della tuta grigia e le scarpe da ginnastica, una maglietta presa a caso dall'armadio e una felpa verde scura, di quelle con il cappuccio e la zip sul davanti. Avendo fretta e non volendo perdere tempo di asciugarsi i capelli, decise di legarli in una crocchia alla bene e meglio. Raccolse il telefono, che poco prima aveva gettato sul letto, e se lo mise nella tasca della felpa, insieme alla patente e a un paio di banconote da dieci. In quella dei pantaloni infilò invece le chiavi dell'auto. Prese anche il pacchetto di Camel blue e lo tenne in mano, mentre si avviava verso la porta della numero quattro. Chiuse la porta con tutte le mandate, e si diresse verso la sua macchina. 

Uscì dall'albergo senza voltarsi mai, senza nemmeno guardarsi intorno. I suoi movimenti erano rapidi e decisi. Sembrava dettati da qualcosa: qualcosa che Harry sapeva non essere rabbia. Accese il quadro e abbassò il finestrino. Aveva smesso di piovere ma il cielo continuava ad avere un aspetto grigio e minaccioso. Si accese una sigaretta e si appoggiò al sedile del'auto, rilassò i muscoli della schiena e fumò con calma, senza fretta, a grosse e profonde boccate, con gli occhi chiuse a godersi l'aria fresca che gli pizzicava il volto e gli solleticava i pensieri. 
Avviò il motore e partì, dirigendosi con calma verso il paese che gli aveva appena segnalato Niall. Pensò alle sue parole, e gli venne in mente che aveva parlato di Augusto. Era un uomo di circa quarant'anni, forse qualcosa di più, basso e completamente pelato, con il viso sbarbato e l'aspetto tozzo accentuato dalla pancia sporgente. Si diceva che Ben lo avesse abbandonato proprio per lui, che avesse iniziato a frequentarlo già parecchio prima di andarsene. Harry questo non lo aveva mai voluto approfondire. Era venuto a saperlo dopo il suo addio e aveva deciso che non ne valesse la pena, che si sarebbe solo fatto ancora più male. Gli era stato descritto come un uomo di bassa cultura e di scarsa integrità morale. Ora non sapeva bene nemmeno lui perché stesse percorrendo quella decina di chilometri di curve che lo separavano da Ben. 
Guidava lentamente con la radio spenta e il finestrino aperto. Dava l'impressione di farlo in maniera quasi meccanica, e di essere intento a osservare più se stesso che la strada. Non gli ci volle molto per capire di non essere arrabbiato, di non provare rancore né ostilità. E, pensandoci bene, di non avere nemmeno troppa voglia di vederlo. La telefonata dell'amico, e il suo tono allarmato e brusco, lo avevano in un primo momento destabilizzato, ma ora aveva ritrovato la serenità e riusciva a ragionare avvalendosi di una percezione lucida ed equilibrata dei suoi pensieri. L'unica cosa che non era riuscito a capire con chiarezza era perché si stesse dirigendo da lui. O forse questa era la prima cosa che aveva capito. 

Parcheggiò la macchina nella piazzetta principale. Pensò che fosse la stessa dove Niall aveva parcheggiato il furgone per eseguire le sue consegne. Il cielo si era aperto e il timido sole del tardo pomeriggio cercava di riscaldare l'ambiente con i suoi raggi. Harry scese dall'auto e rimase per un istante in piedi ad osservare quel luogo. Era una piazzetta carina e modesta. Raramente se ne trovavano di così curate. Un paio di panchine ospitavano alcuni anziani intenti a leggere il giornale o a chiacchierare tra di loro. Un ragazzo portava a spasso il suo cane fischiettando, con le cuffie nelle orecchie. Gli venne da sorridere osservando la sua aria spensierata. Al centro c'era un piccolo monumento ai caduti, circondato da fiori. Sulla piazza si affacciava un bar, con qualche tavolino sistemato all'aperto. Rimase colpito dal fatto che non avesse nessuna insegna, sembrando molto trascurato. 
All'interno doveva essersi Ben, lo stesso uomo che non vedeva da oltre un anno. Quello che l'aveva abbandonato da un giorno all'altro, che aveva tenuto in ostaggio il suo sorriso. Accese un'altra Camel blue e se la fumò appoggiato allo sportello della sua auto, con la mano sinistra nella tasca dei pantaloni. Aveva uno sguardo vivo, acceso. Sorrise agli anziani che lo guardavano incuriositi, e li salutò con un cenno del capo. Per un attimo fu tentato di tornare indietro e pensò che la sua presenza lì non avesse alcun senso. Poi gli venne in mente che erano un paio di giorni che non beveva un caffè amaro. 
E si rese conto di averne voglia.

Tempi sospesi] Larry Stylinson.Where stories live. Discover now