Capitolo sei.

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Harry si svegliò intorno alle sette, come d'abitudine.
Ormai il consolidarsi dei ritmi lavorativi aveva assestato la sua sveglia biologica, e anche quando poteva alzarsi con calma, si ritrovava con gli occhi aperti poco dopo l'alba. Non era mai stato un dormiglione, nemmeno ai tempi del liceo. Anzi, talvolta preferiva puntare la sveglia alle sei per ripassare qualche materia, o per tradurre una versione di latino. E anche durante le vacanze estive non si svegliava mai oltre le nove. Da studente universitario gli era capitato di trascorrere alcune domeniche a dormire, fino all'ora di pranzo, ma solo per smaltire gli eccessi di qualche serata in discoteca.
Ci mise qualche secondo a rendersi conto di dove fosse.
Dopo un'iniziale sensazione di disorientamento, si rese conto di trovarsi nella stanza numero quattro di quel piccolo albero. Quella con la veranda sul lago che lui stesso aveva prenotato. Si mise seduto sul bordo del letto e si stiracchiò le braccia, sbadigliando. La sera prima aveva dimenticato di abbassare la tapparella, e la timida luce del sole mattutino stava entrando in camera sua, illuminando progressivamente le pareti candide.

Si compiacque di essersi svegliato presto, visto che aveva raggiungo quel piccolo borgo per ritrovare la voglia di scrivere. Si era ritagliato questa settimana di evasione per raccontare una storia e per farlo aveva bisogno di tempo e di tranquillità.
Non potendo contare sul suo abituale caffè amaro, decise di ripiegare iniziando la giornata con una breve corsa mattutina. Valutò di correre almeno una mezzoretta. Andò in bagno e si sciacquò la faccia con acqua fredda, in modo da accelerare il risveglio. Con le mani umide si ravvivò i capelli, ma poi decise di legarli, e tornò in camera. Dall'armadio prese l'attrezzatura sportiva: tirò fuori un paio di bermuda grigi e una canottiera da basket, larga e comoda. Infilò i fantasmini e le scarpe da ginnastica, allacciandole con il doppio nodo, in modo da non correre il rischio di doversi fermare a legarle. Rovistò nella valigia alla ricerca degli auricolari dell'iPod. Dopo averlo acceso scorse a caso la lista di canzoni e scelse qualche titolo rap. Non amava quel genere musicale, ma era l'unico in grado di trasmettergli ritmo e intensità durante l'andatura.

A passo svelto uscì dalla stanza e percorse le scale che conducevano alla sala dell'albergo. Si diresse verso il portiere, intenzionato a lasciare in custodia le chiavi, ma non vi trovò nessuno. Pensò che quello strano portiere notturno dovesse aver già terminato il suo turno, e immaginò che se ne fosse andato a dormire. Ma quello che avrebbe dovuto dargli il cambio, chissà dov'era finito. Non potendo consegnare le chiavi, decise di tenerle in mano. Non erano ingombranti, e non gli avrebbero dato fastidio. Dopotutto anche quando correva per le vie del suo quartiere, era solito tenere in mano quelle di casa sua.
Uscì dall'albergo e si rese conto di non conoscere il posto, e d i non avere itinerari per la sua corsa. Decise istintivamente di dirigersi alla sua sinistra, verso il lago. Partì a passo leggero e blando. Non aveva intenzione di puntare né sulla velocità e tantomeno su un'andatura progressiva. Semplicemente voleva mettere in moto il corpo e rilassare la mente. Al rientro si sarebbe seduto davanti al computer e avrebbe iniziato a scrivere la storia che aveva in mente.
Percorse un lungo viale sterrato, che conduceva gli ospiti dell'albergo al villaggio. C'erano pochi alberi lungo la strada, e si susseguivano i vasti terreni appena arati. L'odore dell'erba e di concime misto a terra non gli dava alcun fastidio.

"Sempre meglio di quello che si respira in città" pensò a voce alta Harry, che sentiva i muscoli delle gambe iniziare a sciogliersi.
Salutava con cordiali cenni del capo le persone che incontrava durante il suo percorso. Erano perlopiù anziani, che lo guadavano con curiosità, rispondendo gentilmente al suo saluto, e qualche agricoltore già indaffarato a lavorare nel proprio terreno. Le case erano basse, due piani massimo, modeste e quasi tutte con la facciata bianca. Rimase colpito dalla cura con cui ogni veranda era stata decorata con piante rampicanti e vasi di fiori, che davano colore e vivacità. Sui tetti spuntavano i comignoli dei caminetti, e qualche antenna televisiva. Non molte. Evidentemente la gente del villaggio trascorreva il proprio tempo in maniera differente. Immaginò le donne sedute in poltrona di fronte al caminetto, intente a leggere un libro o a risolvere qualche cruciverba. Non vide nessuna parabolica.
Una piccola bottega vendeva frutta e verdura, ordinatamente disposte nelle cassette all'esterno del negozio, mentre nell'edicola di fronte si poteva trovare un po' di tutto, non solo i quotidiani. Superato il gruppetto di case, Harry si ritrovò in prossimità del lago: rimase incantato. Un piccolo pontile in legno consentiva a qualche pescatore di gettare il proprio amo, mentre le montagne sovrastavano lo specchio d'acqua senza opprimerlo. Provò un certo senso di protezione standovi innanzi. Un centinaio di metri oltre la concentrazione di case, intravide la piccola locanda, quella che aveva scorto, illuminata, dalla veranda della sua stanza.

Interruppe la corsa e procedette camminando lentamente verso l'ingresso di quel piccolo edificio. Era completamente bianco, con un grande portone in legno marrone. Non aveva nessun'insegna. Notò che anche la locanda aveva due pianti. Si chiese se quello superiore fosse destinato a qualche turista, ma pensò che più probabilmente fosse l'abitazione dei proprietari della struttura. Ogni finestra aveva una piccola veranda. Le stanze dovevano essere molto luminose. Sul massiccio portone di legno era appeso un piccolo cartello che comunicava ai visitatori l'orario di apertura. Harry si avvicinò ancora alla struttura, respirando profondamente, in modo da recuperare fiato, ancora ansimante dalla corsa.
Chissà cosa potrò mangiare per pranzo pensò, un po' incuriosito, ma dovette subito ricredersi. "Merda!" esclamò a voce alta dopo aver letto il cartello che comunicava ai turisti che la locanda avrebbe aperto solo per cena. Per pranzo si sarebbe dovuto arrangiare. Avrebbe potuto acquistare qualcosa alla bottega, magari un po' di frutta fresca per rimanere leggero. Oppure si sarebbe fatto preparare un panino imbottito, accompagnato da una bevanda fresca.
Un po' deluso, decise di riprendere la corsa e di fare rientro nella sua stanza. Avrebbe fatto lo stesso percorso a ritroso, in modo da non perdersi e memorizzare il tragitto. Alla locanda, darebbe tornato per cena. Aumentò leggermente il passo, in modo da intensificare il suo allenamento mattutino.

Lungo la strada, in uno dei terreni vicini all'albergo, intravide un gregge di pecore. Pascolavano sotto il primo sole d'inizio estate, e Harry, che non poteva sentirlo a causa della musica che suonava dal suo Ipod, cercò di immaginare il suono dei campanacci. Un grosso cane pastore bianco se ne stava seduto a bordo strada, e osservava il comportamento degli animali, pronto a intervenire nel caso una delle pecore avesse deciso di avventurarsi oltre il terreno. Pensò di rallentare per non indispettire il grosso animale. Aveva sempre avuto un po' paura dei cani di grossa taglia. Senza rendersene conto, finì invece per accelerare la corsa, ma il grosso pastore a quattro zampe non lo degnò di mezzo sguardo.
Anche stavolta non vide nessuno in portineria. E non se ne stupì più di tanto, anzi. Ne approfittò per non interrompere la corsa, salendo a due a due i gradini che conducevano alle stanze e fermando il cronometro solo dopo aver toccato la maniglia della numero quattro. Aprì la porta e si spogliò completamente, infilando i vestiti in una grossa busta di stoffa, che si era portato da casa per metterci i vestiti sporchi. Entrò in bagno e aprì la doccia. Regolò la temperatura in modo che scendesse tiepida e attese qualche istante prima di buttarsi sotto il getto d'acqua. Si lavò i capelli con uno shampoo delicato che aveva comprato al supermercato, mentre per il corpo utilizzò il bagnoschiuma fornito dall'albergo.

Ancora umido e con un asciugamano legato in vita si diresse in veranda per accendere il computer portatile, prima di rientrare in camera e di mettersi addosso qualcosa di comodo. Scelse un paio di bermuda neri e una maglietta nera. Lasciò i capelli bagnati, con le punte che ancora gocciolavano, e si sedette sulla sedia della veranda, rilassandosi, stirando i muscoli del collo e della schiena. Accese una Camel blue e si appoggiò sulla spalliera, con le gambe abbandonate sul tavolo. Ora si sarebbe dovuto concentrare per riordinare i pensieri, per poi cercare di buttarli giù. Di tradurli in parole.
Scelse a caso qualche brano musicale e, reclinando il capo all'indietro, chiuse gli occhi, facendosi coccolare dal calore del sole di metà mattinata.

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Chi è che incontrerà chi nel prossimo capitolo?

Tempi sospesi] Larry Stylinson.Where stories live. Discover now