Capitolo cinque.

110 11 0
                                    

Aveva conosciuto Ben tre anni prima, all'università.

"Ciao Harry, come stai? Spero di non averti disturbato, sono Bethany. Bethany Jones."
"Salve prof.." aveva risposto cordialmente Harry, ancora mezzo addormentato. Aveva riconosciuto subito la voce dolce e squillante della donna, che era stata la sua professoressa di Metodi e tecniche del servizio sociale per tutto il triennio. "Come sta?"
"Harry non mi posso trattenere adesso al telefono. Poi parleremo con calma" dal tono di voce acuto della donna, il giovane aveva intuito che doveva essere in piedi già da parecchie ore, e si era sentito in colpa per essersi fatto trovare ancora a letto. Ma dopotutto erano solo le otto e lui aveva appena preso una settimana di ferie. "Domani dovrò assentarmi per questioni personali che non sto a spiegarti. Ho saputo tutto all'ultimo momento e non ho potuto avvisare in facoltà. Non voglio creare problemi ai ragazzi. Senti Harry, faresti tu la lezione di stasera al mio posto? Come una specie di assistente? Ti mando il materiale via mail.. Grazie Harry, sapevo che avrei potuto contare su di te. Sei un tesoro! Ci sentiamo domani"
"Si.. no! Ma.. veramente.. A domani.." era riuscito a malapena a balbettare con la voce ancora impastata dal sonno. Quella telefonata inaspettata e improvvisa, l'aveva fatto schizzare giù dal letto. Si era reso conto di non aver avuto nemmeno il tempo di rifiutare, sempre che lo avesse davvero voluto. Si era seduto a fare colazione pensando a che cosa avrebbe potuto dire a quella classe di cinquanta studenti. E avrebbe dovuto anche scegliere qualcosa di adatto da mettere, non poteva di certo andare a tenere una lezione universitaria in tuta.

Dopo aver sorseggiato il caffè amaro, come al suo solito, era sceso a fare colazione al bar. Quella che considerava la colazione vera e propria: un cappuccino dolcificato con mezza bustina di zucchero di canna e una pasta alla crema. Talvolta anche due. Il caffè gli serviva soltanto per darsi una svegliata. 
Quella mattina aveva fatto una passeggiata verso l'edicola per comprare un quotidiano, e per dare un'occhiata a riviste e fumetti. Dopotutto doveva dare il tempo alla sua professoressa di mandargli la mal con l'argomento della lezione. Doveva temporeggiare almeno un'ora. Aveva fatto una lunga camminata per le vie della città, guardato distrattamente le vetrine dei negozi di abbigliamento, sbirciando i menù delle trattorie del centro, e infine, prima di rientrare a casa, si era fermato in libreria: aveva sempre adorato le librerie e letto tantissimo. Sin da ragazzino. 
Dopo aver girovagato per una mezz'ora tra gli scaffali colmi di volumi, dando uno sguardo alle ultime uscite, si era avvicinato alla casa con un piccolo libro in mano, aveva pagato, ed era uscito, dirigendosi a passo svelto verso casa sua. Aveva acquistato Montedidio di Erri De Luca.

Rientrato in casa aveva acceso il computer per controllare la mail della Jones. Era curioso, e un po' spaventato, di conoscere l'argomento che avrebbe dovuto spiegare agli studenti. O perlomeno avrebbe dovuto provare a farsi ascoltare. Si era rasserenato dopo aver scoperto che avrebbe incentrato le prima due ore della lezione pomeridiano sull'affidamento e sull'adozione. Era un argomento che Harry conosceva molto bene, sia per essersene occupato spesso nei primi anni di professione, e sia perché la sua tesi di laurea era stata scritta proprio intorno alla legge 184 del 1983: quella che disciplinava l'affidamento e l'adozione dei minori. 
Aveva tirato un sospiro di sollievo. 
Non c'era bisogno di dedicare il suo primo giorno di ferie al ripasso di qualche noioso argomento, o di aprire qualche vecchio manuale universitario. Anche perché, e se n'era reso conto solo dopo aver letto i contenuto della mail,  aveva trascorso tutta la mattina in giro. E, anche volendo, non avrebbe avuto il tempo di preparare qualcosa. Gli era venuto in mente che la Jones l'avesse chiamato proprio perché conosceva bene l'argomento. O, forse, era stato solo fortunato. 

Fattasi ora di pranzo, aveva messo a bollire una pentola d'acqua, e sul fornello accanto, una padella con due cucchiai d'olio. Aveva acceso il televisore del salotto per ascoltare le notizie del telegiornale, mentre tagliava meccanicamente una cipolla e una grossa zucchina. Dopo aver messo il tutto a soffriggere, insieme a una confezione di pancetta a cubetti, e dopo aver buttato un'abbondante quantità di mezze penne, non gli rimaneva che attendere i dieci minuti di cottura della pasta. 
Si era diretto verso il bagno e si era guardato allo specchio. Non si sarebbe rasato, questo lo stabilì subito. Ora gli rimaneva soltanto da decidere come vestirsi. Gli era anche passata per la mente, ma solo per un istante, l'idea di presentarsi agli studenti con la tuta. Dopotutto lui non era mica un professore. Aveva accantonato subito quell'idea: era poco adatta all'occasione. Avrebbe comunque deciso dopo aver mangiato, a stomaco pieno. 
Si era diretto verso la libreria del suo nuovo appartamento e aveva sistemato Montedidio accanto agli altri libri dello stesso autore. Lo aveva già letto qualche anno prima. Gliel'aveva prestato Mike, un ragazzo  conosciuto a un seminario di aggiornamento professionale e che aveva frequentato per qualche settimana, ma, come gli capitava spesso, senza troppa convinzione. Prima di scaricarlo, senza particolari scrupoli, aveva avuto almeno l'accortezza di restituirglielo. E vedendolo quella mattina sugli scaffali del negozio aveva sentito il bisogno di acquistarlo. Harry odiava i libri in prestito. Proprio perché non li poteva ordinare nella sua libreria, scegliendo quella che reputava essere la sistemazione più adatta a loro, in base all'argomento, alla dimensione, all'autore o alle sensazioni che gli avevano trasmesso. I libri amava tenerli con sé. Come tanti piccoli scorci di mare nei quali rispecchiare una parte di se stesso.

Dopo aver scolato e condito la pasta, si era seduto al tavolo del salotto. Aveva aperto una birra fresca e cambiato canale della televisione, sintonizzando lo schermo sul programma della musica. Dopodiché, dall'anta dell'armadio aveva tirato fuori dei jeans skinny neri e una maglietta a maniche corte, indossando sopra una giacca di jeans, sagomata e non troppo formale. 
Per raggiungere la facoltà avrebbe dovuto percorrere tutto il lungomare e districarsi per un paio di strette stradine del centro. Ci avrebbe impiegato una ventina di minuti. E un'altra mezz'ora gli sarebbe servita solo per trovare posteggio. Aveva acceso i motore della sua Panda bianca, e si era rilassato sul sedile. Aveva deciso di non accendere l'autoradio, e di utilizzare il percorso per organizzare mentalmente qualche contenuto da proporre agli studenti. Gli erano venute in mente le lezioni della Jones: sempre meticolose e curate nei minimi dettagli. Il suo intervento sarebbe stato diverso, basato più sulle sensazioni che sulle nozioni. E chissà se quei futuri assistenti sociali avrebbero gradito. 
Non era riuscito a trattenere l'emozione dopo essersi reso conto che la classe in cui avrebbe tenuto la lezione, era la stessa che aveva frequentato per tutto il triennio. Quella in fondo al corridoio. Che l'inverno diventava un forno grazie ai due condizionatori che riscaldavano esageratamente l'ambiente. Era la classe più vicina ai bagni, ma la più lontana dalla macchinetta del caffè, che si trovava dalla parte opposta dell'andito, in una specie di anfratto che aveva permesso all'Harry studente, di saltare buona parte delle lezioni, sorseggiando un thè caldo senza la paura di essere visto. Soprattutto da quelle di diritto. 

"Buongiorno ragazzi" aveva detto dopo essere entrato nella sua vecchia aula. Silenzio. "Oggi Bethany.. ehm, la professoressa Jones non è potuta essere qui. La sostituirò io oggi." 
Si era compiaciuto notando che rispetto a qualche anno prima le cose non erano cambiate per niente. Solo tre ragazzi, tra cui due non lo avevano degnato di mezzo sguardo, e che sembravano più interessati a smanettare i loro telefoni. Le altre quarantotto erano tutte studentesse, come ai suoi tempi. Anzi, lui era sempre stato l'unico maschio per tutto il corso del triennio.
Le studentesse invece lo guardavano ridacchiando, bisbigliando l'una con l'altra commenti che Harry non era riuscito a comprendere, intuendo che ci avrebbe dovuto fare i conti per buona parte della lezione. Un paio di ragazze erano intente a sottolineare fotocopie. Stavano studiando qualcosa e non si erano curate del nuovo arrivato. Nell'ultima fila, una studentessa interamente vestita di nero, senz'altro una matricola, ascoltava la musica dal suo Ipod, senza accorgersi della sua presenza. Aveva poi notato che uno dei ragazzi seduto in fondo all'aula lo fissava, in silenzio. Non aveva nessuno seduto al suo fianco e aveva gli occhi molto belli. 
"Premetto che sono solo un assistente sociale, non un professore. Quindi chiamatemi pure Harry" qualche risatina. "Vi assicuro che rispetterò anche io quella che è sempre stata una consuetudine di questa facoltà. Farò una prima parte di lezione, e poi vi lascerò un quarto d'ora per andare a prendere il caffè, o per fumare una sigaretta. Se mi lasciate spiegare senza interruzioni, anche venti minuti." Cenni convinti di assenso da parte della classe. Stavolta, maschi compresi. 

Durante la pausa anche Harry aveva deciso di andare a prendersi un caffè, macchiato e amaro. Sentiva di averne bisogno. Si sarebbe diretto, però, al distributore al piano superiore. Quello riservato agli studenti di lingue e letterature straniere. Non aveva voglia di sentire nessun commento delle studentesse circa la sua lezione, voleva stare per qualche minuto da solo con i suoi pensieri. 
Camminando verso la rampa di scale che portava al piano superiore, si era messo a pensare a cosa avrebbe potuto fare durante la serata. Di uscire con qualcuno dei tanti uomini occasionali, che alternava con noncuranza, non aveva proprio voglia. C'erano giornate in cui il suo modo di fare con i ragazzi lo faceva sentire in colpa. Talvolta si sentiva proprio un bastardo, ma non era quello il giorno. Semplicemente aveva voglia di mangiarsi una pizza e di rilassarsi a casa sua, sul divano, davanti a un bel film. 
Dopo aver inserito cinquanta centesimi nella macchinetta e spinto il tasto del caffè macchiato, aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca della giacca e guardato il display. Due messaggi. Uno era di Josh, un ragazzo moro e appariscente che aveva conosciuto qualche sera prima in un locale. Sei libero stasera? gli chiedeva senza troppi giri di parole. L'altro era di suo padre, tanto sintetico quanto sporadico: come stai? 
Li aveva cancellati entrambi, meccanicamente, mentre il distributore lo avvisava che il suo caffè era pronto. Avrebbe ignorato la proposta del giovane corteggiatore, mentre il padre, benché non avessero mai avuto un rapporto troppo buono, l'avrebbe richiamato dopo la lezione.

"Vabbè che non sei un professore, però un caffè me lo potresti anche offrire" dietro di lui uno studente era poggiato sulla parete di fronte alla macchinetta, e lo guardava. Teneva la mano destra nella tasca dei jeans mentre l'altra era impegnata a ravvivare i capelli neri. Indossava una maglietta nera molto semplice, con le maniche corte. Emanava un buon profumo. Maschile e frizzante. Non era alto, né particolarmente formoso. Ma il suo viso era bello. Aveva degli occhi azzurri incantevoli. A Harry piaceva. Aveva notato subito gli occhi del ragazzo seduto, da solo, in fondo all'aula, che l'aveva fissato senza dire una parola. 
"Volentieri. Come lo preferisci? Macchiato anche tu?"
"Preferirei un cappuccino, grazie. Quindi non verrai più a farci lezione? Peccato!" Aveva detto il ragazzo con un sorriso, senza dare nemmeno il tempo di rispondere a Harry, che era rimasto spiazzato. Quel ragazzo gli piaceva, e lui non aveva smesso un solo istante di guardarlo negli occhi. Senza mai distogliere lo sguardo. 
"Spiritoso" aveva risposto abbozzando una risata. "Comunque piacere di conoscerti, io sono Harry" gli aveva detto tendendogli la mano. 
"Lo so! Piacere mio professore. Ben!"












Tempi sospesi] Larry Stylinson.Where stories live. Discover now