Dopo aver finito di fumare, chiuse la macchina e si infilò il pacchetto di Camel blue nella tasca della felpa verde. Ora che il temporale aveva lasciato spazio a quel timido sole, l'aria era diventata più mite e Harry decise di abbassare la zip e di restare con la felpa aperta. Si rimboccò le maniche, ma non fino al gomito com'era solito fare. Lo fece solo fino a tre quarti.
Si avvicinò lentamente alla porta del bar e si stupì di non sentire alcuna emozione, nessun tremito. Si sentiva sereno e tranquillo. Lui stava in piedi dietro il bancone, intento ad asciugare con un panno un boccale di birra. Il bar era vuoto, a eccezione di un signore con i baffi che all'angolo del bancone sorseggiava un aperitivo e leggeva distrattamente i titoli della Gazzetta dello Sport. Aveva preso qualche chilo e aveva i capelli un po' più lunghi. Harry notò subito il suo volto stanco difficile da coprire, ma ebbe la sensazione che oltre alla stanchezza ci fosse altro da coprire, qualcosa di molto simile a un vagone di delusioni e forse anche una buona dose d'insoddisfazione.
Quando Ben lo vide varcare la soglia del locale gli cadde il boccale che teneva tra le mani, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento. Dallo stupore non riuscì a muovere un muscolo. Lo vide avvicinarsi al bancone con passi sicuri, senza alcun tentennamento. Rimase stupefatto, non si aspettava di veder entrare proprio lui e non si sarebbe mai aspettato di vedergli addosso quella serenità, quell'aria spensierata. Pensò che non l'avesse riconosciuto.
"Vorrei un caffè, per favore. E anche un bicchiere d'acqua gassata."
E lo disse fissandolo negli occhi, con una fermezza e una cala che lo fecero rabbrividire. Non riuscì a dire nemmeno una parola. Non rispose. Ben rimase impietrito dietro il bancone in marmo, ancora con il panno in mano, circondato dai cocci di vetro. Ci mise qualche secondo a uscire da quel torpore e ad avvicinarsi alla macchinetta del caffè. Non lo guardò negli occhi, continuava a pensare che non l'avesse riconosciuto. O forse tentava soltanto di illudersene.
Harry si sedette sullo sgabello e incrociò le braccia, mettendo in evidenzia le sue spalle larghe circondate dalla felpa verde. Pensò che non dovesse avere una clientela molto sofisticata e immaginò che dovesse essere un bar per soli uomini e non perché ci fosse una regola che lo imponeva ai clienti, ma perché il suggerimento di una consuetudine radicata nel tempo valeva molto più di qualsiasi regola. Si soffermò sui gagliardetti delle squadre di calcio appesi alle pareti. Ce n'erano di tutti i tipi, persino quello a bande grigie e rosse. C'era anche una fotografia in bianco e nero della formazione di una squadra. La fissò con attenzione e notò che non si trattava di una foto, ma di un ritaglio di giornale, incorniciato con cura.
Spostò lo sguardo su Ben, intento a preparare il caffè. Non si era mai voltato. Pensò che non avrebbe mai avuto il coraggio di guardarlo negli occhi, di affrontare il suo sguardo, ma non se ne preoccupò.
Attese il caffè e lo bevve in due sorsi. Aveva proprio voglia di un bel caffè amaro e lo assaporò con gusto. L'acqua invece nemmeno la toccò. Non aveva sete, e poi non voleva lavarsi via quel piacevole sapore che aveva in bocca. Alzò lo sguardo e lo fissò. E non con la coda dell'occhio, anzi, lo fissò dritto negli occhi senza alcuna inibizione. Non aveva alcun motivo per non farlo e continuava a sentirsi pervaso una sensazione di tranquillità, la stessa che lo aveva accompagnato durante la partita a scacchi con il padre di Louis e che aveva condito quello strano pic-nic sul pontile in legno.
Lo vide chino sul piccolo lavandino del bancone a sciacquare qualche tazzina e qualche boccale che poi sarebbe finito nella lavastoviglie. Ebbe l'impressione che fosse solo un espediente per non rimanere fermo al cospetto dei suoi occhi e della sua presenza. Notò che gli tremavano le mani. Harry si sciolse la crocchia e si scompigliò i capelli, che nel frattempo si erano asciugati, assumendo una piega casuale e disordinata. Si sistemò più comodamente sullo sgabello e incrociò di nuovo le braccia. Aveva una postura sicura, solenne. Pensò a Niall. Prese dalla tasca dei pantaloni il telefono e scorse la rubrica in cerca del numero dell'amico e compose un messaggio: "ti voglio bene anch'io" e glielo inviò con uno smile sorridente alla fine.
Decise di legare nuovamente i capelli e poi infilò il telefono in tasca. Mentre si alzava dallo sgabello vide che Ben osservava i suoi movimenti. Ebbe l'impressione che avesse trovato il coraggio di dirgli qualcosa, forse solo per salutarlo o scusarsi. Apprezzò l'intensione, ma non aveva voglia di starlo ad ascoltare. Da un cestino posto a fianco a lui prese un paio di caramelle alla mente, sfuse. Cercò delle monete nella tasca e le poggiò sul bancone. Rivolse lo sguardo verso di lui, cercando i suoi occhi. Si rese conto di non provare nessuna rabbia, di non odiarlo. Non era dispiaciuto nemmeno di vederlo in difficoltà. Aveva capito che non era felice e non era dispiaciuto nemmeno di questo. Gli sembrò di provare qualcosa di molto simile alla pena.
"Addio Ben" e glielo disse guardandolo dritto negli occhi, regalandogli un ultimo sorriso. Ben capì che si trattava di un sorriso vero, ma non trovò il coraggio di rispondergli. Dovette ammettere a se stesso che lui l'aveva riconosciuto e che non gli aveva rinfacciato nulla, che gli aveva sorriso e l'aveva trattato con la stessa dolcezza e lo stesso rispetto di sempre. Pensò di non meritarlo, di non essere all'altezza di un trattamento del genere. Capì di non esserlo mai stato.
Prese le monete dal bancone e le sistemò nel registratore di cassa, sforzandosi di trattenere le lacrime. Si rese conto che Harry oltre a quelle monete aveva lasciato anche qualcos'altro ed era qualcosa che lui conosceva molto bene. Un pacchetto di Camel blue ancora mezzo pieno. Lo aveva lasciato lì e dentro quel pacchetto aveva lasciato anche i fantasmi di un passato che per troppo tempo lo avevano tormentato. E da cui ora si sentiva libero.
Uscito dal bar, pensò di non essersi mai sentito così bene. E si rese conto di aver parecchie cose da fare. Le ultime faccende da sistemare. O forse, le prima di un nuovo capitolo.
Salì sull'auto e aprì il finestrino a metà, accese lo stereo e infilò un CD che aveva sistemato nel cruscotto prima di lasciare la città e di raggiungere la stanza numero quattro.

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Tempi sospesi] Larry Stylinson.
RomanceCi tengo a precisare che questa storia non è di mia invenzione, ma è un libro che ho letto ed è di Marco Conti. [Capitolo 10.] "Harry, assorto completamente nei suoi pensieri e distratto da certi scomodi ricordi, spalancò il portone con vigore, fac...